Sanità pubblica e strutture private convenzionate “Differenza solo nella qualifica del management” - QdS

Sanità pubblica e strutture private convenzionate “Differenza solo nella qualifica del management”

Chiara Borzi

Sanità pubblica e strutture private convenzionate “Differenza solo nella qualifica del management”

Chiara Borzì  |
sabato 02 Dicembre 2023

Intervista al prof. Salvatore Castorina, presidente della Fondazione Morgagni e presidente emerito del Policlinico Morgagni. “Futuro a rischio per la carenza di professionisti. Occorre puntare di più sulla medicina del territorio”

CATANIA – L’intervista al professore Salvatore Castorina, Presidente della Fondazione Morgagni per lo sviluppo delle Tecnologie in Medicina e Chirurgia e Presidente Emerito del Policlinico Morgagni Case di Cura, offre uno sguardo articolato sulla complessità della sanità pubblica e privata in Italia e nella regione siciliana. Esaminando la gestione, il finanziamento e la qualità dell’assistenza, il professore Castorina espone la distinzione tra la gestione pubblica e privata delle strutture sanitarie, evidenziando come entrambe dipendano principalmente dalla qualità del management e dal supporto finanziario. Castorina affronta anche il tema della carenza di specialisti, delle liste di attesa e della necessità di valorizzare la medicina territoriale per migliorare l’efficienza complessiva del sistema.

Professore, lei comunica l’idea di sanità pubblica che è tale sia se gestita dal pubblico che dal privato accreditato e convenzionato. Cosa intende?
“Confermo a tutti gli effetti: la differenza sta solo nella qualifica del management: istituzionale, di Stato, nella cosiddetta pubblica; espresso dalla titolarità della Casa di Cura nella cosiddetta privata (ente di diritto privato). Sostanziale è invece la differenza nel supporto finanziario. L’Azienda ospedaliera è totalmente finanziata dallo Stato per investimento immobiliare, attrezzature alberghiere e strumenti diagnostici, impianti e manutenzione. I costi delle procedure strettamente cliniche sono coperte dalla valorizzazione del Drg (diagnosis related group) proporzionata alla complessità dell’intervento in risorse umane e presidi richiesti, secondo criteri di stima vigenti in Europa e in Usa. Allo specialista è consentito adire l’extramoenia. Le Case di Cura vengono finanziate dal Ssn solo con la valorizzazione del Drg. Tutto il resto, la titolarità della Casa di Cura lo deve coprire attingendo alle economie di scala comprese tasse erariali, costi energetici e Iva non deducibile. Non consentito l’extramoenia agli specialisti di chiara fama. Il giudizio sulla qualità delle cure in degenza è percepito da indicatori: accoglienza, assistenza, competenza dei medici e dei dottori in infermieristica, ordine, pulizia, pasti, tempestività dei provvedimenti terapeutici. Su questi indicatori il privato può competere con il pubblico. Non può competere nell’ambito delle prestazioni che richiedono l’impiego di tecnologie milionarie impiegate nella diagnostica sofisticata e nelle terapie ultraspecialistiche, per i costi assolutamente non coperti dalle economie di scala consentite dalla valorizzazione dei Drg”.

Come reputa si sia sviluppato il Sistema sanitario nazionale in Sicilia dall’entrata in vigore della legge 883 del 1978? In base alla sua esperienza, verso quale futuro è indirizzata la sanità in Sicilia?
“Allo stato attuale l’organizzazione del Servizio sanitario nei Paesi Europei si ispira a due modelli: il modello Beveridge e il modello Bismarck. Si tratta di modelli rispettivamente proposti da Otto von Bismarck (1815 – 1898), primo ministro prussiano, e William Beveridge (1879 – 1963), economista del Regno Unito. Si differenziano in base a chi finanzia il sistema e a chi fornisce la prestazione: Stato, Regione, Mutua, Assicurazioni. Il modello Beveridge concilia il concetto di socialità del servizio sanitario col modello liberale della libera scelta grazie alle convenzioni con persone giuridiche di diritto privato (Ambulatori e Case di Cura). Tale modello è stato accolto da Italia, Francia, Inghilterra e Belgio. Nel resto d’Europa vige il modello Bismarck, un puzzle, in cui intervengono in proporzioni diverse varie componenti governative, mutualistiche per categoria e le assicurazioni. Un sistema variegato. La sanità tedesca ad esempio è finanziata per l’84% da fonti pubbliche (assicurazioni e fiscalità generale) e per il 16% da fonti private. In Germania (Bismarck) l’offerta dei servizi ospedalieri è erogata per quanto di mia conoscenza da 1.914 ospedali di cui il 72% sono privati (a scopo di lucro o no profit). Per fare un paragone con l’Italia (Beveridge) l’80% dei posti letto sono presso strutture pubbliche, il 20% nel privato accreditato e convenzionato. A tal proposito 534 sono le strutture di ricovero e cura convenzionate aderenti ad Aiop (Associazione italiana ospedalità privata) che ospitano 60.000 posti letto avvalendosi di 12 mila medici, 28 mila infermieri e tecnici e 33 mila operatori di supporto. Si aggiungano circa 26 mila posti letto aderenti Aris (Associazione religiosa enti sanitari). L’offerta dell’Ospedalità privata all’assistenza ospedaliera è valutabile nel nostro sistema pari a oltre 1 milione e 500.000 prestazioni in regime di ricovero per un totale di 9 milioni circa di giornate di degenza per anno. Centinaia di migliaia le prestazioni in Dh e ambulatoriali. A Istituzioni di diritto privato afferiscono pure gli Ircss (Istituti di Ricovero e Cure a carattere scientifico che rispetto alle Case di Cura beneficiano di interventi statali per Ricerca Scientifica e acquisizioni di Tecnologie avanzate). Si tratta di monospecialistiche altamente qualificate”.

