La Sicilia non cresce perché si lamenta - QdS

La Sicilia non cresce perché si lamenta

Carlo Alberto Tregua

La Sicilia non cresce perché si lamenta

giovedì 13 Maggio 2021

Occorrono iniziative propulsive

La lamentazione è una caratteristica dei meridionali ed in particolare dei siciliani. Lamentarsi di questo e di quello è un classico atteggiamento di persone passive, le quali, per il loro stato mentale, ritengono che la loro condizione insufficiente sia colpa degli altri. Questi soggetti non hanno la capacità di autoanalizzarsi e di cercare le motivazioni del proprio insuccesso e dell’assuefazione a una sorta di apatia, forse ignavia, che li mantiene in uno stato spesso insopportabile.
Non che tutti i siciliani rientrino nella tipologia prima indicata, però ve n’è una gran parte, non sappiamo se maggioritaria o minoritaria.
Certo, la mentalità assistenzialista ha contribuito a formare siciliani perdenti, perché quando non vi sono stimoli per crescere, per svilupparsi, per andare avanti, ci si abbatte e non si guarda al futuro col necessario ottimismo occorrente al fare. Chi non ha voglia del nuovo, chi non ha fame di conoscenza, si abbandona al non fare, neanche a scacciare la mosca dal naso.

Quando i siciliani guardano coloro da cui dovrebbero trarre esempio, si accorgono che chi occupa la fascia dirigenziale sociale, economica, pubblica e istituzionale, non si muove nell’ottica della crescita, dell’invenzione di progetti, della loro realizzazione. Piuttosto sta fermo, inchiodato al presente senza alcuna prospettiva del futuro. Cosicché la realtà sembra cristallizzata e resta immobile.
Mentre questa situazione di stallo si verifica, gli altri camminano a passo svelto e persino corrono, con la conseguenza che il gap, cioé la differenza, fra lo stato sociale ed economico dei siciliani e quello dei lombardi, degli svizzeri, dei danesi e degli americani, aumenta.
Ciò è male. Si tratta di una malattia che va identificata – come stiamo cercando di tratteggiare – alla quale occorre porre rimedio con una adeguata terapia dopo aver fatto la giusta diagnosi.
Vi è una primaria responsabilità del ceto politico che non si può sottacere, ma anche la dirigenza sociale ed economica non è immune da responsabilità, perché accetta passiva che tutto cambi perché nulla cambi.
La Regione gestisce un bilancio annuale di circa sedici miliardi, cui se ne aggiungono oltre dieci di fondi europei, seppure distribuiti in sette anni. Poi vi sono fondi statali per alcuni miliardi. Insomma si tratta di cifre rilevanti che andrebbero spese per vivificare l’economia e, almeno in buona parte, per migliorare il disastrato territorio e le sue coste, per ribaltare il malfunzionamento di depuratori e il meccanismo relativo ai rifiuti solidi urbani ed altre iniziative.
Dunque, non è una carenza di risorse finanziarie la causa della disastrosa situazione in cui si trova la Sicilia. Vi è un dato incontrovertibile: il Pil dal 2000 al 2020 non solo non è aumentato, ma è diminuito. Come dire che sono passati inutilmente vent’anni alla fine dei quali va scattata una fotografia molto precisa: senza alcun progresso, i siciliani sono rimasti al palo.
La spesa regionale è andata in assistenzialismo ed è servita per otturare falle e buchi, ma non per far girare adeguatamente la ruota economica.

Il quadro delineato non è catastrofico; è certamente grave, ma non serio. Non è serio perché non è stato serio il comportamento di tutta la dirigenza siciliana.
Ora è arrivato il momento in cui bisogna ribaltare tale deleterio comportamento. Abbiamo davanti un decennio (2021/2030) e siamo alla fine del maledetto periodo endemico.
Se si vuole, si può procedere con speditezza alla redazione di un programma di sviluppo basato su una efficiente organizzazione della Pubblica amministrazione, la quale dovrebbe diventare locomotiva di tutte le attività economiche, promuovendo iniziative ed esitando tutte le richieste che provengono dal mondo delle imprese in tempi reali, cioé in settimane e non in anni.
Non è possibile rassegnarsi a questo stato di cose. Non è possibile continuare a lamentarsi. Occorre un colpo di reni per iniziare adeguatamente questo decennio che dovrebbe avere l’obiettivo di fare aumentare il Pil di dieci punti (almeno) e l’occupazione di altri dieci punti.
Per farlo, bisogna crederci.

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