Orange fiber: vestirsi con le arance - QdS

Orange fiber: vestirsi con le arance

Antonio Leo

Orange fiber: vestirsi con le arance

venerdì 17 Maggio 2013

Moda e benessere: la loro tecnologia consente di rilasciare lentamente oli essenziali che fanno bene alla pelle. Le etnee Adriana Santonocito ed Enrica Arena vogliono sfruttare gli scarti agrumicoli per produrre tessuti

CATANIA – Catania-Milano, andata e ritorno. Potrebbe essere questo il titolo dell’avventura di Adriana Santonocito (35 anni) ed Enrica Arena (29), partite dalle falde dell’Etna alla volta della capitale lombarda per formarsi e  trovare quelle fortune che qui spesso sono negate. Eppure la vita è strana, colma di imprevisti: e alla fine potrebbero ritornare in terra natia. Loro un’idea ce l’hanno, eccome. Le incontriamo presso l’acceleratore catanese di Working capital, aperto circa dieci giorni fa, e ci raccontano di Orange Fiber.
Avreste mai detto che dai frutti siculi per antonomasia, le arance e i limoni, si potessero ricavare dei capi d’abbigliamento, belli e che fanno pure bene? Ovviamente no, ma loro l’hanno fatto. Hanno messo a punto una tecnologia che permette di ricavare tessuti dalla cellulosa degli scarti agrumicoli. Ma non gli bastava fermarsi, troppo poco. Addirittura hanno anche in tasca la nanotecnologia che permetterà al loro prodotto di rilasciare sulla pelle degli oli essenziali, che ammorbidiscono la cute senza ungerla. Su di loro adesso sono puntati gli occhi di Telecom Italia: in corsa per un grant (finanziamento a fondo perduto da 25 mila euro), promettono di rivoluzionare il mercato della moda “green”. Adriana ci racconta qualcosa di più.
In che cosa consiste Ornage Fiber?
“Orange Fiber è un progetto che mira a sviluppare tessuti partendo da scarti o da sottoprodotti dell’industria agrumicola. Li realizziamo attraverso l’estrazione della cellulosa, atta alla filatura, da tali scarti. Va aggiunto che tramite le nanotecnologie riusciamo ad arricchire questo tessuto con delle microcapsule che contengono oli essenziali di agrumi. Quest’ultimi permettono così di avere un capo che è bello, ma al tempo stesso funzionale al benessere del consumatore”.
Ma non è che poi questo tessuto lascia unti per tutto il giorno?
“Assolutamente no. Il tessuto rilascia delle sostanze naturali non invasive: al massimo senti la pelle più morbida, come se mettessi la crema la mattina. Il rilascio è graduale, praticamente microscopico, ma nutre la pelle”.
Avete già realizzato una collezione?
“Ancora no, in quanto ci stiamo concentrando a mettere a punto il tessuto. Per realizzare il prodotto finito dobbiamo anzitutto completare il prototipo. Non essendo una startup digitale, abbiamo dei costi più importanti da sostenere. Per portare a termine la ricerca e lo sviluppo, ci serve un investimento di circa 100.000 euro. Stiamo cercando un partner industriale”.
Avete partecipato a qualche progetto di incubazione per startup?
“Sì. È stato molto formativo partecipare a ‘Change makers’: abbiamo fatto due mesi di incubazione a Milano, durante i quali siamo entrati in contatto con tantissimi esperti di startup che ci hanno fatto da mentori. Attraverso il loro aiuto abbiamo sviluppato il nostro modello di business”.
Il vostro è un progetto altamente innovativo. Avete attirato le attenzioni di qualche Università?
“Ci ha dato una grossa mano il Politecnico di Milano. Lì ho esposto la mia idea per la prima volta e mi hanno aiutato a valutarne la fattibilità. Per quanto riguarda le nanotecnologie, abbiamo stretto degli accordi con delle aziende tessili che hanno sviluppato per noi la tecnologia. Adesso, stiamo brevettando l’innovazione”.
Come ti è venuto in mente di creare Orange fiber?
“In un modo abbastanza naturale. Studiando la moda, mi sono resa conto che c’è una tendenza verso la sostenibilità richiesta da quasi tutte le aziende. Anche nella moda c’è l’esigenza di essere sostenibili. C’è poi un problema di scarti industriali che vengono buttati in Sicilia: capendo che c’è una grande biomassa rinnovabile a disposizione, ho cercato di capire come sfruttarla”.
Da poco a Catania ha aperto, unica al Sud, una sede locale di Working capital. Incredibile, ma vero: potreste trovare l’occasione che cercate a due passi da casa.
“Quando sono partita per Milano nella mia Catania non c’era alcuno sbocco: è stata una scelta obbligata per studiare ciò che mi interessa. Con Working capital vedo una grande speranza. Parteciperemo sicuramente al concorso 2013, con la speranza di ottenere il grant (un investimento a fondo perduto di 25 mila euro, nda)”.

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