Disco verde dal Cga. Ora le Srr facciano ricorso a gare di evidenza europea per realizzare gli impianti
Quando si parla di rifiuti in Sicilia va anzitutto sgombrato il campo da ogni equivoco: ancora oggi regnano le discariche. In una regione dove gli impianti alternativi continuano a scarseggiare, i Comuni restano ostaggio dei pochi privati che gestiscono i “mega-mostri” disseminati lungo l’Isola. Non c’è dubbio, però, che da quando si è insediato il Governo Musumeci, e in particolare da quando in viale Campania è arrivato l’ex assessore regionale Alberto Pierobon, di passi avanti ne sono stati fatti.
In tre anni la raccolta differenziata, da poco più del 20% è arrivata a toccare una media del 40% e il conferimento in discarica (ultimi dati Ispra alla mano) è sceso al 58%. È inoltre migliorato il rapporto tra impiantistica pubblica e privata, con quest’ultima scesa dal 90% a circa il 60-70% del totale. Si tratta di numeri ancora lontani dai modelli più virtuosi del Nord, ma il miglioramento rispetto al passato è oggettivo.
Un processo che trova il suo coronamento nel nuovo Piano rifiuti della Regione, che Pierobon ha appena fatto in tempo a portare a conclusione, prima di cedere il passo al nuovo assessore Daniela Baglieri, che ora avrà il difficile compito di vigilare affinché le Società di regolamentazione dei rifiuti procedano a realizzare i necessari impianti.
Ieri si è avuta la notizia del “disco verde” arrivato anche dal Consiglio di giustizia amministrativa (Cga) che, dopo la prima “bocciatura”, ha accolto le integrazioni apportate dall’Assessorato. Dunque ora l’Isola ha un Piano, per la precisione un Regolamento di attuazione dell’art.9 della Legge regionale 9 del 2010. Uno strumento che, come riporta lo stesso Cga nel parere reso lo scorso 23 febbraio 2021, possiede “un alto standard di precettività” e dunque non potrà essere ignorato.
Da chi? Principalmente dai Comuni aggregati all’interno delle già citate Società di regolamentazione, le Srr, che ora più che mai dovranno dotarsi degli impianti necessari per rispondere al fabbisogno di smaltimento. “Si chiude l’era delle discariche – aveva sottolineato nel dicembre scorso Pierobon – che resteranno marginali nelle future scelte dei territori. Ogni ambito provinciale dovrà essere autosufficiente nell’impiantistica scegliendo la tecnologia necessaria a chiudere il ciclo. Priorità in sede di valutazione avranno gli impianti pubblici, in un’ottica di riequilibrio con il settore privato”.
Alcuni hanno storto il naso di fronte a questa strategia di “delegare” in toto la scelta degli impianti ai territori, parlando talora di “mancanza di coraggio”. Ma, come ripetuto più volte dall’ex assessore, l’obiettivo è evitare a monte l’insorgere delle comunità locali che spesso, nell’Isola, hanno protestato in preda alla diffusa sindrome Nimby (Not in my back yard, non nel mio giardino).
Dall’altra parte, però, la mancanza di impianti si ritorce proprio contro i cittadini, costretti a pagare di tasca propria per i maggiori costi di conferimento in discarica dei rifiuti. O addirittura di esportazione, come successo recentemente in provincia di Catania, dove i sindaci, non avendo più dove smaltire la frazione organica, si sono dovuti affidare a intermediari che trasportano la spazzatura fuori dalla Regione. Con costi di smaltimento passati da 115 euro a tonnellata a 300 euro. “Così siamo costretti ad aumentare la Tari”, ha tuonato nei giorni scorsi il primo cittadino di Sant’Agata Li Battiati, Marco Rubino, che è anche vicepresidente della Srr dell’area metropolitana etnea. Qui c’è già un progetto per un impianto pubblico, da realizzare nella Zona industriale, per la digestione anaerobica dell’organico che, stando a quanto affermato da alcune fonti in assessorato, avrebbe già la delibera di finanziamento.
Ma quanti impianti servono all’Isola per dirsi fuori dalla “crisi”? Secondo un recente rapporto di Utilitalia, federazione che rappresenta il variegato mondo delle utilities pubbliche, all’Isola mancano almeno sei impianti di digestione anaerobica per soddisfare un fabbisogno di smaltimento stimato in 568 mila tonnellate di spazzatura, un terzo di quanto serve a tutto il Sud peninsulare (1,4 milioni di tonnellate). Ma non basta per chiudere il famigerato “ciclo dei rifiuti”. Alla nostra regione serve anche almeno un termovalorizzatore capace di accogliere 515 mila tonnellate di scarti ogni anno. Si tratta di una stima più prudente rispetto ai due da 700 mila tonnellate che, invece, aveva previsto il Governo Renzi nel Dpcm 10 agosto 2016, passato alle cronache come “Piano inceneritori” e recentemente annullato dal Tar Lazio ma solo nella parte che non prevede l’espletamento di previa Valutazione ambientale strategica (Vas) statale.
Ma anziché un mega impianto la soluzione ora, con il nuovo Piano regionale dei rifiuti, potrebbe essere quella di realizzare strutture più piccole “tarate” sui fabbisogni locali. Tra le opzioni a disposizione delle Srr, infatti, c’è anche la possibilità di ricorrere a un bando pubblico di project financing per realizzare gli impianti, termovalorizzatore compreso. In questo caso, va ribadito, l’impianto dovrà avere una dimensione in linea con le necessità di smaltimento nell’area di competenza della Società d’ambito.