Siccità, i dissalatori per prevenire l’emergenza. L’esempio di Israele e delle isole minori siciliane - QdS

Siccità, i dissalatori per prevenire l’emergenza. L’esempio di Israele e delle isole minori siciliane

redazione

Siccità, i dissalatori per prevenire l’emergenza. L’esempio di Israele e delle isole minori siciliane

Vittorio Sangiorgi  |
giovedì 24 Agosto 2023

Gli impianti di ultima generazione hanno impatti sempre più limitati sull’ambiente e tariffe competitive

PALERMO – Gli avvenimenti e le emergenze di questa “pazza” estate hanno riportato l’attenzione sul tema siccità, soprattutto in Sicilia. Tra caldo record, blackout, infrastrutture vetuste ed inadeguate si è creato un mix letale che ha lasciato a secco numerose famiglie anche per più giorni. Tuttavia, quello che ha avuto effetti tangibili e di difficile gestione, potrebbe in realtà rivelarsi come un falso problema. Non vi è dubbio che, specie in certi periodi, l’acqua scarseggi e che gli invasi si riempiano sempre più a fatica, ma ci sarebbe una soluzione a portata di mano che – in altre aree del pianeta – è sfruttata da anni e produce risultati. Isole felice, da questo punto di vista, sono diverse nazioni del Medio Oriente, in particolare Israele e Arabia saudita, ma anche uno Stato europeo paragonabile al nostro quale la Spagna.

Si tratta della dissalazione di acqua marina, risorsa che non si esaurisce e che è dunque sempre disponibile per sopperire alle carenze di acque meteoriche o di quelle provenienti dalle falde. La tecnologia negli ultimi anni ha fatto passi da gigante ed ha prodotto dissalatori all’avanguardia, meno energivori e più “rispettosi” dell’ambiente. Fondamentale il passaggio dalla tecnica detta ad evaporazione, che prevedeva cioè il riscaldamento dell’acqua al fine di distillarla, a quella ad osmosi inversa che prevede il passaggio dell’acqua di mare attraverso dei filtri che la rendono potabile. Esistono, inoltre, dissalatori a scambio ionico che permettono – cioè – la rimozione di ioni di sodio e cloruro, facendo sì che in un solo passaggio si possa ottenere un’acqua fortemente dissalata. Altri moderni impianti coniugano le ultime due tecniche per ottenere risultati sempre migliori.

In Sicilia esistono degli esempi virtuosi sulle isole minori, si pensi agli storici impianti i Lampedusa e Pantelleria, ma anche a quello più recenti di Lipari. Nei primi due casi il costo dell’acqua ha avuto una riduzione notevolissima, passando da 16 a 1,5 euro a metro cubo, ma anche nel “capoluogo” delle Eolie i risultati sono significativi, sia in termini di approvvigionamento che di spesa. Per fare un confronto, si deve considerare che attualmente nel nostro Paese, stando a quanto si legge nel Libro bianco “Valore acqua per l’italia” pubblicato da The European House Ambrosetti, si paga mediamente una tariffa di 2,11 Euro/m3 a livello nazionale, ma comprensiva del costo relativo al servizio fognario e di depurazione.

Più recentemente, l’osservatorio “Prezzi e tariffe” di Cittadinanzattiva, nel rapporto annuale sul Servizio idrico integrato (pubblicato a marzo 2023), ha scritto che “la tariffa media del Sii nel 2022 è di 2,54 euro al metro cubo. La voce che incide maggiormente è quella relativa al servizio acquedotto (50,1%), segue quella per depurazione e fognatura (42,5%) e quindi la quota fissa (7,4%)”. Dunque solo la fornitura dell’acqua in?Italia costa 1,27 €/mc.

Sebbene dunque l’acqua “dissalata” stia diventando sempre più competitiva, non bisogna dimenticare il costo importante per la costruzione di questi impianti e quello altrettanto rilevante per il loro funzionamento, ma nel medio e lungo periodo il gioco vale la candela.

Come spiega Benedetta Brioschi, Associate partner di The European House Ambrosetti, nell’intervista che pubblichiamo sotto, gli impianti moderni consentono di superare le criticità legate alla loro produzione energivora e agli scarti derivati dalla dissalazione. Inoltre bisogna considerare che l’avanzamento tecnologico non si ferma e che, dunque, i benefici derivanti dall’adozione di questa tecnica sarebbero sempre di più. La questione dell’impatto ambientale, tema che suscita ovviamente sempre molta attenzione e che, purtroppo, è spesso brandito in maniera strumentale, in questo caso è quasi nullo e non può costituire un ostacolo insormontabile.

“Chi sostiene che i dissalatori, soprattutto quelli di ultima generazione, inquinano non sa di cosa sta parlando. Producono l’acqua di scarto che contiene una percentuale di salinità maggiore di quella prelevata, ma non contiene altri prodotti della lavorazione per la dissalazione”. Parola di Francesco Pintus, responsabile del dissalatore di Lipari rilasciate al nostro quotidiano nelle scorse settimane. Perlatro i controlli istituzionali sono ferrei e il rilascio delle autorizzazioni avviene soltanto quando sia provato che gli impianti non siano nocivi per l’ambiente.

