Personale inutile nella Pa siciliana - QdS

Personale inutile nella Pa siciliana

Carlo Alberto Tregua

Personale inutile nella Pa siciliana

sabato 09 Maggio 2009

Regione: uno scandalo nazionale

L’attenzione dei quotidiani nazionali, primo fra i quali il Corriere della sera, nei confronti dell’eccessivo personale pubblico che c’è in Sicilia a livello della Regione e degli enti locali, denota sempre più l’insofferenza della parte efficiente del Paese nei confronti di questa parte inefficiente.
Non solo, offre il destro per difendere la posizione di chi sostiene che non ci debbano trasferire le risorse perché tanto le spendiamo per la cattiva spesa corrente.
Per esempio, la lunga e polverosa questione del trasferimento, i 4,093 mld di euro dei fondi per le aree sottoutilizzate di competenza della Sicilia, che sono stati stoppati dal ministro per le Regioni, Raffaele Fitto. Egli sostiene che la Regione destinerebbe circa un quarto di tali risorse non già per costruire infrastrutture materiali e immateriali, secondo la destinazione, bensì per la spesa corrente, fra cui la stabilizzazione di tanti privilegiati e raccomandati, quali sono i precari.

Dall’assessore regionale alle Finanze, Michele Cimino, non abbiamo ancora sentito una smentita nei confronti di questa posizione del ministro Fitto.
Ma allora, Michele Cimino, è vero o non è vero che questo miliardo serve per dare uno stipendio a decine di migliaia di unità di inutile personale? Se non è vero, perché non lo comunica al mondo dei media? Se invece fosse falso, sarebbe opportuna una vigorosa smentita.
Certo, la questione che riguarda l’aspettativa di tanta gente, cui un cattivo ceto politico ha promesso un posto qualsivoglia, è delicata. Comprendiamo che da un punto di vista umano nessuno può essere “tradito”. Però, nella materia, bisogna fare chiarezza una volta per tutte. O di qua o di là della barriera dell’efficienza. Occorre cancellare la zona grigia.

Vi sono altre due questioni che vanno analizzate.
La prima. Quando si immettono persone inutili nella pubblica amministrazione, bisogna che ciascuna di esse sia dotata di strutture e attrezzature (la scrivania, uno spazio che costa in termini di affitto o di utilizzazione di immobili, energia elettrica, energia informatica, computer, personale di sorveglianza e così via). Si può stimare, a occhio e croce, che il costo di un posto di lavoro sia pari, se non superiore, al costo complessivo di un dipendente. Quindi non solo l’ingresso di personale inutile determina una spesa corrente di stipendi, ma la raddoppia.
Qualcuno potrebbe offendersi quando noi definiamo inutile un dipendente nella pubblica amministrazione. Avrebbe ragione, e noi chiederemmo scusa, se quel tizio fosse chiamato per ricoprire un ruolo predeterminato, cioè se fosse necessario per la filiera della produzione dei servizi. Ma come si verifica la correttezza di una filiera? Redigendo il Piano organizzativo per la produzione dei servizi (Pops), determinando il numero delle figure professionali occorrenti e riempendo le singole caselle professionali con idonei professionisti. Ma questo non avviene.

La seconda questione riguarda la necessità umana e sociale di non mandare a casa senza lavoro questo personale inutile. Ma a questo punto chiarezza vorrebbe che ciascun ente istituisse nel proprio capitolo di bilancio una voce riguardante l’assistenza, una sorta di cassa integrazione della pubblica amministrazione, lasciasse a casa tale personale inutile e facesse pervenire a ciascuno un assegno mensile di 800-900 euro, in attesa che egli trovi un’opportuna collocazione nel mercato.
Non solo, ma l’ente pubblico che avesse istituito gli albi del personale inutile dovrebbe incentivare con un premio pari a qualche mensilità tutti coloro che chiedessero la cancellazione da tali elenchi, per aver trovato collocazione in attività produttive.
Ci rendiamo conto che l’iscrizione nell’elenco del personale inutile potrebbe sembrare una sorta di umiliazione, come additare al pubblico ludibrio gente incapace di fare un lavoro produttivo. Ma questo è il contraltare di chi non si è dato da fare per dotarsi di una formazione e di una professionalità che sicuramente gli consentirebbe di collocarsi nel mercato.

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