Premierato, pro e contro della riforma. “Italia verso una Capocrazia? Già c’è” - QdS

Premierato, pro e contro della riforma. “Italia verso una Capocrazia? Già c’è”

Premierato, pro e contro della riforma. “Italia verso una Capocrazia? Già c’è”

Roberto Greco  |
martedì 13 Febbraio 2024

Si infiamma il dibattito sul ddl Casellati che attribuisce più poteri al presidente del Consiglio. Al QdS intervengono il costituzionalista Ainis, il presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera e il responsabile del Pd per le riforme

Durante la scorsa campagna elettorale, quella riguardante le elezioni per la XIX° legislatura in Italia che si è svolta il 13 e il 14 ottobre 2022, il cavallo di battaglia delle riforme istituzionali proposto dai partiti del centro-destra, è stato il “presidenzialismo” o, in alternativa, il “presidenzialismo alla francese”.

Dopo l’insediamento, però, anche perché sia l’opposizione che parte della maggioranza si sono mostrate inamovibili nel mantenere intatte le funzioni chiave del presidente della Repubblica, come garante della coesione nazionale e della Costituzione, la proposta alternativa è stata quella del premierato, definito dalla premier Giorgia Meloni “la madre di tutte le riforme”.

Ma, quando utilizziamo il termine premier per rivolgerci al/alla Presidente del Consiglio, di fatto ne facciamo un uso improprio anche perché si tratta di una figura politica ben delineata, come ad esempio nel caso del Premier britannico, ossia il Primo Ministro inglese: una figura con poteri e funzioni diverse dal nostro Presidente del Consiglio e non prevista nel sistema istituzionale italiano. Per il medesimo motivo, non esiste una definizione chiara di premierato e, con questo termine, ci si riferisce in maniera generica a varie forme di governo basate sulla legittimazione popolare del primo ministro, cioè un premier con l’elezione diretta da parte degli aventi diritto al voto che saranno quindi chiamati a indicare non solo il voto per il partito, e indirettamente per la possibile compagine di Governo frutto degli accordi politici, ma anche per chi, quella coalizione la dovrà guidare.

L’intento primario dichiarato dal Governo è quello di dare alla cittadinanza la possibilità di votare direttamente il capo del governo, per creare un rapporto diretto con le persone e garantire stabilità. Ma il semplice termine premierato non è sufficiente a chiarire gli interrogativi che questa proposta pone. Primo tra tutti capire come cambierà il rapporto di potere tra il o la presidente del Consiglio e il Parlamento e quanto saranno modificati gli attuali poteri del Capo dello Stato, che si basano sulla logica di pesi e contrappesi. Esistono, soprattutto nel mondo occidentale, alcune esperienze analoghe a quanto è oggi in discussione in Commissione Affari costituzionali al Senato.

Il primo è il prototipo di premierato definito modello Westminister, quello del Regno Unito, nazione in cui, però, non c’è l’elezione diretta del capo del governo, ma esiste la consuetudine che il primo ministro sia sempre il leader del partito principale. In questo modo l’elettorato sa già che votando questo o quel partito si avrà questo o quel premier.

Ulteriore sorta di premierato, che però ha caratteristiche e un nome diverso, è il c.d. cancellierato della Germania. In questo caso specifico il capo del governo ha poteri più ampi rispetto a quelli del presidente del Consiglio in Italia, avendo la possibilità di nominare e revocare i ministri a suo piacimento, ma comunque dato sostanziale, non è eletto direttamente dai cittadini. Inoltre, in questo sistema esiste la cosiddetta sfiducia costruttiva, che permette al Parlamento di poter sfiduciare il governo solo se è già pronta la maggioranza per un altro esecutivo.

L’unico sistema di governo dove è esistita una forma di premierato con elezione diretta del primo ministro è stato quello adottato in Israele. In questa repubblica parlamentare, dal 1992 al 2001, il capo del governo è stato eletto direttamente dagli aventi diritto al voto, ma il modello è stato abolito nel 2002, perché non aveva garantito la stabilità che si sperava di ottenere.

La riforma del governo propone di attivare l’elezione diretta del presidente del Consiglio, contestualmente alle elezioni per le Camere e mediante una medesima scheda, andando quindi a esautorare il Presidente della Repubblica di uno dei suoi poteri, quello di nominare il primo ministro. Il testo attuale, il Ddl Casellati, è frutto di mesi di elaborazione e di mediazione tra i partiti di Governo, sembra finalmente pronto per accettare i possibili emendamenti, superare l’iter previsto e, approdare in Aula. Il Capo dello Stato avrebbe quindi solo il compito di conferire l’incarico al premier eletto, mentre manterrebbe il potere di nomina dei ministri, sempre su indicazione del capo del governo. Con l’approvazione della norma, inoltre, si eliminerebbe implicitamente la possibilità di nomina, da parte del Capo dello Stato, dei c.d. governi tecnici.

