Premio Forum sistema salute, 2° posto per la dott.ssa Maria Catalano
CATANIA – Premiato per la seconda volta il progetto di telemonitoraggio dei pazienti affetti da scompenso cardiaco dell’ambulatorio dedicato del Cannizzaro di Catania, che ha vinto il secondo posto per “I migliori progetti italiani per una sanità equa, efficace e diffusa sul territorio” alla kermesse nazionale “Forum Sistema Salute” tenutosi a Firenze lo scorso 19 e 20 ottobre. La responsabile Dottoressa Maria Catalano spiega in un’intervista esclusiva al Quotidiano di Sicilia gli straordinari risultati ottenuti da e con i pazienti, nonché l’impegno quotidiano e le difficoltà del suo team tutto al femminile.
Dottoressa Catalano, il premio di Firenze arriva dopo quello regionale, “Best In Sanitas”dello scorso anno. Si aspettava questo successo?
“Non pensavo di piazzarmi tra i finalisti, vista la partecipazione di ben 64 progetti alla gara e la presenza di Emilia Romagna e Toscana, che vantano forse il migliore sistema sanitario a livello nazionale. E invece, tra incredulità e gioia, io e il mio team composto da altre tre donne con conoscenze e competenze innovative di eccellenza – l’infermiera dottoressa Mariella Russo, nurse tutor che si dedicata anche all’educazione sanitaria dei pazienti, nonché le due tecniche sonographers dott.ssa Laura Salemi e dottoressa Marinella Paratore, impegnate anche nel telemonitoraggio h24 – siamo arrivate al secondo posto di questo importantissimo evento, tra l’altro quest’anno dedicato all’intelligenza artificiale, quindi all’innovazione. Per me tale premio ha il valore della fatica, dell’impegno rigoroso e della soddisfazione, perché noi lottiamo ogni giorno per fare tanto e bene, per dimostrare che anche al Sud un paziente in gravi condizioni possa ricevere le stesse cure che potrebbe ricevere nelle strutture d’eccellenza del Nord. Seppure al caro prezzo del nostro sacrificio, della nostra dedizione h24. A tal proposito ringrazio per la fiducia che il Commissario Straordinario Dottor Salvatore Giuffrida e il Direttore dell’Uoc di Cardiologica Dottor Francesco Amico dell’Aoec Cannizzaro accordano al team dell’ambulatorio scompenso cardiaco”.
Il progetto di telemonitoraggio è un progetto di telemedicina, di cui molti specialisti si interessano da decenni ma che ha acquisito maggiore importanza durante la pandemia. Quali sono effettivamente i vantaggi di questo approccio innovativo?
“Il telemonitoraggio esiste da dieci anni, ma per le gravi difficoltà di accesso alle cure, evidenziate in modo tragico dal Covid, si è riusciti a comprenderne appieno il valore. Il suo principale vantaggio risiede nella capacità di offrire un accesso equo all’eccellenza sanitaria. Infatti grazie alla telemedicina, tutti i pazienti possono usufruire dei migliori centri sanitari, a prescindere dal contesto in cui vivono, superando qualsiasi distanza. A tale approccio abbiamo aggiunto la consapevolezza che l’educazione del paziente all’automedicazione e all’autocontrollo sia fondamentale per la cura e per la salvaguardia della vita, esattamente quanto le pillole. È importante sottolineare come il telemonitoraggio sia vantaggioso tanto per i pazienti, quanto per lo Stato, perché consente di ridurre non solo la mortalità, ma anche l’ospedalizzazione, i frequenti ingorghi nei pronto soccorsi, i rischi conseguenti le dimissioni dei pazienti con patologie a carico dell’apparato cardiaco. I nostri risultati, così come quelli riportati della letteratura scientifica, ci confermano come la telemedicina riduca la mortalità dei pazienti del 30-35% e l’ospedalizzazione del 20-25%; dati davvero rilevanti se consideriamo che in Italia ci siano oltre un milione e 200 mila pazienti affetti da scompenso cardiaco che incidono di oltre l’1-2% sulla spesa sanitaria complessiva”.
Quanti pazienti avete in carico e come riuscite a monitorarli a distanza?
