Il risultato della prima raccolta simbolica avvenuta all'interno del Parco archeologico di Segesta, nel trapanese. Si tratta del frutto di 25 alberi di ulivo che versavano in stato di abbandono
Cento litri di olio estratti da trecento chili di olive. Sono il risultato della prima raccolta simbolica avvenuta all’interno del Parco archeologico di Segesta, nel trapanese. Si tratta del frutto di 25 alberi di ulivo che versavano in stato di abbandono e che da quest’anno, grazie all’attenzione della direttrice del Parco, Rossella Giglio, sono stati curati e “messi a reddito” nella logica di recupero e custodia di quel paesaggio che, insieme alle vestigia monumentali, contribuisce a rendere l’area archeologica di Segesta un luogo di bellezza senza tempo.
“Dimensione agricola del territorio”
“I nostri parchi archeologici – sottolinea l’assessore dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, Alberto Samonà – si trovano in contesti ambientali che il tempo sembra non aver mutato. Oggi il visitatore ha la possibilità di scoprire luoghi unici al mondo in cui archeologia e paesaggio diventano un tutt’uno. Il recupero, oltre che del patrimonio monumentale anche di quello ambientale, è un segno dell’attenzione che la direzione del Parco archeologico di Segesta, in linea con gli indirizzi del governo regionale, sta prestando al contesto paesaggistico recuperandone, gradatamente, la piena fruibilità e bellezza. Dopo il grano di Selinunte, il vino e l’olio del Parco della Valle dei Templi di Agrigento, l’olio di Segesta rappresenta il segno di uno sguardo nuovo, attraverso il recupero di una dimensione agricola del territorio, che ci viene raccontata anche dalla storia”.
“Vegetazione componente essenziale del parco”
Fino ad oggi gli alberi del Parco non erano stati mai potati e mai prima d’ora la direzione del Parco aveva dato luogo a una raccolta ufficiale di olive. “Gli ulivi fanno parte della storia di Segesta e, richiamando Tucidide, – dice la direttrice del Parco, Rossella Giglio – mi piace ricordare che i popoli del Mediterraneo cominciarono ad uscire dalla barbarie quando impararono a coltivare l’olivo e la vite. Attraverso questo intervento abbiamo iniziato a curare anche la vegetazione che consideriamo componente essenziale del parco stesso. Il prossimo intervento sarà il recupero del vigneto che si trova sparso in più punti dei 180 ettari del Parco”.