La dissalazione non può certamente essere l’unica soluzione, ma in un sistema integrato avrebbe certamente un ruolo di rilievo. Dunque sì alla dissalazione ma si, anche, al miglioramento delle infrastrutture per evitare – ad esempio – la dispersione dell’oro blu o che l’assenza di energia elettrica fermi la produzione, sì anche al piano predisposto da Anbi, l’Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni che il Dg Massimo Gargano ha recentemente illustrato al QdS e che prevede, tra le altre cose, “un ‘piano laghetti’, la creazione di invasi in terra, realizzati senza cemento, in grado di produrre energia sia poggiando sugli specchi d’acqua panelli fotovoltaici galleggianti, sia allineando questi laghetti per produrre energia idroelettrica con dei salti. Quindi, durante la notte quando il costo dell’energia è minore e ci sono incentivi statali, ricaricare con dei pompaggi l’acqua in alto in modo da creare delle vere e proprie batterie energetiche”.

La risposta all’emergenza siccità è, dunque, a portata di mano e si deve avere il coraggio e la lungimiranza di seguire questa strada perché il solito immobilismo all’italiana determinerebbe, anche in questo caso, fiumi di parole e “grida manzoniane” che non risolverebbero però un problema che, questa è la sensazione, potrebbe comportare conseguenze sempre più pesanti per i cittadini e l’economia del nostro Paese.

“L’Italia dissala 650 mila metri cubi di acqua al giorno, deve fare di più”

Abbiamo approfondito i dati sulla dissalazione e le possibilità offerte da questa pratica per affrontare la crisi idrica intervistando Benedetta Brioschi, Associate partner di The European House – Ambrosetti e responsabile della Community Valore Acqua per l’Italia.

Quali sono i dati più interessanti emersi dalla vostra analisi? L’Italia può fare meglio sul tema dissalazione?
“Come Comunity Valore Acqua per l’Italia, la piattaforma multistakeholder lanciata quattro anni fa per ragionare sugli scenari, le strategie e le politiche della filiera estesa dell’acqua, siamo fortemente convinti che sia necessario un approccio integrato anche per far fronte alla crisi idrica. Intendiamo, quindi, ragionare su fonti di approvvigionamento alternativo che includano sicuramente un potenziamento degli invasi e della raccolta di acque meteoriche, la ricarica della falda, il riuso di acqua, ma anche la promozione della dissalazione di acqua marina. Una soluzione che in Italia è ancora in uno stato embrionale. Il nostro Paesi, infatti, oggi dissala 650 mila metri cubi di acqua al giorno, il 70% dei quali è destinato all’industria. Non vogliamo dire che sia l’unica soluzione disponibile, ma certamente è una pratica che – quando viene fatta con soluzioni innovative e con le ultime tecnologie – consente di valorizzare l’acqua marina in quei territori dove è più complesso realizzare infrastrutture, invasi e procedere alla raccolta di acque meteoriche. Può essere, perciò, una validissima alternativa nei territori insulari e costieri. Ci sono alcuni Paesi che, da questo punto di vista, hanno fatto molto bene. In Arabia Saudita e in tutto il Medio Oriente è da anni la fonte primaria di approvvigionamento, anche perché in quei luoghi l’impatto della siccità è più pesante e non si può reperire la risorsa da altre fonti. Quindi, sì, l’Italia deve fare di più. Si pensi alla Spagna, una nazione paragonabile alla nostra, dove la dissalazione è molto diffusa e l’acqua dissalata viene impiegata in maniera importante anche nell’agricoltura”.

Qual è la situazione della Sicilia? Avete elaborato i dati della dissalazione sull’Isola?
“Non abbiamo ancora a disposizione dati specifici sul territorio siciliano, ma sicuramente le sue caratteristiche fanno della dissalazione una soluzione importante per uscire dalla logica emergenziale e, conseguentemente, per trattare il ‘tema acqua’ con un respiro integrato di medio e lungo periodo. Ribadisco che non è l’unica soluzione disponibile, ma è indubbio che darebbe un apporto fondamentale”.

Proprio in Sicilia, sulle isole di Lampedusa e Pantelleria, sono attivi da quasi dieci anni dissalatori che hanno permesso di raggiungere risultati importanti, come la netta contrazione dei costi dell’acqua stessa. L’impatto di queste tecnologie può davvero essere così significativo? Esistono ancora delle criticità da superare?
“Siamo convinti che quando la dissalazione viene effettuata con le tecnologie più avanzate e nell’ambito di un approccio integrato che valorizzi gli scarti i risultati sono notevoli. Ad oggi, infatti, i principali problemi di questa tecnica sono due: il costo energetico degli impianti e la gestione del prodotto di scarto, a partire dalla salamoia, nell’ambito di una logica di economia circolare. Nel Medio Oriente sono stati fatti notevoli passi in avanti ed oggi ci sono tecnologie che consentono di intervenire su queste criticità. E devo dire che anche la Sicilia ha raggiunto risultati importanti in tal senso”.

Come giudicate, sulla base delle vostre competenze tecniche, il lavoro svolto dalla cabina di regia sulla siccità voluta dal Governo nazionale?
“Registriamo con soddisfazione la creazione e il lavoro della cabina di regia. Il commissario straordinario Nicola Dell’Acqua ha preso parte all’ultima riunione della nostra community ed ha ribadito con forza la necessità di un approccio integrato. Ha sostenuto, inoltre, la necessità di partire dalla manutenzione delle attuali infrastrutture, e dal miglioramento di quelle nuove grazie anche ai fondi del Pnrr. Da questo punto di vista è importante anche il tema dell’età media delle dighe italiane, pari a 58 anni. Ma ci sono casi, come la Liguria, dove l’età delle stesse è di oltre 90 anni. Non vi è dubbio, quindi, che si debba partire dalla manutenzione per migliorare tutto il sistema infrastrutturale”.

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