L’elezione diretta del premier sarebbe bilanciata dalla fiducia che questi deve chiedere al Parlamento per il suo governo, così da dare un peso ai partiti della coalizione nella trattativa per la formazione della squadra ministeriale. La bozza in discussione modifica inoltre l’articolo 88 della Costituzione, quello che disciplina lo scioglimento anticipato delle Camere. L’attuale formulazione afferma che il Capo dello Stato “non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura”, il c.d. semestre bianco. Nella nuova formulazione, la facoltà è invece accordata per evitare che un’eventuale richiesta del presidente del Consiglio di scioglimento sia stoppata dall’attuale normativa che vieta appunto al presidente della Repubblica, nell’ultimo semestre del suo mandato, di procedere ad una operazione di questo tipo.

Dopo una lunga discussione tra le forze politiche che compongono l’attuale compagine governativa, il testo sembra definito e prevede che il premier è eletto per cinque anni ma il suo orizzonte non può superare le due legislature consecutive, anche se è ammessa un’eventuale terza legislatura solo nel caso in cui la precedente si sia conclusa in anticipo. Spariranno inoltre i Senatori a vita e, con loro, la prerogativa del capo dello Stato che oggi li nomina. Quelli attualmente in carica concluderanno il loro mandato.

Sparisce la soglia, prevista nella prima stesura, che garantiva il 55% dei seggi in ciascuna Camera e, al suo posto, si indica un generico “premio su base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi”. Il premier può proporre non solo la nomina, ma anche la revoca dei ministri, che formalmente sarà fatta dal Quirinale. La fiducia che il Parlamento deve dare al governo va espressa alla squadra, non al presidente del Consiglio. Si controbilancia così il suo ruolo, lasciando ai partiti alleati un potere contrattuale nella formazione dell’esecutivo. Per evitare i c.d. ribaltoni, il premier eletto può passare il testimone al “premier di scorta” ma solo in casi eccezionali, come la morte, l’impedimento grave, le dimissioni e la decadenza, ridimensionando molto una novità fortemente voluta dalla Lega.

Chi subentra deve essere un parlamentare della stessa coalizione e comunque se non ottiene la fiducia, il suo percorso si interrompe. Il premier eletto invece, se sfiduciato, ha sette giorni per riprovarci, poi è costretto a dimettersi, oppure proporre lo scioglimento delle Camere. Prevista dal testo anche la possibilità data al premier, di sciogliere le camere non solo in caso di mozione motivata di sfiducia, ma anche quando mancano i numeri per votare la fiducia a un provvedimento.

Anche se alcuni giorni fa il governo ha presentato degli emendamenti al ddl Casellati che sembravano sigillare l’accordo raggiunto in maggioranza, la stessa Casellati ha parlato di possibili ulteriori modifiche a uno degli aspetti più discussi della riforma, cioè i poteri del premier in caso di sfiducia.
La maggioranza non è esattamente coesa su questo Ddl e l’ultima formulazione del testo, che lasciava al premier eletto anche il potere di decidere se andare al voto o meno in caso di sfiducia con mozione motivata o anche di dimissioni volontarie, non ha convinto tutti. Così come non ha convinto le opposizioni che hanno presentato oltre 1000 emendamenti. Una sola cosa è certa, che sulla “Carta” non si può scherzare.

Nazario Pagano (FI), presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera

“Una riforma che restituisce centralità al voto degli italiani”

Nazario Pagano (FI), presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera

Interviene al QdS Nazario Pagano di Foza Italia, presidente della “Commissione Affari costituzionali, Presidenza del consiglio e interni della Camera dei deputati”.

