Riciclaggio, in Sicilia segnalazioni in calo - QdS

Riciclaggio, in Sicilia segnalazioni in calo

Michele Giuliano

Riciclaggio, in Sicilia segnalazioni in calo

martedì 19 Settembre 2023

-3,7% nel 2022 secondo la Cgia di Mestre che ha rielaborato i dati Uif (Banca d’Italia) e Istat. Quasi ovunque in Italia, invece, le operazioni finanziarie sospette sono in netto aumento

PALERMO – In Sicilia si riducono le segnalazioni di operazioni finanziarie in odore di riciclaggio. Questo è quanto dicono i dati, elaborati dall’ufficio studi della Cgia di Mestre che ha lavorato sui dati forniti dall’unità finanziaria della Banca d’Italia e Istat. Tra 2021 e 2022, infatti, l’incidenza delle segnalazioni sospette ogni 100 mila abitanti è scesa a 184,9, per un totale di 8.936 contro 9.283 dell’anno precedente, con una variazione percentuale del -3,7%.

Si tratta di un ottimo risultato, considerato che in quasi tutta Italia le variazioni sono state in positivo; soltanto in Emilia Romagna, infatti, è stata registrata una variazione del -1%, mentre la media nazionale è salita all’11,4%, considerando anche le operazioni on line. Per area geografica, è il Centro a segnare il maggiore aumento, del 10,3%, seguito dal Nord Ovest, al 9,2%, il Sud all’8,9% e il Nord Est al 6,4%. A livello regionale il Lazio, la Campania e la Lombardia sono le realtà che nel 2022 hanno fatto pervenire il più alto numero di segnalazioni.

Su base provinciale, è Enna a segnare il valore minore in termini di incidenza ogni 100 mila abitanti, fermandosi a 120,6 segnalazioni, con una riduzione nel 2022, rispetto al 2021, del -14,5%. A seguire Siracusa, a 157,3, al -5%; quindi, Trapani, a 175,9, ma con un aumento dell’1,4%, in controtendenza rispetto all’andamento regionale. Poco più su, Caltanissetta a 178,4 e -3,2%, e Catania, che arriva a 179,1 segnalazioni ogni 100 mila abitanti, con una riduzione del 2,6%. Si sale sopra la media regionale con Messina, a 188,3 operazioni sospette e un aumento del 4% rispetto al 2021. Ancora, Agrigento, che scende dell’8,9%, ma presenta 189,7 segnalazioni. Rimangono solo Ragusa, con una forte riduzione del 14,9% ma ben 193,6 segnalazioni ogni 100 mila abitanti, e Palermo, unica a superare la quota dei 200, arrivando a 206, ma segna una riduzione del 3,3%. Numeri ben più bassi delle città che si sono distinte per le maggiori situazioni a rischio, come Milano, con 472,9 segnalazioni ogni 100mila abitanti, Roma (404,8), Prato (388,2), Napoli (386,9), Crotone (371,7), Siena (366), Imperia (335,5), Trieste (328,6), Caserta (303,4) e Bolzano (298,7).

In linea di massima le realtà più a rischio a livello nazionale sono le grandi aree metropolitane (Milano, Roma, Napoli e Firenze) a cui si affiancano le province di confine (Imperia, Trieste, Bolzano, Aosta) e i territori con livelli di criminalità organizzata molto preoccupanti (Crotone, Caserta e Reggio Calabria). A queste tendenze spiccano poi le specificità di Prato, con forte presenza della comunità cinese, e Rimini, cuore del turismo balneare. I dati nazionali sono sicuramente allarmanti: il pericolo che la criminalità economica stia incuneandosi nel mondo produttivo è sempre più elevato.

Secondo la Cgia, c’è un ulteriore rischio: “Se la combinazione tra l’aumento dei tassi di interesse – scrivono dall’associazione di categoria – e la diminuzione dei prestiti bancari alle Pmi verificatosi in questo ultimo anno dovesse continuare, non è da escludere che il numero delle imprese a rischio infiltrazione mafiosa sia destinato a crescere ulteriormente”. Secondo una stima prudenziale redatta della Banca d’Italia, il giro d’affari della criminalità organizzata in Italia ammonterebbe a circa 40 miliardi di euro l’anno (praticamente 2 punti di Pil), e quasi 3 mila sono state le aziende confiscate alle mafie al 25 giugno scorso. Le regioni più colpite da questo provvedimento sono state la Sicilia (888 casi), la Campania (521), il Lazio (439), la Calabria (359) e la Lombardia (248). I settori più interessati hanno riguardato le costruzioni, 22,6% del totale, il commercio (20,7%), gli alloggi e ristorazione (9,7%) e le attività immobiliari (7,9%).

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