La notte in cui in mare morirono 368 migranti e Lampedusa vide il “fallimento dell’Umanità” - QdS

La notte in cui in mare morirono 368 migranti e Lampedusa vide il “fallimento dell’Umanità”

redazione

La notte in cui in mare morirono 368 migranti e Lampedusa vide il “fallimento dell’Umanità”

Roberto Greco  |
martedì 03 Ottobre 2023

Dieci anni da una strage che ha segnato centinaia di vite ma non sembra averci insegnato nulla

LAMPEDUSA (AG) – Non era una notte buia e tempestosa quella tra il 2 e il 3 ottobre 2013. Era una notte giusta, invece, per fare un giro in barca tra amici, una di quelle notti che ti porta a rimanere sveglio per vedere l’alba. Eppure poco dopo le cinque del mattino, seppur albeggiasse, quella notte lo divenne buia e tempestosa ma anche foriera di morte. Le vittime accertate del naufragio furono 368 e 155 i superstiti. Secondo la testimonianza del superstite eritreo Mussiie Ghebberhiert, le persone imbarcate erano 545, in massima parte eritrei. Nessuna inchiesta o indagine è stata aperta in merito a eventuali errori e ritardi nei soccorsi istituzionali. Quella notte, davanti a Cala Galèra c’erano i cittadini lampedusani, allora come oggi.

Vito aveva, al tempo, un peschereccio – racconta al QdS Graziella Migliosini, imprenditrice catanese che da decenni gestisce un’attività a Lampedusa – che lui stesso aveva ristrutturato, dal nome Gamar. C’era un mare calmissimo, quella notte, e decidemmo di uscire. Eravamo otto amici. Ci fermammo all’altezza della Tabaccara (una baia posta sul versante sud dell’isola di Lampedusa al cui fianco si trova la Spiaggia dei Conigli, nda). Dove dopo aver fatto il bagno prendemmo sonno. Intorno alle 5 del mattino Alessandro, il mio ex compagno, si alzò e io con lui. Eravamo coricati a prua, sotto il pozzetto. Avevamo cominciato a sentire dei rumori starni, non definibili. All’inizio pensammo a berte, gabbiani oppure che ci fosse qualcos’altro in mare. Anche in quel periodo eravamo in emergenza, con sbarchi di 1.000, 2.000 anche 3.000 persone. Era iniziata l’aurora e Alessandro decise di accendere i motori, azione che svegliò i nostri amici, e di avvicinarsi alla possibile fonte di rumore. Più ci avvicinavamo più capivamo che si trattava di un vociare lontano misto a versi di uccelli. In quel mare c’eravamo noi e questo sottofondo acustico che stava, pian piano, rompendo il silenzio. A un tratto vedemmo tre sagome in mare che sembravano delle boe, che pensammo fossero state abbandonate. Mentre ci avvicinavamo, eravamo ameno di un paio di miglia dalla costa, vedemmo che da quelle che avevamo pensato fossero boe, si alzavano braccia, e capimmo che si trattava di persone che avevano visto la barca”.

Intervenimmo immediatamente per questo recupero – continua Migliosini – e trovammo vicino a Cala Galèra rendendoci conto che c’erano più di un centinaio di persone in mare. Immediatamente Alessandro inviò l’Sos sul canale 16, il canale radio perennemente in ascolto da parte della Guardia costiera, delle Forze dell’Ordine e dei pescatori. Eravamo scioccati ma consapevoli e, vivendo a Lampedusa, sapevamo che quello che si svelava ai nostri occhi poteva essere possibile ma non pensavamo potesse essere così terribile. Arrivarono, dopo il lancio dell’Sos i pescatori, seguiti dai proprietari dei Diving e assieme a loro iniziammo a fare il recupero. Sulla Gamar abbiamo caricato 47 naufraghi e gli altri furono caricati dalle diverse barche che ci avevano raggiunto. Molti di loro ci sono morti tra le braccia, sfiniti. Solo dopo una cinquantina di minuti arrivarono i soccorsi istituzionali che recuperarono altri cinquanta sopravvissuti. Noi chiedemmo il trasbordo, perché il carico della Gamar era eccessivo, ma ci dissero di rientrare al porto. Si è trattato di un’esperienza unica, devastante e, per certi versi, mistica, ma certamente quella notte fummo testimoni del fallimento dell’Umanità”.