Onorevole, il suo partito ha, da sempre, caldeggiato una riforma costituzionale che orientasse il nostro sistema verso il presidenzialismo indicando la necessità di attuare l’elezione diretta del Capo dello Stato. Tramite il Ddl Casellati si è trasformata in una proposta di premierato. Possiamo ritenerla una marcia indietro oppure come la riforma più adatta al nostro paese?
“Da buon berlusconiano ho sempre pensato che il sistema attuale non desse stabilità al Governo e non garantisse la necessaria autorevolezza al Presidente del Consiglio sul palcoscenico internazionale. Questa riforma restituisce centralità al voto degli italiani e farà da argine anche al fenomeno dell’astensionismo. Nessuna marcia indietro, semplicemente è stato condotto un lavoro di sintesi tra le diverse sensibilità e che intende garantire tre obiettivi: assicurare maggiore stabilità agli esecutivi e, di riflesso, rafforzare l’autorevolezza del presidente del Consiglio, in Italia come all’estero. Tutto ciò rimettendo al centro i cittadini, valorizzando il loro voto, scongiurando l’astensionismo e riavvicinandoli alla politica”.

L’attuale proposta prevede il tetto di due mandati. È il segnale dell’allontanamento da un possibile sistema assolutistico?
“Di assolutistico in politica non c’è nulla e, con questa riforma, sarà proprio l’elettorato, a operare una scelta ben precisa. In ogni caso sarà il Parlamento a esaminare tutti gli emendamenti proposti e a cercare una sintesi tra le diverse sensibilità presenti, sul tema, sia all’interno della maggioranza che dell’opposizione”.

Il premio su base nazionale per garantire la maggioranza dei seggi non snatura, in realtà, il volere dell’elettorato?
“Al contrario, premia e rafforza la volontà espressa dai cittadini. Ma sul punto interverremo con la legge elettorale: noi vogliamo prevedere un sistema capace di garantire una coalizione forte, che sia in grado di governare senza continue fibrillazioni. Così ci lasceremo alle spalle le stagioni degli Esecutivi tecnici, dei continui cambi di maggioranza e dei giochi di potere per inaugurare una nuova fase politica e dare all’Italia, finalmente, un sistema democratico più forte, moderno e maturo”.

Qual è la motivazione politica che vi ha portato a decidere di eliminare dagli scranni parlamentari i senatori a vita?
“Abbiamo due ordini di problemi: la restrizione del numero dei parlamentari e, di riflesso, la necessità di ricondurre tutte le cariche alla legittimazione democratica. Senza nulla togliere al valore dei senatori a vita che oggi sono in carica, e alle personalità che hanno dato lustro al Senato, anche in passato, con numeri così risicati i senatori a vita possono risultare determinanti. Serviva un correttivo”.

La figura del premier di scorta potrebbe essere intesa come una garanzia per evitare di puntare sul cavallo sbagliato?
“Guardi, su questo punto si è fatta molta dietrologia ma in realtà l’intesa raggiunta è il frutto di un lavoro di sintesi: la cosiddetta norma anti-ribaltone è stata riarticolata in maniera tale da normare i casi di dimissioni del premier eletto con possibile scioglimento delle Camere ed evitare uno squilibrio di potere con l’eventuale premier subentrante. In sostanza si può nominare un secondo premier solo in casi eccezionali: morte o impedimento del premier. In quei casi il Presidente della Repubblica potrà nominare un nuovo presidente del Consiglio tra i parlamentari della stessa coalizione e comunque, se non ottiene la fiducia, il suo percorso si interrompe. Il premier eletto invece, se sfiduciato, ha una settimana per riprovarci, oppure per proporre lo scioglimento delle Camere. Solo qualora non dovesse farlo si potrebbe nominare un secondo premier. Ripeto, il nostro obiettivo è quello di evitare continui giochi di palazzo e ribaltoni”.

In realtà, anche se la premier ha garantito che la riforma non avrebbe toccato le competenze del Capo dello Stato, sicuramente ne limita le prerogative e parte del ruolo, penso soprattutto al fatto che la carica di Premier non sarà più assegnata dal Capo dello Stato, ma anche alla revoca dei ministri, che per il Quirinale diventerà un atto dovuto. Queste scelte potrebbero modificare sensibilmente il sistema di pesi e contrappesi?
“Anche su questo si è fatta un po’ di confusione parlando di un affievolimento dei poteri del Presidente della Repubblica, ma questo non risponde alla realtà dei fatti: già oggi il Presidente della Repubblica non ha poteri discrezionali in merito alla nomina del Presidente del Consiglio, e con la riforma conserva appieno la sua facoltà di nomina dei ministri su indicazione del premier. Di più, è previsto anche il potere di revoca, sempre su indicazione del premier”.

