Non è con i pannicelli caldi che si possa risolvere, almeno transitoriamente, la questione, ma con un’azione shock che duri due anni. Di che si tratta?
In Sicilia, vi sono all’incirca 900 mila dipendenti così suddivisi, circa 300 mila pubblici e circa 600 mila privati. In Lombardia, invece, ve ne sono 3,1 milioni suddivisi in 400 mila pubblici e 2,7 milioni privati.
Se con un accordo politico-sindacale (e con questo i sindacati dimostrerebbero di essere equi e progressisti) si chiedesse a metà dei 900 mila dipendenti siciliani, quelli che guadagnano oltre 2.000 euro al mese, di rinunciare al dieci per cento del proprio stipendio, si potrebbe immediatamente assumere una persona su dieci. Il che significherebbe circa 45 mila persone.
Si tratta di un’utopia? Può darsi, ma l’equità in una società si misura dalla capacità dei cittadini di rinunziare a qualcosa per il bene degli altri.
Naturalmente a questa manovra transitoria (biennale) se ne dovrebbe accoppiare una seconda sotto forma di ulteriore imposta patrimoniale sui beni posseduti, per ottenere risorse utili a dare un assegno di 500 euro mensile ai disoccupati.
Quanto precede sarebbe ovviamente un atto straordinario. Per riassorbire in un lavoro vero e produttivo di ricchezza i disoccupati siciliani, occorrono alcune fondamentali azioni.
La prima riguarda l’apertura di tutti i cantieri per opere pubbliche di qualunque livello con l’utilizzazione totale di fondi europei e statali, necessariamente cofinanziati dai fondi regionali, che vanno trovati tagliando gli enormi sprechi.
La seconda riguarda l’attrazione degli investimenti internazionali e nazionali, offrendo condizioni di vantaggio rispetto alle altre regioni europee, anche in termini di rapidità nel rilascio di autorizzazioni e concessioni e altri documenti amministrativi, nonché un concerto tra le istituzioni nazionali, regionali e locali tendente a unificare i processi idonei a consentire tali investimenti.
In un periodo di crisi, come quello che stiamo vivendo da sette anni, tutti i cittadini devono entrare nell’ordine di idee, come è accaduto in Grecia, di fare un passo indietro sul loro tenore di vita, per ricominciare la risalita dello sviluppo e della crescita.
Fare un passo indietro, si badi, non significa spendere di meno complessivamente, ma fare leggermente diminuire la spesa a chi ha un lavoro garantito, per farla aumentare a chi non è entrato nel mondo del lavoro, autonomo o dipendente.
Per fortuna alcuni sindacati hanno capito che la flessibilità è indispensabile. Hanno firmato un ottimo contratto con la Volkswagen, proprietaria della Ducati, in base al quale, quando fosse necessario, i dipendenti lavorerebbero di sabato e perfino di domenica. Sono proprio i dipendenti i più contenti di sacrificare la domenica in nome di una crescita intelligente. La sacralità delle ferie e dei giorni di riposo settimanali (1,5 per tutti e 2 per i privilegiati: bancari, giornalisti, insegnanti, ecc.) non è più consentita, fino a quando non si manifesterà una vigorosa ripresa che consenta a chi non è nel mondo del lavoro, autonomo o dipendente, di poterci entrare, magari sottraendo qualcosa ai garantiti.
Ha ragione Matteo Renzi quando sostiene che il sindacato è conservatore e che ha sempre tutelato i garantiti e mai i disoccupati, né i co.co.co., neanche i co.co.pro. e neppure le partite Iva.
Nel mondo del lavoro tutti debbono avere le stesse possibilità di partenza per poi andare avanti, crescere e guadagnare di più unicamente in base al proprio merito, che si misura esclusivamente con i risultati conseguiti. I fanfaroni sono out.