Molti di quanti furono lì, quella notte, a recuperare donne incinte, bambini e persone adulte, ogni tanto si svegliano di notte e alcune immagini riprendono forma, trasformandosi in un vivido ricordo colmo di dolore. È così per Giuseppe, un poliziotto che era sull’isola di Lampedusa dal giugno 2005 e che, nei suoi servizi, aveva già assistito a sbarchi, naufragi e morti. Era a Lampedusa in servizio anche quella notte, tra i 2 e il 3 ottobre 2013. Racconta al QdS: “La notizia ci giunse quasi per caso perché, in quel momento stavamo identificando le persone che erano sbarcate poche ore prima. Uno di loro ricevette una telefonata, verosimilmente da una persona che era sulla barca e cercò, in inglese, di farci capire cosa stesse succedendo. Il suo interlocutore parlava di un’isola nelle vicinanze ma, in realtà non aveva contezza che si trattasse di Lampedusa”.

Ci sono dei momenti in cui chiunque, anche se indossa una divisa, è messo a dura prova. Ed è quello che successe a Giuseppe: “Ripensando a quel periodo mi viene la pelle d’oca. Al telefono con mia moglie, poche ore dopo, mi misi a piangere. Non posso cancellare dalla mia memoria un episodio in particolare. Presi tra le braccia un bambino e lo trasportai dal molo all’hangar in cui venivano messi tutti questi corpi senza vita. Il suo corpo era integro, sembrava che dormisse. In quelle prime luci dell’alba del 3 settembre 2013 vissi un’esperienza che chi ha segnato tantissimo. A causa del mestiere che facciamo, ogni tanto qualche morto lo vediamo, ma mai tanti e tutti assieme come in quella mattinata. Ero già un padre, avevo già dei figli, e dal punto di vita umano è stata un’esperienza particolarmente toccante. Da quel giorno non sono mai più entrato, in quell’hangar…”.

Quel business miliardario del traffico di esseri umani

PALERMO – Sono 133.171 i migranti sbarcati in Italia dal 1° gennaio al 29 settembre 2023. Il dato è riportato sul sito del ministero degli Interni. Il picco di sbarchi si è registrato il 12 settembre quando, sempre secondo i dati ufficiali, i migranti sbarcati sono stati 4.999 mentre il mese che ha registrato il numero più alto è agosto, con un picco di 25.650 persone.

Ma l’arrivo sul territorio nazionale di persone extra-comunitarie che fuggono da guerra, fame, disastri ambientali come la desertificazione, faide e persecuzioni politiche non si ferma qui perché ai 133.171 sopra citati è necessario aggiungere anche, sempre secondo dati forniti dal Ministero, le 173.645 persone in fuga dal conflitto in Ucraina che sono arrivate dal 13 gennaio a fine maggio 2023 considerati però immigrati regolari. In totale si tratta di 480.461 individui, bambini, uomini e donne, che hanno dovuto abbandonare la terra in cui sono nati. Mentre quanti sono sbarcati in Italia spesso si muovono verso gli altri Stati europei per ricongiungersi con famiglia già migrate in passato, è presumibile invece che quanti sono scappati dalla guerra in Ucraina rimangano stanziali sino al termine del conflitto.

È evidente che una riforma della politica di immigrazione, sia illegale sia legale, è probabilmente in attesa di tempi migliori che non sembrano essere questi. Eppure, nel mondo, esempi illuminati di legislazione riguardante l’immigrazione ne esistono, un per tutte quella canadese anche ritenuta un modello a livello internazionale per la sua funzionalità rispetto alle esigenze del Paese d’immigrazione e all’integrazione dei nuovi arrivati.

Lampedusa è stata definita, da una sua abitante, un “inferno dantesco” anche se, in realtà non è l’unico territorio di confine sotto stress per la pressione migratoria. Il confine tra Italia e Slovenia è sulle colline che sovrastano Trieste. Quella linea da attraversare è la stessa per chiunque – pakistani, afghani, ucraini, siriani – ma sembra avere anche una finezza giuridica diversa a seconda della nazionalità del migrante. L’Unione europea, a seguito dell’invasione russa, ha concesso agli ucraini una protezione temporanea collettiva e l’Italia concede automaticamente il permesso di soggiorno al loro arrivo. Per tutti gli altri migranti per poter restare in Italia è necessario presentare una domanda di asilo e attendere il permesso di soggiorno, compresi quelli provenienti da territori oggetto di crisi umanitarie come Afghanistan e Siria.