Sembra che questo Ddl non tenga conto dei fragili meccanismi dell’Aula, come ad esempio il fatto che, grazie al voto segreto, anche la migliore maggioranza può trovarsi all’improvviso vittima dei c.d. franchi tiratori. Ritiene che questo tema sarà toccato una volta approvato definitivamente il Ddl?
“Guardi, come ho avuto modo di dire in più occasioni la Costituzione si cambia solo con uno spirito riformatore comune, non in una logica di partito, o di più partiti. Ecco perché ho sempre auspicato, sin dal principio, che le regole del gioco potessero essere scritte insieme, anche con il contributo della minoranza. La riforma introduce il premierato come modello di governo scoraggiando i giochi di palazzo. Tuttavia è chiaro che, anche sul tema che lei cita, si potrà imbastire un ampio confronto parlamentare in I Commissione Affari Costituzionali alla Camera”.

Se, per un qualsiasi motivo, il Ddl non ricevesse il consenso necessario in Aula, quale saranno i vostri passi successivi visto che la premier Meloni lo ha indicato più volte come “la madre di tutte riforme”?
“Vorrei far presente che, questo ddl, non ha solo le sembianze politiche del centrodestra: è una riforma pensata e voluta per tutti italiani e proiettata verso il futuro. Peraltro i cittadini chiedono da tempo, e a gran voce, un’elezione diretta per riappropriarsi di quella facoltà di scelta che da troppo tempo era stata negata. Auspico dunque un pieno consenso da parte dell’Aula e non penso certo che la premier debba legare le sue sorti all’andamento di questa o di altre riforme”.

In chiusura, si può ipotizzare che questa sia la prima di una serie di riforme che intendete attuare? Ritenete che il passo successivo possa essere quello della riscrittura della legge elettorale?
“Sì, io sono convinto che vada aperta una discussione seria sulla legge elettorale che è assolutamente necessaria e andava approvata da tempo. Sul premio su base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi previsto nel testo ben venga una iniziativa di legge elettorale, magari parlamentare”.

Alessandro Alfieri, responsabile del Partito democratico per Riforme e Pnrr

“Così salta l’equilibrio dei poteri, meglio il cancellierato alla tedesca”

Alessandro Alfieri, responsabile del Partito democratico per Riforme e Pnrr

Interviene al QdS il senatore Alessandro Alfieri, membro della segreteria del Partito Democratico con le deleghe alle Riforme e al Pnrr.

Senatore, un vostro giudizio complessivo sul Ddl Casellati…
“Per noi è irricevibile. Avevamo avvertito la Presidente del Consiglio già sei mesi fa quando la incontrammo, trattandosi di un punto sul quale non avremmo mai potuto aprire un tavolo di discussione comune. Ci sarà un motivo per cui nessuna democrazia al mondo prevede l’elezione diretta del Presidente del Consiglio ed è perché fa saltare l’equilibrio dei poteri con un Presidente della Repubblica eletto con legittimazione dal Parlamento e il Presidente del Consiglio eletto con legittimazione popolare. Si vanno a tarpare e svilire i poteri del Capo dello Stato che è invece una figura fondamentale nel nostro ordinamento in quanto è una figura di arbitro, percepita super partes, garante non solo della Costituzione ma anche della coesione nazionale. Pensiamo a quanto è successo nel 2019 quando, nella formazione del Governo giallo-verde, un ministro della Repubblica gridò all’impeachment nei confronti di Mattarella perché aveva provato a esercitare il suo ruolo nei confronti di uno dei Ministri ritenendolo non idoneo al mandato. È evidente che dopo un’elezione popolare non potrà più esercitare i propri poteri sulla nomina dei Ministri. Gli è negata la possibilità di accompagnare e gestire le fasi di crisi mentre proprio questa flessibilità e resilienza della forma di governo parlamentare è stata decisiva nel periodo della gestione del Covid e nella crisi dei prezzi energetici”.

