Festa del lavoro, festa dei doveri - QdS

Festa del lavoro, festa dei doveri

Carlo Alberto Tregua

Festa del lavoro, festa dei doveri

mercoledì 06 Maggio 2009

Tutti reclamano, pochi s’impegnano

Cinque giorni fa è stata celebrata la giornata in onore del lavoro. Solite e stereotipate manifestazioni nelle quali chi ha l’onere di fare i discorsi, ripete le stesse frasi ormai stantie. Per la verità, come scrivevamo ieri, gli italiani si sono stufati di queste cerimonie inutili e in massa sono andati fuori casa o fuori porta, con una quantità impressionante di auto in circolazione: ben nove milioni.
Perché non si sente più il bisogno di celebrare il lavoro? Molte le risposte all’interrogativo. Azzardiamone qualcuna. La prima riguarda le forti differenze che esistono tra il lavoro pubblico e quello privato. La seconda è l’altrettanto macroscopica differenza fra compensi del ceto politico-burocratico, non commisurati ai meriti e ai risultati, e quelli del settore privato, direttamente proporzionali a meriti e risultati.
Terza: la favola della disoccupazione che in parte c’è, ma in parte nasconde il lavoro in nero che si attribuisce al Sud e che si trova in tutto il Paese. La disoccupazione peraltro è manifesta in decine e decine di migliaia di richiedenti il lavoro, che però non possiedono competenze.

Tutti costoro, se fossero adeguatamente formati al lavoro, troverebbero rapida collocazione nelle aziende che assumono necessariamente dipendenti preparati. Questo è il solo modo per essere competitivi con le aziende dell’intero pianeta.
Nei discorsi ascoltati attraverso i reportage televisivi e letti nelle agenzie non abbiamo sentito accenno all’aspetto più importante del lavoro, che è quello della competenza. Non abbiamo sentito, da parte dei leader sindacali, neanche una critica verso la scuola e l’Università che non ne forniscono alcuna, ma neanche l’addestramento utile a imparare a imparare.
L’articolo 1 della Costituzione ricorda che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Molti si sono impossessati di questo articolo predicando il diritto al lavoro e non il dovere del lavoro, per cui si potrebbe parafrasare che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro (degli altri).

Festeggiare il lavoro non significa che qualunque cittadino abbia il diritto a uno stipendio, bensì che abbia diritto a un’opportunità. è l’opportunità che rende uguali tutti i cittadini, i quali devono partire dallo stesso punto, ma poi, com’è ovvio, la fila si sgrana in base alle capacità individuali.
In Italia, però, è stato inserito un elemento distorsivo, cioè quello del favoritismo e della raccomandazione. Per cui la graduatoria non è fatta in base al merito, ma in base all’appartenenza, al ceto politico, professionale, imprenditoriale, burocratico, e via elencando.
La distorsione del favore crea un grave problema nazionale, perché spesso notiamo degli incompetenti piazzati in posti chiave, con la conseguenza che non solo rubano lo stipendio, ma fanno danno, un danno derivante dalla loro incapacità professionale e dalla prevalenza dell’interesse della famiglia superiore a quello generale. L’Italia è il Paese delle corporazioni, delle cordate, dei feudatari, insomma un Paese dove l’equità sociale è una chimera.

Il Primo maggio dovrebbe essere la festa dei doveri su cui potrebbero essere spesi concetti e sollecitazioni. Mentre, lo ripetiamo, è un’inutile elencazione di ciò che gli altri dovrebbero fare. Siamo bravissimi a dire cosa gli altri debbano fare, ma noi per primi non diamo l’esempio. Le inutili parole dovrebbero essere sottratte e sostituite da comportamenti positivi e meritevoli e invece tutti parlano e scrivono, ma senza un minimo di operatività e fattività.
Abbiamo davanti un anno fino al prossimo primo maggio 2010. Chissà che le attuali false regole del gioco possano essere sostituite da quelle positive, nelle quali tutti riconoscano la necessità di fare e non di interdire, di raggiungere risultati e non di restare oziosi, di progettare e realizzare in tempi certi, di controllare costantemente che la tabella di marcia per raggiungere gli obiettivi sia mantenuta. Con ciò premiando bravi e capaci e sanzionando incompetenti e coloro che non hanno voglia di sacrificarsi e impegnarsi per il loro costante miglioramento.

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