A seguito del terremoto dell’11 gennaio 1693 fu quasi interamente raso al suolo
Le mille vite di Monterosso Almo, piccolo borgo tra i monti Iblei, nel ragusano. Al tempo dei Normanni, quando apparteneva a Goffredo, figlio del conte Ruggero, si chiamava Lupia, o Casal Lupino, per la presenza dei lupi. All’epoca degli Aragonesi assunse il toponimo di Mons Almo o Johalmo. Nel 1338 fu denominato Mons Rubens, Monte Rosso, dal conte Enrico Rosso di Messina, che vi costruì un castello ora scomparso e fu protagonista della sua rifondazione. E infine, a seguito del terremoto dell’11 gennaio del 1693, fu quasi completamente raso al suolo e venne ricostruito più in alto, assumendo l’attuale topografia e l’assetto urbanistico barocco di oggi.
Andarono distrutti interi quartieri e numerose chiese, alcune delle quali non furono più riedificate. Diversa sorte toccò invece alla chiesa Madre, le cui origini risalgono ai Normanni, quando era intitolata a San Nicolò. La chiesa venne infatti ricostruita in stile neogotico ed ancora oggi la si può ammirare in piazza Sant’Antonio, in cima ad un’ampia scalinata. Della costruzione precedente conserva ancora pregiate acquasantiere e, nel transetto, parte di un pavimento in pietra pece, dove è raffigurata un’aquila con intarsi policromi, di età normanna.
Oggi è monumento nazionale, come la chiesa che sorge poco distante da essa, dedicata a Sant’Antonio Abate, che presenta un bel portale in stile barocco e notevoli tesori artistici, tra cui una grande pala del Cinquecento del “Martirio di San Lorenzo”, riconducibile alla scuola di Antonello da Messina. La primitiva chiesa di S. Antonio, sorgeva su un altro sito, per poi essere riedificata, dopo il sisma, sulle fondamenta della chiesa di San Pietro. I lavori furono fatti a più riprese, essendo iniziati nel 1741 ed ultimati solo il 1° settembre del 1891. Nel 1988 la chiesa, è stata elevata a Santuario dedicato a Maria Santissima Addolorata, patrona del paese.
Nella grande piazza San Giovanni, comunemente chiamata u chianu, circondata da eleganti palazzi d’epoca, si trova invece la chiesa intitolata a San Giovanni Battista, con un’imponente facciata in stile barocco, preceduta da una scalinata scenografica. Della sua ristrutturazione si occupò l’architetto Vincenzo Sinatra, ai primi del Settecento, che operò soprattutto a Noto, la sua città natia, dove progettò opere architettoniche di grande interesse, come il Palazzo Ducezio e la splendida chiesa di Montevergine.
La chiesa di San Giovanni Battista, che per un certo periodo sostituì la Matrice, ingloba le strutture della vecchia costruzione, che fu lievemente danneggiata dal sisma e che, secondi alcuni storici, sarebbe stata fondata anche questa dai Normanni, che introdussero nell’isola il culto dei santi da loro venerati, tra cui quello di San Giovanni Battista. Di certo però esisteva già nel XVI secolo, poiché nei rilevi dell’epoca risulta l’esistenza di un quartiere denominato San Giovanni, sviluppatosi con molta probabilità attorno ad un’omonima chiesa. La Basilica ha gli interni impreziositi di stucchi, cappelle, altari e numerose opere di pregio, tra cui un artistico pulpito in legno ed una statua della Madonna in posizione dormiente, tipica dell’iconografia orientale.