Durante l’incontro cui accennava quali sono state le vostre disponibilità?
“Quella di ragionare su interventi che rafforzassero la stabilità dell’esecutivo e l’efficacia dell’azione di governo e, al contempo, il ruolo del Parlamento, svilito dall’eccesso della decretazione d’urgenza. Negli emendamenti che presentiamo oggi facciamo riferimento al modello tedesco, il c.d. cancellierato, modello che non prevede automatismi e che meglio si può adattare all’assetto istituzionale italiano. La mancanza della figura di arbitro può causare derive non controllabili, ricordiamo quanto è successo negli Stati Uniti con l’assalto al Campidoglio o in Francia con le manifestazioni sulle pensioni che hanno bloccato il paese. In società sempre più polarizzate, l’intervento di una figura di arbitro è fondamentale. Lo scontro tra Trump e Biden ha portato a una delegittimazione dell’avversario senza nessuna figura che potesse mediare, fare sintesi per creare un terreno di valori e regole condivise. Quello che manca completamente in questa riforma è la salvaguardia del ruolo del Parlamento e, proprio nelle nostre proposte, c’è un limite alla decretazione d’urgenza sostituendola con il voto a data certa per i provvedimenti che il Governo ritiene importanti, una sorta di corsia preferenziale senza dover ricorrere ai decreti. Inseriamo inoltre lo ‘statuto delle opposizioni’ al fine di dare spazio anche alle proposte dell’opposizione, l’innalzamento dei quorum di garanzia affinché sulle figure come il Capo dello Stato e i presidenti di Camera e Senato o sulle revisioni costituzionali si possa raggiungere il massimo del consenso possibile. Un esecutivo rafforzato, ma con i necessari contrappesi per rafforzare il ruolo del Parlamento”.

Non si parla più di riforma elettorale che, vista la revisione del numero dei parlamentari, avrebbe bisogno di nuove regole…
“Se si cambia il sistema istituzionale diventa necessario avere leggi di tipo diverso. L’attuale legge elettorale non garantisce la certezza di avere una maggioranza di Governo, pensiamo a quanto successe quando la Lega, pur essendosi presentata con FI e FdI andò a governare, da sola, con il M5S. è pur vero che nel caso delle ultime elezioni ha portato a una maggioranza ampia ma non è detto che in altre occasioni si possa sortire un medesimo risultato. È inoltre una legge pasticciata, con Collegi uninominali finti, perché sono legati strettamente alle liste e, proprio per questo, tra liste bloccate e Collegi uninominali finti, si tratta di una legge che non valorizza il rapporto eletto-elettore”.

Qualora il Ddl Casellati non fosse approvato e quindi convertito in legge, la maggioranza ha invocato il ricorso al referendum…
“Il percorso è ancora lungo. Ci sono molte divisioni nel centro-destra, in mezzo ci sono le elezioni europee e diverse letture per cui è ancora presto per parlare di referendum. È evidente che il messaggio ‘decidi tu’ è molto suadente per i cittadini ma dobbiamo costruire una narrazione alternativa”.

Ossia?
“Spiegando che il ‘decidi tu’ dura solo pochi secondi poi per cinque anni c’è il ‘decido io’ con una delega in bianco e piena. Dobbiamo puntare su una narrazione alternativa intorno alla tutela sulla figura del Presidente della Repubblica, garante della coesione nazionale, una figura che ha permesso di tenere unito il Paese in questi anni. Con il rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio, anche con una legittimazione popolare forte, si mette a rischio il sistema di forma di governo parlamentare”.

Ha indicato alcune divisioni nel centro-destra. È per caso il sintomo di una maggiore attenzione alle prossime elezioni europee che non ai problemi del paese?
“C’è un baratto evidente tra l’autonomia differenziata voluta dalla Lega, che è un provvedimento che in realtà allarga il divario del Paese, e la bandierina sventolata da FdI, quella del premierato. Quello che noi abbiamo definito il ‘barattellum’, mette a rischio le istituzioni e questa situazione durerà fino alla chiusura del capitolo elezioni europee dopo di ché, a mio avviso, le differenze tra i vari partiti che compongono il Governo emergeranno tanto più quanto le opposizioni saranno in grado di mettere in campo una proposta alternativa e, mi sembra di capire, che proprio sul modello tedesco sia possibile trovare una sintesi all’interno dell’opposizione”.

Intervista a Michele Ainis, ordinario di diritto pubblico all’Università Roma Tre

“Il rischio è che il Parlamento diventi un luogo in cui si fischia o si applaude”

Interviene al QdS Michele Ainis, professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico nell’università di Roma Tre e scrittore, che ha partecipato a varie commissioni ministeriali di studio fra le quali, nel 2013, la Commissione per le riforme costituzionali istituita dall’allora Presidenza del Consiglio e che, dall’8 marzo 2016 al 3 marzo 2023, è stato Componente del Collegio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Professore, partirei citando la prima frase dell’introduzione di “Capocrazia. Se il presidenzialismo ci manderà all’inferno”, il suo ultimo libro, che suona come un monito “Se una Costituzione si può migliorare, significa che si può anche peggiorare”…
“È evidente che non è detto che qualunque riforma possa essere migliorativa perché l’equilibrio delle architetture costituzionali è molto fragile. Bisogna inoltre aggiungere che ogni Costituzione cammina sulle gambe degli uomini e se trova degli zoppi a portare la croce è evidente che cade tutto”.

