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Abbattere i privilegi. Imprenditori-balia, dipendenti-bambini

Carlo Alberto Tregua

Abbattere i privilegi. Imprenditori-balia, dipendenti-bambini

sabato 03 Ottobre 2020

L’Italia è uno dei pochi Paesi al mondo in cui gli imprenditori fanno da balia ai propri dipendenti, che vengono considerati bambini o incapaci di intendere e di volere.
Ci riferiamo all’anacronistica disposizione legislativa secondo cui i dipendenti, pubblici o privati, non hanno l’autonomia di versare i propri contributi agli Enti previdenziali, perché a monte, ex abrupto, cioé di forza, i datori di lavoro hanno l’obbligo di trattenerli e di versarli.
Questo è un provvedimento di immaturità e inciviltà, perché considera tutti i dipendenti come figli del Dio minore, ovvero cittadini di serie B, in quanto non sarebbero capaci di autoamministrarsi.
Si dirà che la furbizia italica farebbe montare fortemente l’evasione contributiva se i dipendenti avessero la responsabilità di versare o meno i propri contributi, in questo caso evadendoli. Ma non è certo mettendo le catene al Popolo che esso potrà crescere e diventare autosufficiente, perché è pacifico che chi è incatenato si divincola, ma non diventa autonomo.

Secondo la Ragioneria dello Stato, le pensioni corrisposte ammontano al diciassette per cento del Pil, come dire a poco meno di un terzo di tutta la spesa dello Stato, che al netto degli interessi sui Buoni poliennali del Tesoro ammonta a circa 765 miliardi, senza contare ovviamente le spese straordinarie stanziate dal Governo nella somma di circa cento miliardi, occorsa per fronteggiare la gravissima pandemia.
Ora, è poca o è tanta tale spesa? Rapportandola alla media europea essa risulta superiore. Soprattutto in quanto non è ben distribuita e anche per la ragione di fondo che gli assegni pensionistici relativi ai contributi versati non sono distinti dagli altri assegni, che sono veri e propri sussidi, per i quali non è stato versato alcun contributo.
Vi è un’altra anomalia nel sistema italiano e cioé che ancora una parte cospicua degli assegni pensionistici non è stata calcolata in proporzione diretta ai contributi versati, bensì in base a leggi che commisuravano la pensione agli stipendi dell’ultimo periodo.
Col primo gennaio 1996, il cosiddetto regime retributivo è stato abolito, ma coloro che percepivano la pensione in tal modo hanno continuato (e continuano) a percepirla.
Poi vi è quella grande anomalia dei cosiddetti vitalizi parlamentari, i quali vengono erogati a coloro che hanno avuto i suffragi per occupare gli scranni di Camera e Senato.
Ma, presi dall’invidia, anche i consiglieri regionali, fra cui quelli siciliani, si sono autovotati le norme con cui si sono autoassegnati i vitalizi. Badate, non in rapporto agli anni di permanenza nelle Aule, ma semplicemente in base alle legislature, di cui fino a poco tempo fa se ne prendeva una parte: due anni, sei mesi e un giorno.
Lo scandalo è che tali vitalizi, in caso di decesso del titolare, sono passati ai congiunti, anche di più generazioni. Non c’è stato verso di eliminare questo scandalo, perché si capisce che al tacchino non piace il Natale.
Altrettanto scandalose sono le remunerazioni di deputati, senatori e consiglieri regionali, i quali lavorano (si fa per dire) forse due o tre giorni la settimana e poi, stanchi, si prendono quaranta o cinquanta giorni di ferie l’anno: insomma, degli stakanovisti.
Il taglio dei 345 parlamentari è un buon inizio. Ora tocca a indennità e vitalizi.

La questione in analisi è risolvibile? Certo, se il Popolo reclama equità. Il primo atto da fare è distinguere fra previdenza e assistenza. I cittadini hanno il diritto di sapere qual è l’ammontare annuo, distribuito a tutti, di sussidio ai poveri, ai disabili, ai malati, agli anziani che non hanno più lavoro ed anche il diritto di sapere che gli assegni pensionistici vadano ragguagliati a quelli della media europea.
Insomma, bisogna fare chiarezza su un ammontare veramente rilevante della spesa pubblica, che se fosse revisionata porterebbe a cospicui risparmi. Diversi studi, fra cui quello di Carlo Cottarelli, hanno determinato in quaranta miliardi i risparmi qualora si rifacessero i calcoli degli assegni col sistema contributivo.
Gli sprechi della spesa pubblica sono enormi, sia nella parte corrente che in quella per investimenti. Più governi hanno nominato commissari per la sua riduzione, la cosiddetta spending review, ma quando tali commissari hanno presentato i rapporti, questi sono stati gettati nel cestino.
Una prova tangibile della serietà degli ultimi governi.

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