Dietro i topi e le blatte che gironzolano dentro al carcere, dietro il declamato sovraffollamento della struttura e le tristi condizioni dei detenuti – che sono inconfutabili – c’è un affare che raggiungerebbe i 250 mln €. Liberare piazza Lanza significa infatti realizzare un cubo di cemento alto circa venti piani, che gli imprenditori coinvolti dal progetto di finanza potranno tirar su avendo “carta bianca” su un intero isolato in pieno centro cittadino.
Dietro a quella che viene propinata come un lampo di genio improvviso, un’idea venuta dal nulla, un miraggio nel deserto, in realtà ci sono giochi già fatti da oltre un anno, visto che le carte progettuali dell’operazione giacciono negli uffici comunali, mentre la gente viene lasciata all’oscuro di tutto e il Consiglio comunale continua ad avere un ruolo simbolico.
Unico elemento in controtendenza è l’azione dell’assessore Pippo Arcidiacono, cosciente del fatto che sia “necessario – sostiene – uscire dalla crisi che attanaglia la città creando un punto di equilibrio tra i vari interessi in ballo. Per questo – ha detto Arcidiacono – non mi sbilancio sui progetti in corso di valutazione, ma contemporaneamente punto sulla costruzione di importantissimi porti turistici di cui la città ha veramente bisogno per dare slancio al turismo e creare occupazione”.
Piazza Lanza in un Paese “normale” diventerebbe un parco. Ma a Catania si ragiona ancora da palazzinari e in questo caso si tratta di un’area completamente congestionata da decenni di cementificazioni, circondata da stradine a senso unico, senza verde pubblico né spazi culturali. Ed è solo l’inizio.
I PALAZZI SULLO STADIO. Il metodo non cambia a proposito della delocalizzazione dello Stadio “Massimino”, nel quartiere Cibali. Il progetto è già depositato da oltre un anno, ovviamente i componenti del Consiglio di quartiere di Cibali, i consiglieri comunali e la cittadinanza intera sono all’oscuro di tutto. Il meccanismo è semplice: i privati dovrebbero costruire un nuovo stadio fuori dal centro storico, in cambio realizzeranno una schiera di ecomostri di almeno venti piani. Le costruzioni circostanti all’area dello scempio, per lo più edifici di pregio storico, rischiano di diventare come delle formiche al cospetto di una montagna. Il tutto in una zona già congestionata dal traffico, priva di arterie idonee a supportare nuovi uffici, centri commerciali e migliaia di vani. Contemporaneamente l’adozione del nuovo piano regolatore avanza alla stregua della tela di Penelope. In questo modo si barcolla a forza di varianti, senza programmazione né trasparenza, il tutto in una città che ha il maggior rischio sismico d’Europa, senza fogne né canali di gronda.