Qual è il suo parere sullo sviluppo attuativo della legge 883/1978?
“Lo sintetizzerei nel motto ‘tra il dire e il fare’ c’è di mezzo l’uomo infermo e l’impellenza della richiesta di soccorso al suo problema di salute, senza che vi si legga nel mio giudizio nessuna minima gratuita ironia né presunzione, ma la partecipazione da medico al riconoscimento della difficoltà attuativa sul campo dei principi ispiratori. I principi sono validissimi, le carenze attuative vengono riconosciute, ma non attribuibili alla burocrazia che li governa, bensì alla complessità delle patologie da affrontare per la variabilità delle loro caratteristiche, siano acute, subacute o croniche. Va valutata altresì la imprevedibilità con cui colpiscono l’infermo. Si tratta di un sistema cui si richiede vigilanza h24, sempre più difficilmente attiva, per la denunciata carenza di specialisti”.

Quanto pesa questa scarsità di personale?
“Il futuro è a rischio reale per l’annunciata carenza di professionisti. La cronaca giornalistica denuncia frequentemente l’impossibilità di tutte le Aziende ad assicurare turnazioni stabili di personale medico specialistico. Tale carenze, su cui gravano responsabilità politiche di non previgenza, resteranno tali per almeno un decennio, pur tenendo conto dell’annunciata disponibilità a modificare in senso più estensivo l’accesso alla facoltà di medicina. Un’opportunità, per rimediare all’imbuto delle liste di attesa, sarebbe la migliore utilizzazione della medicina nel territorio. è ormai generalmente condiviso a tutti i livelli che è venuto il momento della valorizzazione della medicina nel territorio. Da una sua nuova concezione di complementarietà nella rete ospedaliera forse dipenderà la rimozione di molte criticità sofferte dall’utenza”.

In questo contesto, qual è oggi il ruolo del medico di base?
“Rifacendomi a una personale esperienza, mi si passi una riflessione. Non si può prescindere da quanto sia diverso il contesto nel quale operava il medico di famiglia nel secolo scorso a confronto del contesto in cui il medico nel territorio deve muoversi oggi. Nel primo caso prevaleva in diagnosi l’apporto della semeiotica fisica sulla semeiotica strumentale. Il processo tecnologico ha invertito tale rapporto producendo il fenomeno della medicina difensiva. Il medico di base diventa una grande risorsa se lo si mette in condizione di uscire dall’isolamento del suo studio di quartiere e utilizzare la sua alta professionalità, inserito nel cosiddetto sistema Hub-Spoke già sperimentato dalla rete ospedaliera. Hub traduce fulcro (medico di base), Spoke traduce raggio e nel caso va tradotto come specialista nell’orbita attorno al medico di base (fulcro). Ci sono tante maniere possibili per mettere in pratica tutto questo. Un esempio attuato vige nel distretto di Catania presso il Pta San Luigi dove Medici di Famiglia e Specialisti lavorano insieme per la presa in carico del malato cronico, modello eccellente come confermato, per quanto a me risulta, dal presidente Renato Schifani supportato da Agenas (Agenzia nazionale servizio sanitario). Quello che conta è il risultato da ottenere. Il medico di base deva ottenere una pronta risposta alla sua richiesta di lumi dalla diagnostica strumentale, così da procedere agli step successivi non affidati alle iniziative del paziente, ma dettati dalle norme che le società scientifiche emanano per le varie patologie. Certamente si abbatterebbero le liste di attesa e il pressing sui pronto soccorso”.

L’assistenza sanitaria comprende l’aspetto medico, infermieristico e assistenziale. Come equilibrare questi tre aspetti per offrire un servizio efficiente ai siciliani?
“In effetti l’assistenza riguarda la linea dei pazienti acuti, da riabilitare e dai non guaribili ma di cui prendersi cura. è un grosso bacino, quest’ultimo, su cui operano in convenzione associazioni per cure domiciliari oltre che le residenze sanitarie assistenziali (Rsa) e le lungodegenze. è un problema reale perché l’elevazione dell’età media lo rende tale e le soluzioni non sono uguali per ogni caso: una soluzione potrebbe derivare dalla soppressione dei limiti in atto esistenti nell’utilizzo delle lungodegenze. Il pressing delle famiglie, nei casi sempre più numerosi di malati inguaribili cui non viene meno il dovere sociale di prendersi cura, ricorre con alta frequenza proprio perché è anche venuta meno l’organizzazione patriarcale delle famiglie di un tempo. Di questo va tenuto ben conto”.

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