Caso Palamara, l’ex pm Agueci: “Da sempre la politica condiziona le nomine in Procura” - QdS

Caso Palamara, l’ex pm Agueci: “Da sempre la politica condiziona le nomine in Procura”

Paola Giordano

Caso Palamara, l’ex pm Agueci: “Da sempre la politica condiziona le nomine in Procura”

martedì 11 Giugno 2019

L'ex procuratore parla di "Ipocrisia". Una categoria, quella delle toghe, travolta da un terremoto che lascia un cumulo di macerie e tanti interrogativi sull’integrità morale dei suoi componenti: i giudici. Giustizia, la riforma che non c’è: solo promesse dai governi di ogni colore politico, le criticità permangono

Si è persino arrivati ad ipotizzare la possibilità di un test psicoattitudinale per intraprendere la carriera di magistrato.
È una categoria nella bufera, quella delle toghe: il caso Palamara, il giudice romano finito sotto inchiesta per corruzione, ha gettato un’ombra pesantissima sulla magistratura e sul sistema giustizia più in generale.
L’indagine, non solo ha messo in discussione il ruolo del Consiglio superiore della magistratura ma ha rimesso prepotentemente al centro del dibattito la questione “etica”.
Tutti i governi, a prescindere dal colore politico, hanno sistematicamente provato ad aggiustare le tante storture del sistema giudiziario ma una vera riforma che affronti e risolva concretamente le criticità della giustizia italiana, ancora non si è vista.

Una categoria, quella delle toghe, travolta da un terremoto che lascia un cumulo di macerie e tanti interrogativi sull’integrità morale dei suoi componenti: i giudici. Che, secondo quanto stabilito dall’art. 1 del D.l 109/2006, contenente “i doveri del magistrato”, dovrebbero esercitare “le funzioni attribuitegli con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio” e che, anche fuori dall’esercizio delle proprie funzioni, non dovrebbero tenere comportamenti “che compromettano la credibilità personale, il prestigio e il decoro del magistrato o il prestigio dell’istituzione giudiziaria”.

Il condizionale è d’obbligo vista la bufera che nei giorni scorsi si è abbattuta sulla magistratura italiana dopo le vicende legate alle interferenze della politica nelle nomine dei magistrati nelle Procure: un’inchiesta che hacoinvolto diversi magistrati, a partire da Luca Palamara, ex consigliere del Csm ed ex presidente dell’Anm, indagato dalla Procura di Perugia per presunta corruzione. E da Luigi Spina, consigliere del Csm indagato a Perugia per rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento nell’ambito dell’inchiesta che ha coinvolto lo stesso Palamara.

Il caso Palamara ha gettato un’ombra pesantissima sulla magistratura e sul sistema giustizia più in generale. Secondo la Procura di Perugia, l’ex consigliere del Csm avrebbe accettato benefici e regali di vario genere in cambio di favori. Una vicenda, questa, che porta prepotentemente al centro del dibattito la questione “etica”. E che è stata oggetto di parole durissime da parte del vicepresidente del Csm David Ermini, all’apertura del plenum straordinario, convocato proprio nei giorni scorsi: “Gli eventi di questi giorni hanno inferto una ferita profonda alla magistratura e al Csm. Profonda e dolorosa. Siamo di fronte a un passaggio delicato: o sapremo riscattare con i fatti il discredito che si è abbattuto su di noi o saremo perduti”.

Nel dibattito è intervenuta anche Giulia Bongiorno, ministro per la Pubblica amministrazione, che ha dichiarato nell’intervista rilasciata a Libero: “La vicenda è grave anche per l’effetto che ha sui cittadini, specie su chi in passato è stato indagato dai magistrati coinvolti. Chi viene processato o condannato deve avere la certezza della correttezza assoluta di chi decide sulla sua libertà o sul suo patrimonio. Certi veleni inevitabilmente minano la fiducia nella magistratura”. Proprio il ministro Bongiorno ha sollevato la proposta di introdurre una verifica psicoattitudinale: “Non può diventare giudice solo chi è più bravo degli altri a imparare a memoria i codici e la giurisprudenza, sono indispensabili anche doti caratteriali di equilibrio e buon senso. Poi, una volta superato l’esame, serve una formazione accurata e completa e se, vinto il concorso, il tirocinio va male, dev’essere inibita ogni possibilità di accesso alla magistratura”.

