Il Cavaliere vince ma il Pd resiste - QdS

Il Cavaliere vince ma il Pd resiste

Carlo Alberto Tregua

Il Cavaliere vince ma il Pd resiste

giovedì 25 Giugno 2009

Basta elezioni ora governare

Veline, minorenni, vip, voli di Stato e altri argomenti usati dalla corrazzata La Repubblica di Carlo De Benedetti e indirettamente dal Pd non sono bastati per fare perdere il PdL ai ballottaggi. Dalle elezioni di domenica scorsa emerge uno spostamento dell’elettorato locale verso il centrodestra. Si tratta di un dato ineluttabile, che i commentatori non possono negare. Ma vi è un secondo dato, altrettanto ineluttabile: una serie di province e città, date perdute per il centrodestra, invece sono rimaste affezionate ai loro partiti. Non ci addentriamo nel dettaglio, ampiamente riportato in tutti i quotidiani.
Berlusconi vince, nonostante il fango; il Pd non perde, nonostante le divisioni, l’inconcludenza dei propri leader e la disaffezione degli elettori.
In questo quadro, i cittadini hanno perso non andando a votare il referendum, Si o No. Una abdicazione al loro diritto di dirigere e di indicare le linee di politica nazionale.

Ora basta parlare di elezioni, bisogna governare e, più precisamente, fare le riforme urgenti. Prioritaria è quella di Brunetta, che inserisce nella pubblica amministrazione elementi di responsabilità con premi al merito e sanzioni al demerito.
Ma è urgente che il Governo si disancori dalle lobbies imprenditoriali, professionali, sindacali e via dicendo per accogliere l’alto grido del presidente dell’Autorità garante per la concorrenza e il mercato, Antonio Catricalà. Catricalà ha sottolineato come le liberalizzazioni restino lettera morta, con la conseguenza che i consumatori-cittadini sono sempre considerati subordinati agli interessi dei poteri forti, fra cui banche, assicurazioni, imprese, sindacati e Chiesa.
I Governi del dopoguerra non hanno avuto molta attenzione per la produzione e per il lavoro, dimenticando totalmente che sia l’una che l’altro sono al servizio dei cittadini-consumatori, e non il contrario. Se lo Stato alimenta sé stesso, viene meno la sua missione primaria che è quella di servire i cittadini.

 
Altra riforma urgentissima è quella dei servizi locali, le cosiddette utilities. L’Unione delle Camere di Commercio ha accertato che vi sono oltre 5.000 società a controllo pubblico, con oltre 30 mila componenti di Consigli di amministrazione, decine di milioni di euro di gettoni e compensi, ma quello che più conta è che le tariffe e i prezzi praticati da tali società sono fuori mercato, nel senso che sono molto superiori ai prezzi concorrenziali.
Ricordiamo il triangolo maledetto: l’ente locale costituisce una società per azioni di cui sottoscrive la maggioranza o tutto il capitale sociale. La società per azioni, figlia del Comune, fa una convenzione per la gestione dei servizi in monopolio con il Comune stesso. I prezzi naturalmente sono privilegiati e non tengono conto del mercato e della concorrenza. Si stima che, se tutti i Comuni mettessero sul mercato i servizi e cercassero i fornitori in un regime di concorrenza con bandi di evidenza pubblica, il loro costo per i cittadini diminuirebbe fortemente e la qualità aumenterebbe di conseguenza.

Altra riforma che il Governo deve fare riguarda l’ambiente e l’energia, ove regimi di oligopolio non consentono di fornire ai cittadini i migliori servizi ai prezzi più bassi. Le Ferrovie impediscono nel breve la concorrenza sui binari, la Tirrenia opera con aiuti di Stato senza i quali fallirebbe, Terna, che gestisce la rete elettrica, è una società quotata in Borsa, ma non avendo concorrenza funziona perché sovvenzionata, e così via enumerando.
Il quadro che di volta in volta andiamo facendo è sconsolante, perché tutti i Governi che si sono succeduti sono stati oggetto di golosi interessi di parte.
È in questo quadro che Berlusconi, col suo Governo nazionale, e Lombardo, col suo Governo regionale, devono far capire se il vento è cambiato o se continueranno a operare come i loro predecessori.
Mentre in passato vi era il salvataggio mediante svalutazione e aumento del debito pubblico, ora questi due elementi sono definitivamente cessati. L’euro stringe ogni giorno di più il proprio cappio. O il Paese diventa virtuoso o esce dalla competizione internazionale.

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