Non c’è conflitto tra spirito religioso e spirito libero
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Mi ha colpito, in un’intervista di Ruggero Cappuccio, l’affermazione nella quale mi ritrovo totalmente: “Posso stare a Parigi ed essere abitato da Napoli. Una città sta dove la porti” (Il Fatto Quotidiano 6 – 1 – 2022). Dalla famiglia materna, originaria di Montisola (Lago d’Iseo) e Darfo (Valle Camonica), formata da artigiani onesti e laboriosi, incominciai invece a cogliere alcuni aspetti fondamentali della cultura bresciana del lavoro, sulle sue radici e sulla sua importanza. Io sono nato in città, in Via Musei, nel cuore della Brixia Fidelis, la Brescia romana, a pochi passi dal Tempio Capitolino dedicato a Vespasiano nel I secolo dopo Cristo e dall’attuale Museo Civico di Santa Giulia, uno dei musei civici più importanti e genuini d’Europa. Ma quando ero ragazzo il Monastero di Santa Giulia era poco attivo e gran parte del terreno oggi dedicato al Museo era l’ex Opera Balilla, un imponente complesso sportivo (due campi da pallone e una pista di atletica) abbandonati, liberi e in disuso, come del resto abbandonati erano anche i ruderi di gran parte dell’attuale parco archeologico.
L’attuale via Musei corrisponde al decumano romano ed è oggi parte del parco archeologico, splendidamente ricostruito, valorizzato e visitato da una presenza turistica crescente. Ma allora era una via molto trascurata e popolare con al centro un’osteria antica (Pergolina) animata da personaggi popolari affascinanti, con i quali imparai a giocare tutti i giuochi popolari di carte e la dama, dove divenni un campioncino. Le nostre giornate passavano tra lotte fra bande tra i ruderi romani con lanci di pietre che oggi farebbero allarmare i benpensanti e finirebbero diritti su qualche giornale (ma allora i genitori avevano altro cui pensare), partite a briscola e scala quaranta alla Pergolina e infinite partite a calcio all’ex Opera Balilla. Erano attività che potevamo svolgere in totale libertà, ogni tanto con qualche ammaccatura ma con un enorme senso di libertà, di autonomia e di autoformazione. Qui presi consapevolezza del grande valore della libertà, della cultura popolare, dell’autoformazione, dell’amicizia. Furono anni molto felici. La scuola, una pessima media, non ci interessava. Eravamo alla ricerca di noi stessi e del carattere della nostra città. I primi bagliori di orgoglio bresciano nacquero, allora, tra i ruderi romani, all’Osteria Pergolina, sugli smisurati e liberi campi di calcio dell’ex Opera Balilla che la guerra aveva, temporaneamente, reso liberi per noi.
Questi primi barlumi di brescianità trovarono un inquadramento più solido subito dopo le medie, grazie ad un ginnasio e liceo classico di alta qualità ma soprattutto grazie alla frequentazione di un centro educativo di grande spessore, che ha influenzato tante generazioni bresciane: l’Oratorio della Pace dei padri Filippini, centro di cultura religiosa, civile, generale di altissimo livello. Anche qui si giocava al calcio ma ben inquadrati, con tessera (F.I.G.C. Squadra Gymnasium N. 80516) ed una guida capace e appassionata. Ma insieme potevamo ascoltare le lezioni di veri maestri come padre Giulio Bevilacqua, padre Carlo Manziana, padre Cittadini, padre Marcolini e altri. Capimmo allora che non c’è conflitto tra spirito religioso e spirito libero (la Pace fu un centro antifascista militante), così come non c’è conflitto tra spirito religioso e scienza, mentre c’è conflitto profondo tra spirito religioso e clericalismo.
Sentiremo questi temi ritornare, con forza, nei testi del Concilio Vaticano II, ma noi li avevamo ascoltati e interiorizzati dieci anni prima da parte di grandi maestri, la cui vita era testimonianza autentica di quello che dicevano. Nel frattempo, lo studio della storia veniva a incrociarsi con queste esperienze di vita e mi convinceva che questa religiosità profonda ma non clericale è caratteristica propria, fondante e duratura delle radici bresciane.