I messaggi di Matteo Renzi acquisiti senza autorizzazione del Senato
È opinione generalmente condivisa che alla base dello Stato democratico sta il principio della divisione dei poteri. Unicuique suum: ciascun potere dello Stato, legislativo, giudiziario, esecutivo nell’esercitare le sue attribuzioni deve mantenersi nell’alveo tracciato dalla Costituzione. L’ordinamento costituzionale italiano appronta uno specifico rimedio contro gli straripamenti dei poteri: è il cosiddetto giudizio sui conflitti tra poteri che si svolge dinanzi alla Corte costituzionale ed è promosso su ricorso di un potere che ritenga lesa la sua sfera d’azione dall’intromissione di un altro potere o dal “cattivo uso” delle proprie attribuzioni da parte di quest’ultimo.
Nella sentenza n. 170 del 2023 la Corte costituzionale ha giudicato di un conflitto sollevato dal Senato nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze per avere estratto dai cellulari di due imputati e acquisito agli atti dell’indagine messaggi di posta elettronica e WhatsApp del senatore Matteo Renzi, senza la previa autorizzazione del Senato, e per aver acquisito presso un istituto bancario estratti del suo conto corrente. Il Senato denunciava pertanto la violazione dell’art. 68, 3° comma, Costituzione che per il “sequestro di corrispondenza” dei membri del Parlamento richiede l’autorizzazione dalla Camera di appartenenza.
Non vi è dubbio, sottolinea la Corte, che i messaggi di posta elettronica e i WhatsApp costituiscano una versione aggiornata della “corrispondenza” nell’accezione dei costituenti. Rifuggendo da una lettura “originalista” della Costituzione, i progressi della tecnologia non possono essere ignorati per definire concetti contenuti in un testo risalente al 1948.
C’è stato “sequestro” di corrispondenza? Secondo la Procura il messaggio una volta acquisito nella memoria del dispositivo elettronico del mittente/ricevente degraderebbe da “corrispondenza”, tutelata per la generalità dei cittadini dall’art. 15, 2° comma, Cost. e per i parlamentari dall’art. 68, 3° comma Cost., a semplice “documento” di interesse storico, scientifico, collezionistico la cui acquisizione potrà avvenire nel rispetto di altre libertà costituzionali (personale, di domicilio, di manifestazione del pensiero). Gli articoli succitati tutelerebbero quindi soltanto il momento “dinamico” della comunicazione, cioè lo iato intercorrente tra l’invio del messaggio e la sua ricezione e non quello “statico”, dopo l’avvenuta ricezione, anche se nelle comunicazioni elettroniche l’istantaneità invio/recezione è ormai la regola. Per il Senato invece la corrispondenza rimane tale con tutte le sue guarentigie anche dopo essere stata acquisita dal destinatario.
La Corte precisa che se l’autorizzazione di cui all’articolo 68 Cost., è volta a tutelare il libero espletamento della funzione parlamentare, da porre al riparo da condizionamenti, tali condizionamenti sussistono anche qualora fosse possibile accedere senza limitazioni alla corrispondenza conservata nella memoria dei dispositivi utilizzati dai parlamentari per comunicare: pertanto essa deve rimanere inviolabile fintantoché ne permanga l’attualità. L’autorizzazione delle Camere andava pertanto richiesta anche nel caso in esame data l’innegabile persistente attualità delle comunicazioni del senatore Renzi, pur dopo la loro acquisizione nelle memorie dei cellulari.
La Corte accoglie quindi il ricorso per quanto attiene l’utilizzo nelle indagini dei messaggi scambiati dal senatore Renzi. Lo respinge invece per la parte relativa agli estratti del suo conto corrente, trattandosi di documenti interni alle banche, non suscettibili di beneficiare della tutela riconosciuta alla corrispondenza.
Giovanni Cattarino, già Consigliere della Corte costituzionale e Capo Ufficio Stampa