La Topolino in Marocco, la 600 in Polonia - QdS

La Topolino in Marocco, la 600 in Polonia

Carlo Alberto Tregua

La Topolino in Marocco, la 600 in Polonia

sabato 08 Luglio 2023

Fiat decentra all’estero

Da quando il gruppo Fiat è entrato in quello Stellantis, a maggioranza francese, e da quando ha spostato la sede sociale e fiscale ad Amsterdam, il marchio del fu Avvocato ha di fatto perso la sua italianità.
Lo dimostra anche il fatto che nel nostro Paese vengono ormai prodotti cinquecentomila veicoli, mentre in Francia oltre un milione.
Tutto ciò nonostante le promesse del giovane e brillante John Elkann di potenziare la produzione di auto nel nostro Paese.
Ricordiamo che la Fiat è stata sempre un pilastro dell’economia nazionale, tanto che una volta si comunicava: “Lo dice la Fiat”, come a significare che il potere del gruppo Agnelli era possibilmente più forte di quello dello Stato.
Torino fu una calamita per centinaia di migliaia di meridionali, i quali vi si trasferirono per trovare lavoro. La leggenda dice che l’avvocato Agnelli fu fautore della famosa legge 392/78 detta dell’Equo canone, con la quale calmierava gli affitti.

Qualche giorno fa, con la rituale pompa magna, l’ingegnere Elkann, insieme al CEO di Stellantis, Carlos Tavares, ha annunciato urbi et orbi il lancio di una microvettura elettrica denominata Topolino, e di una normale vettura elettrica denominata 600.

Dal punto di vista del marketing, la scelta di rievocare due nomi gloriosi è stata estremamente efficace; dal punto di vista della nostra economia, il lancio è del tutto ininfluente e vi spieghiamo perché.
La Topolino verrà prodotta in Marocco, mentre la 600 verrà prodotta in Polonia. Siccome il maggiore valore aggiunto di un’auto è nella produzione e non nella distribuzione, i due veicoli godranno del margine della vendita e non della produzione. Saranno a tutti gli effetti veicoli stranieri, come quelli giapponesi, cinesi, tedeschi, francesi e via enumerando.
Dunque, l’impegno comunicativo di Elkann è stato disatteso perché, ancora una volta, in quel Gruppo prevalgono gli interessi interni su quelli pubblici.
Del resto, la cosa è perfettamente comprensibile, solo che dovrebbe essere diminuita l’enfasi nell’annunciare “l’italianità” residua del gruppo ex Fiat.

La questione oggi in rassegna potrebbe sembrare di secondo piano, ma non ci sembra, perché difendere l’italianità dei prodotti è una necessità di livello nazionale. Il cosiddetto made in Italy – per tanti marchi a livello mondiale – è un grande must del nostro Paese, però i prodotti dovrebbero essere veramente italiani, anche sotto il profilo del controllo azionario. Ma questo non accade più perché aziende estere hanno “ingolfato” marchi celebri, come è accaduto fra le motociclette con il gruppo Ducati o con la gloriosa fabbrica Lamborghini, oggi entrambi di proprietà del gruppo tedesco Volkswagen.

Le acquisizioni estere di fabbriche famose italiane sono in qualche modo bilanciate da acquisizioni di poli nel mondo da parte di gruppi italiani, quindi prevale la concorrenza e la bravura di chi fa crescere le proprie forze e cerca di ammortizzare con l’aumento della produzione i costi, in modo da ottenere maggiori profitti. È la legge di mercato, che però andrebbe contemperata con esigenze sociali.

Non sembri fuori posto l’osservazione che segue sull’eccessivo accumulo di ricchezze in poche mani.
Le ricchezze tassate possono essere accumulate senza alcun problema, dopo appunto avere esaurito il proprio dovere di avere pagato tutte le imposte. Tuttavia, non è possibile assistere ad enormi concentrazioni di decine o centinaia di miliardi di patrimoni che esorbitano qualunque ragionevolezza.
In Svizzera, esiste una patrimoniale annuale dello 0,9 per cento su importi rilevanti. Non dovrebbe quindi destare alcuno scandalo se una tale imposta patrimoniale, ripetiamo, dello 0,9 per cento, fosse applicata in Italia ai patrimoni superiori, poniamo, ai dieci miliardi. Ce lo diceva in un colloquio l’ingegnere Carlo De Benedetti, che sarebbe pronto ad ottemperare nel senso indicato.
La gestione di un Paese è sempre complicata, ma deve guidare il complesso delle regole etiche, eterne, basate su obiettività, ragionevolezza, proporzionalità e buonsenso.

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