Chi accusa deve provare - QdS

Chi accusa deve provare

Carlo Alberto Tregua

Chi accusa deve provare

venerdì 09 Giugno 2023

Servono i fatti non le parole

Nell’informazione italiana si è diffuso il malcostume di accusare gli altri senza addurre prove o fatti a sostegno delle stesse accuse. Non solo si tratta di un malcostume, ma anche di una palese violazione delle regole etiche che impongono di dire sempre la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità.
Quest’ultima, però, non è precisamente determinata perché, come è noto, di verità ce ne sono tante a seconda delle interpretazioni dei fatti o delle norme che la vogliono raggiungere.
Quanto precede, ovviamente, se chi parla è in buona fede. Non prendiamo in esame chi è in malafede, il quale dice falsità per il proprio tornaconto, infischiandosene se queste falsità danneggiano i terzi.
Chi si comporta in questo modo non può che essere definito malfattore. Ma si sa, la carne è debole, l’egoismo è forte, la voglia di arraffare anche, con la conseguenza che pochi si pongono la questione se sia giusto accusare senza prove e senza fatti, ma solo per calunniare i terzi.

Non vi è solo una questione morale sottostante alle argomentazioni che vi stiamo elencando, ma spesso si verifica in leggi dello Stato una situazione assurda. Come quando, qualche anno fa, venne in testa al ministro delle Finanze di fare approvare una Legge fiscale secondo la quale l’amministrazione finanziaria poteva impudentemente accusare il contribuente, dicendogli, per esempio, che egli in un certo anno aveva guadagnato diecimila, centomila o un milione di euro. Quest’ultimo aveva l’onere della prova di dimostrare il contrario; una prova che viene definita diabolica perché nessuno può dimostrare di non avere guadagnato una certa cifra, con la conseguenza che doveva subire la prepotenza dell’amministrazione finanziaria, la quale cercava di ottenere vantaggi, sfruttando una rendita di posizione.

Per fortuna, la stortura indicata è stata eliminata lo scorso anno con una legge che ha ristabilito la correttezza del rapporto fra amministrazione finanziaria e contribuente, in base al quale è proprio la stessa che quando lo accusa deve portare le prove che saranno successivamente vagliate dalle Commissioni tributarie di diverso livello.
La questione prospettata è pacifica in campo penale perché tocca alla Procura della Repubblica, quando accusa, dimostrare i fatti a carico dell’imputato. Ovviamente, tali fatti vengono vagliati dai giudici nei diversi gradi di giudizio, i quali devono valutare se essi siano sufficienti per provare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la colpevolezza dell’imputato.
Anche in questo caso la verità non è quella assoluta, ma quella che si definisce verità processuale, vale a dire risultante esclusivamente da prove documentali o testimoniali esibite all’interno del processo e mai al di fuori dei suoi limiti.
Non è infrequente il caso in cui si verificano errori giudiziari, consistenti nel valutare male le prove all’interno di un processo, per cui si rende necessaria la verifica nei gradi più alti, i quali sono in condizione di constatare se nei processi precedenti vi siano state erronee valutazioni delle prove addotte dall’accusa e dalla difesa.
Al di là di questo, anche nei processi dovrebbe vincere la regola etica e costituzionale che gli imputati sono considerati innocenti fino a eventuale condanna.

Torniamo all’informazione, della quale l’accusa fa un arma micidiale, perché è invalso il pessimo uso della stessa di accentuare la portata delle notizie, facendo anche catastrofismo, secondo la regola che chi la spara più grossa attira più attenzione. Ma chi dà fiato alla bocca senza misurarne l’effetto è persona deprecabile e condannabile, perché dimentica il danno che può fare una falsa notizia propalata urbi et orbi.
Poi, ancor peggio, si è diffusa l’abitudine di fare i processi sulla stampa, scritta e digitale, nelle televisioni e nelle radio. Così accade che quando gli imputati vengono assolti, hanno subito già un processo mediatico e danni difficilmente riparabili.
Per fortuna, la legge Cartabia ha inserito nella riforma il diritto all’oblìo, cioé alla cancellazione dei processi quando si è assolti, e alla deindicizzazione, vale a dire la cancellazione da tutti i motori di ricerca e dai siti dei processi da cui è emersa l’innocenza dell’interessato.

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