Sanità in ginocchio in Sicilia, il Rapporto Gimbe 2024

Servizio sanitario nazionale “al punto di non ritorno” e la Sicilia è in ginocchio

Servizio sanitario nazionale “al punto di non ritorno” e la Sicilia è in ginocchio

Hermes Carbone  |
domenica 13 Ottobre 2024

L'analisi del presidente Nino Cartabellotta

“La tenuta del Servizio sanitario nazionale è prossima al punto di non ritorno”. È questa la principale fotografia, sullo stato della sanità in Italia che emerge dal Settimo Rapporto della Fondazione Gimbe, presentato ieri pomeriggio a Roma. Aumentano i divari tra Nord e Sud, con l’Autonomia differenziata sullo sfondo pronta a dare un colpo di grazia al diritto di una sanità garantita dallo Stato. 

A confermarlo il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, che ha parlato di un sistema sempre più in difficoltà, con costi insostenibili per le famiglie, gravi carenze di personale, e disuguaglianze territoriali che stanno spaccando il Paese in due. L’incremento delle spese a carico delle famiglie, le rinunce alle cure per motivi economici, e una crescente migrazione dimostrano come la tenuta del SSN sia seriamente compromessa.

Male, neanche a dirlo, la Sicilia. Sono solo tredici le regioni che nel 2022 hanno rispettato i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) – come raccontato dal QdS negli scorsi mesi – e tra queste non figura l’Isola. Ciò significa che la regione non è riuscita a garantire una copertura sanitaria adeguata ai propri cittadini, soprattutto in termini di qualità e tempestività delle cure. Dati che si riflettono nel Rapporto Gimbe. Tra il 2012 e il 2021, i meridionali hanno speso oltre 11 miliardi di euro per curarsi altrove.

Spese sanitarie in aumento

Uno degli aspetti più critici evidenziati dal rapporto riguarda l’impennata della spesa sanitaria a carico delle famiglie. Nel 2023, si è registrato un aumento del 10,3% rispetto all’anno precedente. Questa crescita ha portato il totale della spesa privata a quasi 3,8 miliardi di euro, aggravando il già pesante fardello economico per i cittadini italiani. 

Di fronte a una sostanziale stabilità della spesa pubblica, le famiglie hanno dovuto coprire una parte sempre maggiore dei costi, sia attraverso pagamenti diretti sia tramite fondi sanitari e assicurazioni private. Nel decennio precedente, l’aumento medio annuo della spesa diretta era stato dell’1,6%, ma la crescita vertiginosa registrata nel 2023 ha accelerato questa tendenza, rendendo sempre più difficile per molti cittadini accedere alle cure necessarie.

Italia spaccata: Nord e Sud a distanze siderali

Il divario tra il Nord e il Sud del Paese si sta ampliando, e il rapporto della Fondazione Gimbe lo conferma con dati inequivocabili. Nel 2022, solo 13 regioni italiane sono riuscite a rispettare i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), cioè quei servizi che il Servizio Sanitario Nazionale deve garantire gratuitamente o dietro pagamento di un ticket. Puglia e Basilicata le uniche regioni meridionali “promosse” seppur con scarsi risultati.

Una forbice, quella della frattura strutturale del SSN tra Nord e Sud nel garantire il diritto alla salute, che rischia di ampliarsi per via della legge sull’Autonomia differenziata. Tema sul quale concorda Cartabellotta, secondo il quale questa riforma potrebbe infliggere il colpo finale al sistema sanitario del Mezzogiorno, innescando un disastro sanitario ed economico con conseguenze devastanti per milioni di persone.

Migrazione sanitaria: cure al Nord per i cittadini del Sud

La disparità tra le diverse aree del Paese si riflette anche nella migrazione sanitaria, che nel 2022, secondo stime della CGIL, era costata ai siciliani oltre 170 milioni di euro. Il rapporto sottolinea come i residenti delle regioni centro-meridionali siano spesso costretti a spostarsi al Nord per ricevere cure migliori. Nel periodo 2012-2021, le regioni del Sud hanno accumulato un saldo negativo di quasi 11 miliardi di euro a causa della migrazione sanitaria.

