Rifiuti urbani, mercato aperto e concorrenziale? Come i giudici stanno “liberalizzando” il settore - QdS

Rifiuti urbani, mercato aperto e concorrenziale? Come i giudici stanno “liberalizzando” il settore

redazione

Rifiuti urbani, mercato aperto e concorrenziale? Come i giudici stanno “liberalizzando” il settore

Chicco Testa  |
giovedì 08 Febbraio 2024

Un’analisi delle ultime sentenze dei magistrati amministrativi intervenuti, tra l’altro, sulla libera circolazione degli scarti. La stazione appaltante non può indicare l’impianto più vicino, può fare una gara premiando la vicinanza

Una recente raffica di sentenze dei giudici amministrativi sta mettendo in chiaro che il settore rifiuti urbani è un mercato più aperto e concorrenziale di quanto siamo abituati a pensare. Sentenze esito di una stagione ricca di ricorsi, che si affiancano a una lunga stagione di pronunciamenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Vediamo meglio.

Per i rifiuti differenziati sempre ammessa la libera circolazione

Per prima cosa è ormai consolidato in giurisprudenza quello che l’articolo 181 del D.lgs.152/2006 dice letteralmente: “per le frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata destinati al riciclaggio ed al recupero è sempre ammessa la libera circolazione sul territorio nazionale …”. L’avvio di queste frazioni a recupero, inclusa quindi la frazione organica, deve avvenire attraverso una esplorazione del mercato e non con flussi pianificati e vincolati a scala locale. Sempre leggendo le sentenze una stazione appaltante può mettere in gara il servizio di raccolta (anche differenziata), ma non può impostare la gara lasciando scegliere al vincitore dell’appalto (e non a una gara) l’operatore terzo da utilizzare per il recupero, estraneo totalmente alla procedura.

Il principio di prossimità

Qualcuno ha provato ad opporsi a queste interpretazioni, citando la seconda parte dell’articolo 181 che recita “privilegiando, anche con strumenti economici, il principio di prossimità agli impianti di recupero”. Un giudice molto attento ha precisato però che il principio di prossimità non può essere mai anteposto al principio di concorrenza. La stazione appaltante non può indicare l’impianto più vicino e vincolare i flussi, può soltanto fare una gara per scegliere l’impianto di mercato, premiando con un punteggio proporzionato, la vicinanza. Niente di più.

Ancora un altro giudice era anche intervenuto sulla fase di raccolta differenziata, dichiarando che un produttore non domestico di rifiuti simili agli urbani può rivolgersi al mercato per le attività di recupero e non al soggetto gestore locale (monopolista), essendo possibile svolgere questo servizio attraverso una “pluralità di soggetti”.

Anche i rifiuti indifferenziati sul libero mercato

Quanto ai rifiuti indifferenziati molti Piani regionali hanno detto e stanno dicendo che i rifiuti urbani “trattati” ovvero in uscita da un impianto di selezione, diventano rifiuti speciali (come richiamato dall’articolo 184 sempre del D.lgs.152/2006) e come tali gestiti sul libero mercato. Si tratta di rifiuti destinati a recupero energetico o a discarica, per cui non si può, ammesso che siano da intendersi come speciali secondo la legge (poco chiara sul punto), individuare impianti entro confini prestabiliti, ma si deve accedere al mercato.

Su questo ultimo punto la discussione è ancora aperta, molti inceneritori lavorano con flussi vincolati e una localizzazione pianificata, così come molte discariche e impianti intermedi. La norma in effetti non è chiara: l’autosufficienza e la prossimità sono concetti sfuggenti e in parte sovrapponibili. Il principio di autosufficienza risponde a logiche di autonomia e indipendenza di un sistema territorialmente confinato.

Il Principio di prossimità, invece, non si sovrappone con gli stessi limiti territoriali coincidenti con il principio di autosufficienza, o quantomeno, non automaticamente. Quello di prossimità, infatti, è un principio in cui il bene protetto non è il diritto del cittadino a vedere raccolto e gestito il rifiuto prodotto dalla propria comunità territoriale per la quale è chiamato a versare un corrispettivo su base impositiva, ma un’astrazione giuridica preordinata alla generale limitazione della movimentazione dei rifiuti.

L’Arera ha introdotto il concento di “impianto minimo”

In questo quadro complesso, con un “market design” non definito con precisione (come abbiamo fatto per energia, acqua e trasporti) si è inserita l’iniziativa di ARERA che ha introdotto, con una delibera del 2021, il concetto di “impianto minimo”. Impianti per la frazione organica, inceneritore o discarica, chiamati a “chiudere il ciclo” della gestione, che possono essere sottratti a tariffe di mercato (quindi regolate dalla stessa ARERA) se si dimostra un fallimento di mercato e preesistenti flussi vincolati dalla pianificazione. Delibera impugnata e dichiarata illegittima dal Consiglio di Stato pochi giorni fa. ARERA ne ha pubblicata una nuova, forse scritta meglio, forse no.

In questa confusione forse il gruppo di lavoro che il Ministero dell’Ambiente ha recentemente istituito per “riscrivere” e aggiornare il D.lgs.152/2006, potrebbe mettere all’ordine del giorno una scrittura chiara e definitiva di market design, decidendo i pilastri generali di questo mercato e non lasciando ai giudici il compito di chiarirli.

Chicco Testa
Presidente AssoAmbiente

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