In realtà i diversi flussi migratori che stanno raggiungendo l’Italia hanno caratteristiche diverse. La principale è che quanti sbarcano illegalmente, dopo l’attraversamento del canale di Sicilia, in Italia sono anche vittime di trafficanti umani che, dall’illecito smercio traggono un profitto. Proprio per questo motivo, lo scorso 29 ottobre, a Palermo si è tenuta la Conferenza internazionale dal titolo “La Convenzione di Palermo e i suoi protocolli sulla tratta di persone e sul traffico di migranti: strumenti giuridici e operativi per affrontare le attività criminose nel contesto del Mediterraneo”, cui hanno partecipato i ministri e le delegazioni di 34 Paesi.

“Il nostro incontro odierno – ha dichiarato il ministro della Giustizia Carlo Nordio in apertura della conferenza – è focalizzato sulla lotta al crimine organizzato nel traffico di migranti e nella tratta di essere umani nell’area del Grande Mediterraneo. L’impegno in questa lotta deve unire le Nazioni delle due sponde del Mediterraneo, così come quelle dell’Africa e dell’Europa, e dei nostri principali partner e alleati”.

Ha parlato, invece, di due iniziative essenziali che ha definito pilastri, il ministro degli Interni Matteo Piantedosi che ha detto: “Da un lato, la necessità di potenziare la collaborazione con i Paesi di origine e transito dei flussi, per rafforzare la cooperazione di natura investigativa e rendere più efficace la risposta repressiva contro i trafficanti. Dall’altro lato, la necessità di agire concretamente sulle cause della migrazione e offrire ai migranti delle alternative legali ai loro progetti migratori. A livello globale il business del traffico migranti genera affari per 6-7 miliardi di euro ogni anno, cui vanno aggiunti i proventi ottenuti dal successivo sfruttamento delle vittime con il racket della prostituzione, del lavoro nero, dell’accattonaggio, solo per citare alcuni esempi”.

A questo proposito la deputata del Pd Debora Serracchiani, sentita dal QdS a margine del IV° congresso nazionale di AreaDg che si è tenuto a Palermo dal 29 settembre al 1° ottobre, ha dichiarato: “Vorrei ricordare che i trafficanti, così come tutta la criminalità organizzata, oramai si muove su pianeti e orizzonti diversi, e penso a quelli finanziari e quelli che fanno riferimenti ai cosiddetti colletti bianchi, eppure questo Governo, da questo punto di vista, sembra avere un riguardo particolare perché sta smontando tutti gli interventi, e parlo anche dell’abuso d’ufficio che è una reato sentinella. Ritengo che affrontare il tema dei migranti in questo modo sia oltremodo sbagliato e denota la mancanza di una soluzione da parte di questo Governo. I grandi Cpr sono esattamente il contrario dei questa definizione di migranti di transito, sono persone che rischiano la vita per arrivare in un luogo in cui pensano di poter vivere meglio”.

“Il nostro – ha aggiunto – non è solo un problema di emergenza ma di accoglienza e integrazione su cui non stiamo investendo un euro. È vero che c’è bisogno di sicurezza e di ordine ed è vero che bisogna combattere i trafficanti di esseri umani, ma è altrettanto vero che manca quell’umanità che faccia sì che non si combattano i migranti per combattere i trafficanti. Le voci che sostengono questa direzione sono tante, compresa quella di Papa Francesco che ha parlato recentemente a Marsiglia”.

A dieci anni dal naufragio che avvenne a Lampedusa il 3 ottobre 2013, che ha provocato 368 morti accertati e circa 20 dispersi presunti e che la pongono come una delle più gravi catastrofi marittime nel Mediterraneo, poco sembra cambiato, anzi quasi nulla. Le politiche e le normative comunitarie, seppur esistenti, non sono sempre adottate dagli Stati membri nel nome della “sovranità nazionale” e, proprio per questo, l’Italia sembra essere l’unico “porto sicuro”.

La voce di Papa Francesco contro l’indifferenza

ROMA – “Viene la parola ‘vergogna’: è una vergogna! Uniamo i nostri sforzi perché non si ripetano simili tragedie”. Così tuonò Papa Francesco il 3 ottobre 2013. E proprio il Pontefice lo scorso 22 settembre è arrivato a Marsiglia per chiudere, nella giornata del 23, l’evento dedicato alle sfide della migrazione “Rencontres Méditerranéennes”.

Si è trattato, per lui, del 44° viaggio apostolico del suo pontificato ed è andato nella città francese da sempre distintasi per essere luogo di accoglienza e crocevia di diverse culture, viaggio che avviene tra l’altro nel pieno dell’emergenza sbarchi a Lampedusa. Con lui, a Marsiglia, anche l’arcivescovo metropolita di Palermo Corrado Lorefice e diversi sacerdoti e suore provenienti da Palermo.

