Sanità, l'ultimo chirurgo lascia il reparto e passa al privato: "Una scelta di libertà"

Sanità, l’ultimo chirurgo lascia il reparto e passa al privato: “Una scelta di libertà”

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Sanità, l’ultimo chirurgo lascia il reparto e passa al privato: “Una scelta di libertà”

Salvo Catalano  |
martedì 25 Aprile 2023

La denuncia di Mauro Zanchi, ex chirurgo dell’ospedale di Canicattì: "“La struttura non è nelle condizioni di assicurare la tutela e l’assistenza sanitaria richiesta"

Mauro Zanchi per cinque anni è stato l’unico chirurgo dell’ospedale di Canicattì. “Reperibile 30 giorni su 30, ero agli arresti domiciliari”. Poche settimane fa ha detto basta. E si è trasferito nella clinica privata Sant’Anna, la cui facciata a specchi riflette letteralmente i templi di Agrigento. “Non l’ho fatto per lo stipendio che più o meno è uguale. L’ho fatto per la mia libertà”, dice. Quando gli si fa notare che se tutti i medici facessero come lui, il sistema sanitario nazionale imploderebbe, sorride amaro. “È stata una scelta sofferta e a lungo ponderata, non ho dormito per un mese – dice – Io in quell’ospedale ci sono cresciuto, perché anche mio padre faceva il chirurgo lì. Ma l’età avanza e lo stress diventa sempre più pesante. Ho dovuto pensare prima a me e poi al sistema sanitario nazionale”.

Ospedale ai minimi termini

La storia di Zanchi è il simbolo di una sanità che, pezzo dopo pezzo, non è più quella che conoscevamo. Il reparto di chirurgia di Canicattì è rimasto chiuso per alcuni giorni, poi l’Asp di Agrigento ci ha messo una pezza trovando un medico in pensione proveniente da Mussomeli, uno che a lungo è stato in malattia, una giovane specializzata a cui dovrebbe aggiungersi pure un quarto medico proveniente dal pronto soccorso. Per un motivo o per un altro però, al momento la reperibilità non viene garantita. “Significa che se arriva un’emergenza da operare di mattina si opera, se arriva nel pomeriggio o nella notte si manda ad Agrigento”, spiega il direttore dell’ospedale Giuseppe Augello. L’ospedale Barone Lombardo di Canicattì è ai minimi termini. I camici bianchi sono solo 43 a fronte di una pianta organica di 91, stando a quanto riferisce la direzione. Più del 50 per cento dei posti è scoperto. Per il comitato che si batte per il nosocomio agrigentino, invece, i medici dovrebbero essere 128 sulla base di un decreto dell’assessorato regionale alla Salute del 2017.

Numeri allarmanti

Il gruppo civico guidato da Salvatore Castellano e Salvatore Licari, dopo avere scritto all’ex assessore Ruggero Razza e presentato un interrogazione parlamentare all’Ars, nei giorni scorsi ha inviato una lettera al ministero della Salute. “L’ospedale non è nelle condizioni di assicurare la tutela e l’assistenza sanitaria richiesta, perché non assicura i Livelli essenziali di assistenza”, denunciano. Ricordando l’elenco delle criticità: “Non vi sono i reparti e i medici di ortopedia e traumatologia, è chiuso psichiatria, non vi è più l’ambulatorio di neurologia, è stato chiuso il reparto di chirurgia, mancano medici a cardiologia, ostetricia-ginecologia, oncologia, pronto soccorso, neonatologia, medicina generale, lungodegenza”. Mancherebbero ancora 100 infermieri e 150 posti letto. Sull’ospedale di Canicattì – sulla strada tra Agrigento e Caltanissetta – fanno riferimento circa 85mila persone. Ma il comitato denuncia un rapporto medici ospedalieri/abitanti di 0,5 ogni mille, molto lontano dal rapporto di 2 ogni mille che le norme prevedono.

Il ricorso ai medici stranieri

Canicattì è una storia. Tra le peggiori delle tante isole di sanità in crisi che costellano la Sicilia: Gela, Vittoria, Caltagirone, Giarre. Solo per citarne alcune. Qualcuno sta provando a metterci una pezza ricorrendo ai medici stranieri. Succede a Mussomeli, che anziché scegliere sanitari in pensione si è rivolta all’Argentina. Dopo un lungo percorso, due settimane fa la prima chirurga sudamericana, Laura Lator, ha preso servizio nell’ospedale nisseno. Dal primo maggio dovrebbero aggiungersi altri due chirurghi, due medici nel reparto di Lungodegenza, due in Ortopedia e una in Pediatria.

Il Partito democratico ha depositato alla commissione Salute la bozza di un disegno di legge che prova, nei limiti delle competenze regionali, a introdurre alcuni paletti utili a fermare l’emorragia di medici. Si chiede di prorogare al 31 dicembre 2025 l’efficacia delle disposizioni del “Decreto Calabria”. Normativa che consente di utilizzare i medici specializzandi a partire dall’ultimo o dal penultimo anno di corso nelle scuole. Sarebbe consentito, così, ai medici in formazione specialistica di partecipare ai concorsi. Dagli idonei, inseriti in una graduatoria separata, l’Azienda che ha bandito il concorso potrebbe attingere dopo avere esaurito la graduatoria riservati ai medici già specializzati. Il disegno di legge propone anche di intervenire sul settore dei medici anestesisti e su quelli dell’Emergenza, tra i più carenti.

L’esodo

Viene avanzata l’istituzione dei Dipartimenti interaziendali di Anestesia e Rianimazione e di Emergenza Urgenza, al fine di fermare “fenomeni distorsivi del mercato del lavoro, poiché tale personale, potendo scegliere liberamente la sede di lavoro più comoda, preferisce concentrarsi nelle aziende ospedaliere delle città metropolitane atteso che il numero dei posti disponibili in pianta organica è superiore al numero di soggetti in possesso dei requisiti per l’assunzione. Ciò – si legge nel Dl – ha fatto sì che le sedi di lavoro periferiche siano sempre più sguarnite di personale, sottoponendo il poco personale in servizio a turni massacranti e rendendo indispensabile l’utilizzo di personale proveniente dalle aziende metropolitane, dove invece esso risulta copiosamente in servizio e dove, attraverso l’attivazione di apposite convenzioni, la valorizzazione delle prestazioni degli anestesisti raggiunge anche la cifra di 120 euro l’ora”.

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