“Attualmente nell’ambulatorio scompenso cardiaco abbiamo in cura circa 900 pazienti. A seconda della gravità della patologia e delle caratteristiche della persona, applichiamo diverse forme di monitoraggio: telefonico, grazie a un software che individua il rischio cardiovascolare del soggetto; attraverso un kit elettromedicale costituito da un tablet per la trasmissione delle informazioni cliniche, una bilancia, un saturimetro, uno sfigmomanometro e un elettrocardiografo in grado di fornire un tracciato a 12 derivazioni. Il paziente, grazie ad un’adeguata formazione, è in grado di trasmettere tutti i parametri utili a comprendere se l’utente stia andando incontro a uno scompenso o meno. Poi chiaramente facciamo le visite in presenza, senza far attendere nessuno più di dieci minuti. Ma soprattutto conosciamo bene, una per una, le persone che si affidano a noi: con un approccio di tipo olistico, consideriamo il paziente nella sua complessità, certe che nessun aspetto possa essere considerato di seconda importanza; agiamo in maniera flessibile, intervenendo prontamente ai primi segnali sospetti, per prevenire la fase critica o per consentirne l’uscita nel tempo più breve possibile; utilizziamo le cure più innovative del settore e gli iter diagnostici maggiormente analitici, per scovare pure le cause di malattia del cuore più rare; stringiamo rapporti umani straordinari con chi ha bisogno di noi, di cui sappiamo persino il colorito quotidiano del viso; rispondiamo h24 per emergenze o per chiarire semplici dubbi; lavoriamo congiuntamente con nefrologo e diabetologo, gestendo insieme parte dei piani terapeutici; verifichiamo in tempo reale gli effetti delle terapie somministrate”.
Qual è il risultato ottenuto di cui va più fiera?
“La gratificazione più grande è senza alcun dubbio la gratitudine dei nostri pazienti. Ecco, le loro manifestazioni di gratitudine reggono il nostro sforzo. Perché si tratta di pazienti molto gravi che avevano perso la fiducia nella vita e nel nostro sistema sanitario e che adesso hanno nuovamente speranza. Il nostro ambulatorio dimostra con dati concreti che se sei competente e conosci davvero un paziente, sai esattamente la terapia da proporgli, che i pazienti che si sentono seguiti e pensati, che vengono educati all’autocura, rispondono in misura nettamente maggiore alle terapie. Nessun malato deve mai sentirsi abbandonato un solo istante”.
E il prossimo obiettivo?
“Da pochi mesi abbiamo adottato – su chiamata del Gemelli di Roma che ha selezionato solo pochi centri in Italia allo scopo – la piattaforma di intelligenza artificiale Azimuth, per seguire i pazienti in modo ancora più preciso e predittivo; a breve partiremo con un nuovo progetto di telemonitoraggio con un operatore di teleconsulti dedicato, per aiutare anche i non digitalizzati; collaboriamo con il centro trapianti Ismett di Palermo per aiutare coloro che sono in attesa di trapianto, così come con la scuola di specializzazione in Geriatria di UniCt, con il centro trasfusionale del Garibaldi Centro per la correzione della carenza marziale, con l’Advanced Heart Failure Unit del Policlinico; siamo accreditati dall’Aisc (Associazione Italiana Scompensati cardiaci) e dall’Amnco (Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri). Oggi il mio desiderio è solo quello di continuare a potenziare l’ambulatorio, di avere concesso il tempo e la possibilità di farlo. Desidererei tanto che il merito fosse riconosciuto nel suo giusto valore”.
Lei è una donna, una professionista stimatissima che lavora con un team di sole donne altamente specializzate, una mamma. Nel corso della sua carriera ha notato una differenza di trattamento rispetto ai colleghi uomini? È difficile riuscire a conciliare tutti i suoi ruoli?
“Purtroppo posso confermare che, anche quando hai studiato una vita intera con serietà, devi portare risultati almeno doppi rispetto ad un uomo per potercela fare. E anche quando ciò avviene, c’è sempre qualcuno intento a sminuire gli obiettivi da te raggiunti, solo perché donna. A tal proposito mi piace ricordare un aneddoto, che ha influito sulle mie scelte personali e professionali: quando frequentavo il liceo, vinsi il premio regionale Nicholas Green con un tema sulla donazione degli organi; a consegnarmelo è stato il Prof. Mauro Abbate, primo cardiochirurgo ad aver effettuato un trapianto di cuore al Sud. Quando parlò e mi abbracciò premiandomi, sentii come un’energia speciale nell’animo e decisi di iscrivermi in medicina per tentare il suo stesso percorso. Ma più proseguivo nel mio corso di laurea, più mi rendevo conto di come il mondo della chirurgia fosse ancora maschilista, ed è per questo che ho optato per la cardiologia e non per la cardiochirurgia.
Per offrire un servizio sanitario che guarda al futuro con gli strumenti più innovativi devi avere innanzitutto coraggio per lottare contro tutte le avversità, che si moltiplicano a dismisura se sei una donna e se sei addirittura nel Meridione. Ma non possiamo arrenderci: se si trasferiscono i medici migliori, chi resta a curare i Nostri Pazienti in caso di malattia? Se non siamo noi donne a dare un esempio di emancipazione alle nostre bambine, chi può farlo al posto nostro? Dunque resto qui, fiera di dimostrare a mia figlia che mai nessuno possa far sentire una donna inferiore, ma senza negare l’evidenza di una disparità di genere troppo lenta a morire. E lei capisce, conosce la responsabilità che la mamma ha nei confronti degli altri che hanno bisogno di lei e ne va orgogliosa”.