Nel corso della sua, seppur breve, permanenza a Marsiglia, il Papa ha discusso con il presidente francese Emmanuel Macron anche di fine vita, della guerra in Ucraina, della situazione nel Sahel e di ambiente. Ma è sulla questione migranti che la sua attenzione è stata più alta. In merito alle parole di Bergoglio, fonti dell’Eliseo hanno citato la sua denuncia sull’“indifferenza” dei responsabili politici europei, ma hanno sottolineato che “la Francia non deve vergognarsi, è un Paese di accoglienza e di integrazione”.

“Il mare nostrum – ha detto Papa Francesco nel suo discorso di chiusura dell’iniziativa – è spazio d’incontro: tra le religioni abramitiche; tra il pensiero greco, latino e arabo; tra la scienza, la filosofia e il diritto, e tra molte altre realtà. Ha veicolato nel mondo l’alto valore dell’essere umano, dotato di libertà, aperto alla verità e bisognoso di salvezza, che vede il mondo come una meraviglia da scoprire e un giardino da abitare, nel segno di un Dio che stringe alleanze con gli uomini. Il mare nostrum è spazio di incontro: tra le religioni abramitiche; tra il pensiero greco, latino e arabo; tra la scienza, la filosofia e il diritto, e tra molte altre realtà. Ha veicolato nel mondo l’alto valore dell’essere umano, dotato di libertà, aperto alla verità e bisognoso di salvezza, che vede il mondo come una meraviglia da scoprire e un giardino da abitare, nel segno di un Dio che stringe alleanze con gli uomini”.

“Fratelli e sorelle – ha continuato il Pontefice – nell’odierno mare dei conflitti, siamo qui per valorizzare il contributo del Mediterraneo, perché torni a essere laboratorio di pace. Perché questa è la sua vocazione, essere luogo dove Paesi e realtà diverse si incontrino sulla base dell’umanità che tutti condividiamo, non delle ideologie che contrappongono. Sì, il Mediterraneo esprime un pensiero non uniforme e ideologico, ma poliedrico e aderente alla realtà; un pensiero vitale, aperto e conciliante: un pensiero comunitario. Quanto ne abbiamo bisogno nel frangente attuale, dove nazionalismi antiquati e belligeranti vogliono far tramontare il sogno della comunità delle nazioni! Ma, ricordiamolo, con le armi si fa la guerra, non la pace, e con l’avidità di potere si torna al passato, non si costruisce il futuro (…) Oggi il mare della convivenza umana è inquinato dalla precarietà, che ferisce pure la splendida Marsiglia. E dove c’è precarietà c’è criminalità: dove c’è povertà materiale, educativa, lavorativa, culturale e religiosa, il terreno delle mafie e dei traffici illeciti è spianato. L’impegno delle sole istituzioni non basta, serve un sussulto di coscienza per dire ‘no’ all’illegalità e ‘sì’ alla solidarietà, che non è una goccia nel mare ma l’elemento indispensabile per purificarne le acque”.