Tutti i governi, a prescindere dal colore politico, hanno sistematicamente provato ad aggiustare le tante storture del sistema giudiziario ma una vera riforma che affronti e risolva concretamente le criticità della giustizia italiana ancora non si è vista. Alla luce di quanto venuto a galla con il caso Palamara, però, oggi più che mai urge aprire quelle “finestre di controllo giurisdizionale nelle indagini dei pm” di cui ebbe a dire il Primo Presidente della Corte di Cassazione, Giovanni Canzio, in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario del 2017. Perchè anche chi ha il compito di vigilare sull’osservanza della legge non può esimersi dall’essere controllato.

La polemica attorno alla magistratura e al Csm non accenna a placarsi: proprio ieri si sono registrate le rivelazioni clamorose di Leonardo Agueci, l’ex Procuratore aggiunto di Palermo, oggi in pensione: “Quanta ipocrisia – ha detto -, si sa da sempre che le nomine degli uffici giudiziari più grossi sono condizionate dalla politica e sono frutto di un accordo spartitorio tra le correnti. Stiamo assistendo al festival dell’ipocrisia”. Agueci, che oggi ricopre il ruolo di esperto di trasparenza e prevenzione della corruzione all’Autorità portuale di Palermo e Trapani, non nasconde la sua irritazione per le vicende che vedono al centro dell’attenzione il Csm e il magistrato Luca Palamara.

Il magistrato sottolinea che “da sempre le nomine sono condizionate dalla politica e sono frutto di accordo spartitorio tra le correnti. Quando si dice che la Procura di Roma vale più di un ministro è evidente che ha una rilevanza, una valenza politica”. E aggiunge: “La scelta dei procuratori è stata da sempre frutto di accordi che hanno riguardato la componente giudiziaria e quella politica, accordi tra magistrati ed esponenti politici, anche perché il Csm è composto da magistrati e politici”.

Csm, sanzioni disciplinari
Garante dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura ordinaria, il Consiglio Superiore della Magistratura è l’organo a cui, secondo l’art. 105 della Costituzione, spetta anche l’arduo compito di impartire provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati.
In base al D.l. n. 109 del 23 febbraio 2006, tra gli illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni vi sono i comportamenti che arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti; la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile; e il reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni. Tra gli illeciti disciplinari al di fuori dell’esercizio delle funzioni vi è l’uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti per sè o per altri.
Le sanzioni vanno dall’ammonimento alla sospensione da tre mesi a due anni e, in extrema ratio, alla rimozione.

Nessuna superloggia a Castelvetrano,
il Riesame: “Quadro indiziario carente”
TRAPANI – Nessuna superloggia a Castelvetrano. Il Riesame, che ha valutato “carente la dimostrazione anche solo indiziaria” della struttura associativa denunciata dai Pm di Trapani, ha disposto la scarcerazione dei 27 arrestati nell’ambito dell’inchiesta “Artemisia”. Tra le persone coinvolte nell’indagine della Procura trapanese spiccavano i nomi dell’ex deputato Giovanni Lo Sciuto – in passato componente della Commissione Antimafia regionale – dell’ex presidente dell’Ars, Francesco Cascio, dell’attuale Assessore regionale all’Istruzione, Roberto Lagalla, e dell’ex sindaco di Castelvetrano, Felice Errante.
Secondo il Gip di Trapani era provata l’esistenza di una loggia segreta che, in cambio di nomine negli uffici pubblici e concessioni di false pensioni di invalidità, era capace di condizionare la vita pubblica della comunità di Castelvetrano. Per il Riesame invece “non emergono condotte di interferenza organizzate e pianificate dal sodalizio” ma solo “singoli rapporti di amicizia e colleganza tra alcune persone”.