Questo fenomeno non solo conferma le gravi diseguaglianze territoriali, ma mette in luce anche la mancanza di risorse e di strutture adeguate in molte aree del Sud, costringendo i pazienti a viaggiare centinaia di chilometri per ricevere trattamenti che dovrebbero essere garantiti a livello locale.

Prendendo in considerazione Sicilia, Calabria, Campania, Puglia, Basilicata e Molise e suddividendo la somma in maniera forfettaria – con un calcolo assolutamente parziale e che non prende in considerazione il numero di abitanti per ogni singola regione, gli abitanti dell’Isola avrebbero speso oltre 1 miliardo e 800 milioni di euro in 9 anni. 

Dovendo suddividere quel numero per i casi di ogni singola regione e per il numero dei suoi abitanti – con statistiche aggiornate al momento non presenti – la spesa della migrazione sanitaria per i siciliani supera abbondantemente i 200 milioni di euro l’anno. 

È boom di italiani che rinunciano alle cure

Nel 2023, quasi 4,5 milioni di italiani hanno dovuto rinunciare a visite specialistiche o esami diagnostici. Oltre metà del totale (circa 2,5 milioni di persone) lo ha fatto per motivi economici. Rispetto all’anno precedente, si tratta di un incremento di 600.000 persone, segnale di una crescente difficoltà economica che impedisce a un numero sempre maggiore di cittadini di accedere alle cure necessarie.

Questo fenomeno, già grave di per sé, rischia di peggiorare ulteriormente nel prossimo futuro, con conseguenze dirette sulla salute della popolazione e sull’efficacia complessiva del sistema sanitario. Si tratta di numeri particolarmente drammatici per una regione come la Sicilia, caratterizzata da livelli di reddito medi più bassi rispetto ad altre aree del Paese. Aspetto quest’ultimo che rende ancora più difficile per molte famiglie sostenere le spese sanitarie.

Crollo della prevenzione e fuga di professionisti

Un altro segnale del collasso del sistema è il drastico calo della spesa per la prevenzione, che nel 2023 si è ridotta di quasi 2 miliardi di euro (-18,6%). E mentre crollano le spese per la prevenzione i gli italiani rinunciano alle cure perché non possono permetterselo, le macerie che restano della sanità inducono alla fuga i (pochi) medici che lavorano nel pubblico.

Si stima che, nel periodo compreso tra il 2019 e il 2022, il SSN abbia perso oltre 11.000 medici, molti dei quali hanno abbandonato il servizio pubblico per lavorare nel settore privato o trasferirsi all’estero. Nel solo primo semestre del 2023, secondo le stime di Anaao-Assomed, altri 2.564 medici hanno lasciato il sistema sanitario nazionale, accentuando la carenza di personale già cronica. 

Una crisi che non risparmia nemmeno il personale infermieristico: con 6,5 infermieri ogni mille abitanti, l’Italia è molto al di sotto della media OCSE (9,8), e il numero di laureati in Scienze Infermieristiche è tra i più bassi d’Europa. Un aspetto che si verifica anche per via di bassi stipendi e turni massacranti ai quali proprio gli infermieri – vera colonna portante del SSN – sono costretti.

Un futuro appannaggio dei privati

Il Rapporto 2024 della Fondazione Gimbe dipinge un quadro desolante del futuro della sanità italiana. Le diseguaglianze regionali, la migrazione sanitaria, la crisi del personale e l’aumento della spesa a carico delle famiglie sono tutti segnali di un sistema che sta collassando sotto il proprio peso. 

Il Governo Meloni è stato chiaro – attraverso una spending review – nel ridurre di oltre 200 milioni di euro la spesa riguardante il capitolo della sanità per singola regione. Il taglio in Sicilia, un’Isola che esplicita nella sanità le difficoltà dei suoi territori, sarà consistente. Non è un caso che le partnership tra pubblico e privato convenzionato stiano prendendo sempre più piede: ultimo in ordine temporale l’abbattimento del capitolo liste d’attesa. E l’Autonomia differenziata (2024) è ormai alle porte. Con effetti che rischiano di far rivoltare nella tomba i padri dell’Assemblea Costituente.

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