Ancora una citazione tratta dal suo libro: “Le istituzioni, però, sono vasi comunicanti: il liquido immerso in un contenitore si riversa anche nell’altro. Sicché non è possibile alterare la fisionomia d’un organo senza produrre effetti negli altri organi che condividono le funzioni di governo”. Ritiene che il Ddl Casellati modifichi strutturalmente la logica dei pesi e contrappesi prevista dalla Costituzione?
“Ovviamente sì e, seppure con qualche ritardo la stessa maggioranza sta ammettendo che ‘dimagrisce’ il Presidente della Repubblica così come dimagrisce il Parlamento perché è un luogo di mediazione e, nel momento in cui, in nome della santificazione del voto elettorale si impedisce qualsiasi manovra parlamentare il rischio è che il Parlamento diventi un luogo in cui si fischia o si applaude ma non si riescono a stipulare i necessari compromessi”.

Perché eliminare i Senatori a Vita?
“Perché l’impalcatura ideologica che regge tutta la riforma è che l’unico potere legittimo è quello che deriva dal voto popolare. I Senatori a Vita sono nominati, non eletti e quindi si pongono in collisione con questa logica. Peraltro se la applichiamo, le sue estreme conseguenze mortifica e sconfessa i poteri di garanzia perché i giudici non sono eletti, non lo è il Presidente della Repubblica così come non lo sono i membri della Corte Costituzionale o le autorità indipendenti”.

La premier Meloni in diverse occasioni ha ribadito che la riforma non tocca i poteri del Capo dello Stato ma, da una lettura, appare chiaro che alcune sue prerogative spariscono. C’è il rischio che si vada verso una “capocrazia”?
“In realtà, al di fuori della Costituzione scritta, la ‘capocrazia’ esiste già in Italia e da parecchio tempo. Si tratta di un processo che ha la sua origine nella crisi dei partiti politici che diventano prima dei partiti personali e poi delle corti attorno a un principe. Una volta i partiti celebravano i congressi, che duravano giorni, e dal risultato della discussione c’era l’investitura di un leader che avrebbe dovuto incarnare la linea politica voluta dal congresso mentre, oggi, avviene tutto tramite un tweet solitario del leader. Il potere dei segretari di partito, peraltro, deriva da una serie di leggi elettorali che si sono susseguite che hanno espropriato gli elettori del poter di scegliere gli eletti che diviene appannaggio del leader stesso che li inserisce nei listini bloccati. Questo sistema ha anche condizionato i poteri locali”.

Rischiamo di dover affrontare una stagione scandita dai Dpcm?
“Sì anche se, in realtà, l’abbiamo già attraversata. La ‘capocrazia’ ha messo in crisi tutte le assemblee elettive, pensiamo al ruolo attuale del sindaco o del Governatore regionale. A livello centrale questo fenomeno è accaduto tramite i decreti legge. Il Governo, quindi il Consiglio dei Ministri, con i Dpcm ha assunto il potere legislativo che toccherebbe al Parlamento. È successo nel caso del Covid e, di recente, per il rifornimento di armi all’Ucraina. Questa riforma potrà dargli, però, una patente di legittimità formale”.

Perché, a suo giudizio, l’attuale Governo, ma in realtà anche quelli precedenti, non affronta il tema della legge elettorale?
“Perché non conviene a nessuno. Nessuno è disponibile a rinunciare al potere che si trova tra le mani. Ogni tanto i partiti, quando sono all’opposizione, lo dicono ma, appena vanno al Governo si guardano bene dal farlo”.

Una delle sue considerazioni riguardanti la sovranità popolare è relativa alla superiorità del presidenzialismo, perché consente al popolo d’esprimersi due volte, attraverso l’elezione sia del parlamento sia del capo dell’esecutivo, raddoppiando così l’esercizio della sovranità, e raddoppiando perciò il tasso di democrazia. Vale anche per il premierato?
“Intanto, per intenderci sui concetti, il premierato è una forma di presidenzialismo. Il premierato è un sistema presidenziale, se con questo intendiamo l’elezione diretta di chi governa. Tra le virtù di questo sistema, i suoi fautori rilevano che il popolo vota due volte, eleggendo Parlamento e Governo. I suoi detrattori, per contro, sostengono che indebolisce l’esercizio della sovranità popolare perché la frantuma, dimezzandolo. È una medaglia e, come tutte le medaglie ha un dritto e un rovescio”.

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