Società di comodo, normativa fiscale farraginosa - QdS

Società di comodo, normativa fiscale farraginosa

Salvatore Forastieri

Società di comodo, normativa fiscale farraginosa

sabato 21 Ottobre 2023

Sono le imprese “non operative”, cioè che non esercitano effettiva attività, spesso create solo per fini illeciti. La riforma tributaria (L. 111/’23) punta ad una revisione della disciplina

ROMA – L’articolo 9 riforma tributaria (legge n. 111 del 9 agosto 2023), prevede la revisione della “disciplina delle società non operative, prevedendo: 1) l’individuazione di nuovi parametri, da aggiornare periodicamente, che consentano di individuare le società senza impresa, tenendo anche conto dei princìpi elaborati, in materia di imposta sul valore aggiunto, dalla giurisprudenza della Corte di cassazione e della Corte di giustizia dell’Unione europea; 2) la determinazione di cause di esclusione che tengano conto, tra l’altro, dell’esistenza di un congruo numero di lavoratori dipendenti e dello svolgimento di attività in settori economici oggetto di specifica regolamentazione normativa”.
Giova ricordare che la disciplina delle società di comodo è stata introdotta con l’articolo 30 della legge 724 del 23 dicembre 1994.

Evidentemente lo scopo di tale disposizione, che nel tempo ha esteso i suoi confini, vuole colpire le società dette “di comodo”, ossia quelle “non operative”, ovvero le società che non esercitano una effettiva attività commerciale, non rispondendo ad esigenze di tipo imprenditoriale, ma perseguendo altri fini, quasi sempre illeciti.

Cosa sono le società di comodo

Sono soggette alla disciplina delle società di comodo tutte le società, comprese le società e gli enti non residenti di ogni tipo, purché con stabile organizzazione nel territorio dello Stato. Per qualificare dette società “non operative”, o “di comodo”, occorre che la società non superi un apposito test di operatività, previsto dal comma 1 della legge 724/94, oppure sia in perdita per cinque periodi di imposta consecutivi, o per quattro periodi è in perdita e per il quinto non consegua il reddito minimo delle società di comodo determinato ai sensi del comma 3 dell’articolo 30 della legge 724/1994, novità introdotta con i commi 36-decies e 36- undecies dell’articolo 2 del decreto legge 138/2011.
Il test di operatività, il cui mancato superamento fa scattare la presunzione che una società sia di comodo, è un raffronto tra la media dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi (esclusi quelli straordinari) conseguiti nell’esercizio in cui si effettua il test e nei due precedenti, ed il valore che si ottiene applicando ai beni della società le seguenti percentuali:

  • 2 per cento alle quote di partecipazione ed agli strumenti finanziari;
  • 6 per cento agli immobili ed alle navi; 5 per cento agli immobili di categoria A/10;
  • 4 per cento agli immobili abitativi acquistati o rivalutati nell’esercizio e nei due precedenti;
  • 15 per cento alle altre immobilizzazioni.

La circolare dell’Agenzia delle entrate

Sull’argomento esiste la circolare dell’Agenzia delle entrate n. 25/E del 4 maggio 2007. Si considerano di comodo, in aggiunta alle società ed agli enti che non superano il test di operatività, i medesimi soggetti quando conseguono perdite fiscali per cinque periodi di imposta consecutivi, oppure nell’arco di cinque periodi di imposta conseguono perdite per quattro periodi e nel quinto un utile inferiore al minimo delle società di comodo, su cui ci soffermeremo nel prossimo paragrafo.

È importante evidenziare che l’esistenza di pesanti conseguenze quando si verificano le condizioni per considerare “non operative” le predette società.
In primo luogo scatta una presunzione secondo la quale il reddito del periodo di imposta non può essere inferiore all’ammontare della somma che scaturisce applicando le seguenti percentuali:

  • 1,5 per cento alle quote di partecipazione ed agli strumenti finanziari;
  • 4,75 per cento agli immobili ed alle navi; 4 per cento agli immobili di categoria A/10;
  • 3 per cento agli immobili abitativi acquistati o rivalutati nell’esercizio e nei due precedenti;
  • 0,90% agli immobili situati in comuni con meno di 1.000 abitanti;
  • 12 per cento alle altre immobilizzazioni.

L’aliquota Ires, come previsto dall’’articolo 2, comma 36-quinquies, del decreto legge 138/2011, subisce inoltre una maggiorazione del 10,5%.
Particolari disposizione, inoltre, sono previste per le perdite di esercizi precedenti.

Ed ancora, per quanto riguarda l’Iva, non appena la società si configura come non operativa, accade che la stessa non possa chiedere a rimborso, né utilizzare in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 241/1997 (compensazione orizzontale), o cedere ai sensi dell’articolo 5, comma 4-ter, del decreto legge 70/1988, l’eccedenza di iva a credito risultante dalla dichiarazione relativa all’anno in cui la società è di comodo. Resta consentito l’utilizzo per la compensazione verticale (Iva da Iva).

Inoltre, qualora lo status di società non operativa sia mantenuto per tre periodi di imposta consecutivi, si perde definitivamente l’eccedenza di credito Iva il quale non sarà nemmeno riportabile a scomputo dell’Iva a debito degli anni successivi.
Perché accada quanto per ultimo indicato, occorre comunque che in nessuno dei tre anni siano state effettuate operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto in misura almeno pari all’importo che risulta dall’applicazione delle percentuali del test di operatività. Occorre, cioè, che il test non sia superato (oppure che la società sia di comodo per perdite sistematiche), e che (altra condizione) le operazioni Iva dell’anno siano in ogni anno del triennio inferiori all’importo che discende dall’applicazione delle percentuali del test ai beni dell’anno stesso.

Le società non operative, tuttavia, in presenza di una situazione di oggettiva impossibilità (dimostrabile) di raggiungere ricavi minimi, possono disapplicare direttamente la cennata disciplina penalizzante (cause di esclusione o cause di disapplicazione). È comunque concessa la possibilità di presentare, entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi, una apposita istanza di interpello all’Agenzia delle Entrate (ex art. 11, co. 1, lett. b), L. 27 luglio 2000, n. 212) al fine di chiedere un parere, che deve pervenire entro 120 giorni, in merito alla sussistenza delle situazioni oggettive che hanno reso impossibile il raggiungimento della soglia di ricavi minima.

Attualmente, quindi, vige una normativa farraginosa e penalizzante. Speriamo che la riforma tributaria, nel momento in cui il Governo metterà mano su questo argomento, possa trovare una corretta soluzione al fine di individuare efficacemente le società senza impresa, anche tenendo conto dei princìpi elaborati, ai fini IVA, dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia dell’Unione europea.

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