Il Papa ha poi messo in risalto la drammatica situazione di chiusura di molti porti europei, quella chiusura che costringe l’Italia a essere forzatamente territorio di transito. “Il porto di Marsiglia – ha detto – è da secoli una porta spalancata sul mare, sulla Francia e sull’Europa. Da qui molti sono partiti per trovare lavoro e futuro all’estero, e da qui tanti hanno varcato la porta del continente con bagagli carichi di speranza. Marsiglia ha un grande porto ed è una grande porta, che non può essere chiusa. Vari porti mediterranei, invece, si sono chiusi. E due parole sono risuonate, alimentando le paure della gente: ‘invasione’ ed ‘emergenza’. Ma chi rischia la vita in mare non invade, cerca accoglienza. Quanto all’emergenza, il fenomeno migratorio non è tanto un’urgenza momentanea, sempre buona per far divampare propagande allarmiste, ma un dato di fatto dei nostri tempi, un processo che coinvolge attorno al Mediterraneo tre continenti e che va governato con sapiente lungimiranza: con una responsabilità europea in grado di fronteggiare le obiettive difficoltà. Il mare nostrum grida giustizia, con le sue sponde che da un lato trasudano opulenza, consumismo e spreco, mentre dall’altro vi sono povertà e precarietà. Anche qui il Mediterraneo rispecchia il mondo, con il Sud che si volge al Nord, con tanti Paesi in via di sviluppo, afflitti da instabilità, regimi, guerre e desertificazione, che guardano a quelli benestanti, in un mondo globalizzato nel quale tutti siamo connessi ma i divari non sono mai stati così profondi. Eppure, questa situazione non è una novità degli ultimi anni, e non è questo Papa venuto dall’altra parte del mondo il primo ad avvertirla con urgenza e preoccupazione. La Chiesa ne parla con toni accorati da più di cinquant’anni (…) A tale proposito, il porto di Marsiglia è anche una ‘porta di fede’. Secondo la tradizione, qui approdarono i Santi Marta, Maria e Lazzaro, che seminarono il Vangelo in queste terre. La fede viene dal mare, come rievoca la suggestiva tradizione marsigliese della Candelora con la processione marittima. Lazzaro, nel Vangelo, è l’amico di Gesù, ma è anche il nome del protagonista di una sua parabola attualissima, la quale apre gli occhi sulla disuguaglianza che corrode la fraternità e ci parla della predilezione del Signore per i poveri. Ebbene noi cristiani, che crediamo nel Dio fatto uomo, nell’unico e inimitabile Uomo che sulle rive del Mediterraneo si è detto via, verità e vita (cfr. Giovanni 14,6), non possiamo accettare che le vie dell’incontro siano chiuse, che la verità del dio denaro prevalga sulla dignità dell’uomo, che la vita si tramuti in morte!”.

“Cari fratelli e sorelle – ha concluso Papa Francesco – vi ringrazio per il vostro paziente ascolto e per il vostro impegno. Andate avanti! Siate mare di bene, per far fronte alle povertà di oggi con una sinergia solidale; siate porto accogliente, per abbracciare chi cerca un futuro migliore; siate faro di pace, per fendere, attraverso la cultura dell’incontro, gli abissi tenebrosi della violenza e della guerra. Grazie”.

Le parole e le riflessioni sul Mediterraneo di Luca Casarin, capo della missione della Mare Jonio della flotta di Mediterranea Saving Humans

ROMA – Luca Casarini è a capo della missione in mare di ricerca e soccorso della nave Mare Jonio della flotta di Mediterranea Saving Humans. Il 22 e 23 settembre era a Marsiglia, con la delegazione italiana che ha partecipato ai “Rencontres Méditerranéennes”.

Sono passati dieci anni da quell’alba che ci riconsegnò 368 vittime del naufragio che si verificò a poche miglia da Lampedusa. È cambiato qualcosa, in questi dieci anni?
“Purtroppo penso che i governi abbiamo imparato, studiando quanto possibile a ignorare tutte le leggi esistenti, le convenzioni di Ginevra, quella di Amburgo, la Dichiarazione universali dei Diritti dell’uomo, le Costituzioni nazionali. Il tutto anziché far partire una stagione di riflessione, proprio a partire da quell’episodio, oltre all’istituzione di quella che rimane l’unica missione per il soccorso in mare, ‘Mare Nostrum’. Agendo sul soccorso in mare questa missione aveva imboccato un solco che non corrispondeva a quanto, poi, si scoprì essere nei disegni dei Governi, ossia il respingimento e la difesa dei confini. In realtà nessuno ha voluto scavare sui motivi della partenza ma, come ha detto a Marsiglia Papa Francesco, ‘Dobbiamo smetterla di evitare di affrontare i problemi’”.

I flussi migratori sono, in realtà, un carattere di respiro internazionale…
“Tra le grandi cause che determinano ingenti flussi migratori c’è il tema dello spostamento delle persone dovuto anche allo stato del pianeta. La prima causa di movimento delle persone da casa propria è la desertificazione, i disastri ambientali. A queste cause non è possibile pensare che la soluzione sia la blindatura, che in realtà è come cercare di fermare il vento con le mani. Purtroppo all’interno di questa chiave di lettura si crea un argomento che, elettoralmente parlando, è molto comodo. La storia ci insegna che, quando un Governo o più in generale una classe politica, non riesce a trovare risposte da dare ai suoi cittadini, diventa necessario trovare uno straniero, un invasore, da contrapporre alla propria capacità di soluzione dei problemi. Ogni strage ci ricorda che ogni persona ha il diritto di migrare ma anche quello di non migrare, di poter rimanere nel proprio paese natale”.