Corruzione, assolto D’Orsi
ex presidente Provincia Agrigento
AGRIGENTO – “Corruzione per l’esercizio della funzione”: questa era la pesante accusa che pendeva sulla testa dell’ex presidente della Provincia di Agrigento Eugenio D’Orsi. E per la quale nel maggio di due anni fa, in primo grado, gli era stata inflitta una condanna a quattro mesi di reclusione. La Corte d’appello ha però ribaltato la sentenza di primo grado, assolvendo D’Orsi con formula piena e cancellando la condanna inflittagli perché “il fatto non sussiste”.
Per l’accusa, l’ex presidente della Provincia girgentina avrebbe ricevuto da un vivaista quaranta palme nane, destinate alla sua villa di Montaperto; in cambio avrebbe garantito allo stesso vivaista un appalto consistente nella vendita all’Ente provincia di tutte le piante dell’attività, prossima alla chiusura.
Secondo i giudici di primo grado, l’uomo era colpevole. Il secondo grado di giudizio ha stabilito invece che tra il regalo del vivaista e l’acquisto delle piante fatte dalla Provincia non vi fosse alcuna connessione.

Trecastagni, Giovanni Barbagallo
“riabilitato”: è candidabile
CATANIA – Per Giovanni Barbagallo “non sussistono i presupposti per la declaratoria di incandidabilità”. Il via libera alla riabilitazione dell’ex sindaco di Trecastagni – ma anche del suo vice, Salvatore Torrisi, e degli ex consiglieri comunali, Antonio Sgarlato, Santo Torrisi e Alfio Fisichella – è arrivato lo scorso 3 maggio dalla prima sezione civile del Tribunale di Catania. I giudici hanno accolto il ricorso presentato dai cinque membri dell’amministrazione comunale, sulla quale, a poche settimane dalle elezioni del giugno 2018, si abbattè la scure dello scioglimento per mafia.
Tutto nacque dall’inchiesta “Gorgoni” che, coinvolgendo un’impresa operante nel settore della raccolta dei rifiuti, travolse vari enti locali, Trecastagni compreso, dove le indagini portarono all’arresto di due funzionari comunali, subito scarcerati ma ancora sotto processo.
Un primo nodo è stato dunque sciolto: si attende ora la decisione del Tar del Lazio sul ricorso al decreto di scioglimento.

“Il fatto non sussiste”, Max Biaggi
non è un evasore fiscale
ROMA – Max Biaggi non è un evasore. A stabilirlo è stato il Tribunale della Capitale che poche settimane fa ha fugato ogni dubbio sulle accusse mosse a suo carico dalla Procura romana. I giudici, infatti, lo hanno assolto con formula piena perché “il fatto non sussiste”.
Il celebre pilota motociclistico romano era accusato di aver sottratto al fisco quasi 18 milioni di euro. Secondo la Procura, che aveva chiesto per lui la pena di un anno di reclusione, Biaggi avrebbe affidato a società estere lo sfruttamento dei suoi diritti di immagine con contratti che – a detta del pm Giancarlo Cirielli – erano “idonei a rendere in tutto inefficace il recupero delle somme dovute al fisco”. E avrebbe trasferito la propria residenza nel Principato di Monaco per evadere le tasse.
Tutto è bene quel che finisce bene, insomma, ma alla fine della fiera Biaggi, come tanti altri personaggi noti e non, ha dovuto affrontare un calvario durato anni prima di poter mettere la parola fine alla vicenda.

I DATI PARLANO

895

sono i casi in Italia di ingiusta detenzione registrati nel 2018

33 mln di €

è quanto lo Stato ha sborsato nel 2018 a titolo di risarcimento per ingiusta detenzione

27.200

sono i casi di ingiusta detenzione registrati in Italia dal 1992 al 2018
740 mln di €
è quanto lo Stato ha sborsato per i risarcimenti dei casi di ingiusta detenzione dal 1992 al 2018

236 €

è l’indennizzo percepito in media da un innocente per ogni giorno trascorso in custodia cautelare in carcere

118 €

è l’indennizzo percepito mediamente da un innocente per ogni giorno trascorso in custodia cautelare agli arresti domiciliari

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