Il valore simbolico del Ponte - QdS

Il valore simbolico del Ponte

Fernando Rizzo

Il valore simbolico del Ponte

lunedì 29 Agosto 2016

Milioni di italiani si chiedono se l’opera si farà e quando. Da molti mesi, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi va ripetendo che “sicuramente il Ponte sullo Stretto verrà fatto, prima o poi”. Rispetto al passato non è cambiato nulla

Da molti mesi, il Presidente del Consiglio va ripetendo che “sicuramente il Ponte sullo Stretto verrà fatto, prima o poi”. Un’affermazione che vuol dire poco o nulla. Come se un meteorologo annunciasse che pioverà, un giorno o l’altro. Ciononostante, le sue parole hanno riacceso la speranza dei tanti Siciliani e Calabresi fermamente convinti che il Ponte sia l’ultima opportunità che si offre loro per uscire dalla drammatica spirale di degrado nella quale si trovano da molti anni a questa parte. Poi aggiunge: “… bisognerà capire i costi e i tempi … perché prima si devono finire i lavori sulle strade in Sicilia e Calabria … alcuni tratti sono indecenti”.
Nemmeno il più credulone tra i sostenitori dell’opera dovrebbe trovare ragioni di ottimismo in queste generiche affermazioni. Nulla pare realmente cambiato da quando, nel 2007, il neo eletto Presidente Prodi sospese l’opera perché “c’erano altre priorità”. Sono trascorsi 30 mesi da quando Matteo Renzi è diventato Premier e il Sud è entrato nel suo lessico da meno di un semestre. La svolta si è avuta quando è apparso evidente che il M5S aveva ampiamente superato il PD quantomeno da Roma in giù: in Sicilia pare che i Grillini siano 20 punti avanti al PD.
Per porre rimedio alla probabile débâcle referendaria, l’ex sindaco di Firenze ha dichiarato che il Mezzogiorno diventerà un cantiere. Un’opera-simbolo per regione: Bagnoli per la Campania, la SS106 per la Calabria, l’AV/AC ferroviaria NA-BA-TA (per la verità, deliberata da Governi precedenti, grazie all’azione di lobbying trasversale di Fitto, Vendola e Boccia) e, infine, il Ponte sullo Stretto e l’AV light per la Sicilia. Opere importanti, che arrivano con fortissimo ritardo a dare una boccata d’ossigeno a territori ignobilmente abbandonati per molti decenni. Interventi ben distinti che non sembrano finalizzati a confluire in un progetto organico che vede il Mezzogiorno come parte indispensabile di una ritrovata identità del Paese.
Spiace constatare che il nostro Presidente del Consiglio sembra privo di quell’esprit de finesse di pascaliana memoria, che distingue gli statisti dai semplici politici. Quella visione d’insieme capace di collocare i singoli provvedimenti all’interno di un sistema molto più ampio, pensato alla luce di valori ideali più che da estemporanee convenienze. Il tanto decantato Piano per il Sud non appare capace di superare la concezione di un Paese spaccato in due, nel quale il Nord tenta di restare disperatamente aggrappato all’Europa ricca e vincente (ma per quanto?) e il Sud deve solo sopravvivere. In modo da non creare troppi problemi dal punto di vista elettorale e dell’ordine pubblico.
Come fosse un povero naufrago che si dibatte vicino alla barca di salvataggio, al quale viene lanciato un salvagente, ma non gli si consente di salire a bordo.

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