Durante la Conferenza internazionale tenutasi a Palermo nei giorni scorsi e che aveva i fenomeni migratori tra i suoi tempi principali si è parlato d’intercettazione nei territori di transito, pensi che sia una strada perseguibile e che aiuti quanti hanno necessità di migrare?
“Non penso proprio. Il ministro Nordio, in quell’occasione, ha indicato che il Governo vuole aprire una guerra in tutto il globo contro i trafficanti di essere umani, ma forse ha dimenticato che proprio quei trafficanti di essere umani hanno potuto accumulare fortune immense grazie al fatto che non esistono canali legali per queste persone, e questo gli ha permesso di diventare monopolisti di questo, perverso, ‘viaggio della speranza’. Altra cosa sarebbe se avesse se avesse detto, il ministro, che proprio nei Paesi di transito saranno aperte ambasciate in grado di raccogliere le richieste di asilo, anche al fine di permettere la creazione di corridoi umanitari. Si pensi che, da gennaio a oggi, attraverso i canali legali abbiamo dato l’accesso a sole 49 persone. Inoltre dobbiamo fare i conti con il fatto che, in generale, i paesi dell’Unione europea non vogliono i migranti”.

E quando si dice “aiutiamoli a casa loro”?
“Bisogna capire cosa possiamo e dobbiamo fare. Per esempio, anziché dare alla Libia, dal 2017 a oggi quasi 1 miliardo di euro per il controllo delle frontiere, perché non li abbiamo destinati alla costruzione di scuole, degli ospedali, al controllo delle dighe che quando straripano, come successo non molti giorni fa, fanno decine di migliaia di morte? Questo avrebbe potuto essere il primo grande passo per aiutarli a casa loro”.

Si parla, spesso, di esodo. Quali sono i numeri globali delle migrazioni?
“In tutto il mondo le emigrazioni forzate sono calcolate in cento milioni di persone su un pianeta che ne ospita 8 miliardi, si tratta quindi di un’esigua minoranza. Il flusso proveniente dall’Africa è, in realtà, una piccolissima minoranza. Si tenga presente che il povero possiede una sola cosa, la memoria dei luoghi. Quando un povero è costretto a muoversi da un luogo che conosce, perde tutto quello che ha. Lasciare la propria casa, il proprio territorio è una scelta dolorosa perché significa lasciarsi alle spalle tutto quello che ha. Viviamo in un mondo in guerra e non possiamo pensare che questo generi tranquillità e serenità. I numeri dimostrano che non si tratta di un esodo. Dimentichiamo che il mar Mediterraneo è un luogo particolare, ha cinque sponde e tre continenti con un mare in mezzo. È il luogo in cui sono nate le culture e le tre religioni monoteistiche che hanno dato forma all’occidente. Vogliamo capire che lo stiamo trasformando in un cimitero?”.

So che sei stato a Marsiglia nei giorni dei “Rencontres Méditerranéennes”. Le tue impressioni?
“Questa Chiesa riconosce il ruolo del Mediterraneo, ha ben compreso la sua importanza, cosa che non hanno fatto i governanti, che lo considerano troppo spesso uno specchio d’acqua. È la Chiesa di Abramo, e in questo momento ha ben chiaro il suo compito storico, politico e anche spirituale. Papa Francesco, e questo mi ha colpito moltissimo, ha parlato di un bivio. Quando arrivi ai bivi della storia, se non hai capito di esserci arrivato o non hai capito dove portano le due strade, c’è il rischio che ti trovi a imboccare quella che porta all’apocalisse. A Marsiglia siamo riusciti a essere ‘mediterranei’. Le realtà giovanili, provenienti dal Libano, l’Egitto, da Sarajevo, dalla Tunisia, dal Marocco, dall’Algeria, dalla Siria, erano lì e discutevano sullo stesso piano, con i vescovi. E assieme hanno cercato di capire quale sia la soluzione possibile. Si tenga anche conto che Papa Francesco ha parlato da ‘Notre Dame de la Garde’, fuori dalla basilica rivolto verso il mare, con i rappresentanti di tutte le religioni, ha partecipato anche un monaco buddista. Per i marsigliesi, è la protettrice dei marittimi e di quanti sono morti in mare. Cosa ha detto Papa Francesco? Che oltre a essere patrona dei marittimi e di quanti sono morti in mare lo è anche dei nostri fratelli migranti che muoiono nel tentativo di attraversare qual tratto di mare. Inoltre va notato che ha deciso di andare a Marsiglia, non a Parigi, in una città mediterranea, una città meticcia, e questo ha voluto dire andare in una delle periferie del mondo e da lì parlare al mondo”.

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