“A Palermo abbiamo strutturato una rete per aiutare le vittime a superare la paura” - QdS

“A Palermo abbiamo strutturato una rete per aiutare le vittime a superare la paura”

redazione

“A Palermo abbiamo strutturato una rete per aiutare le vittime a superare la paura”

Roberto Greco  |
martedì 19 Settembre 2023

Parla Gianluca Verdolino, comandante del Nucleo operativo della Compagnia di Piazza Verdi

PALERMO – Riguardo alla violenza di genere e ai femminicidi, interviene al QdS il tenente Gianluca Verdolino, comandante del Nucleo Operativo della Compagnia dei Carabinieri di Piazza Verdi di Palermo.

Comandante, partirei da un quadro della situazione attuale riguardante la violenza di genere…
“Dal punto di vista nazionale il dato riguardante i femminicidi ci racconta un aumento di circa l’8% rispetto all’anno precedente. Dai dati che riguardano, invece, la Sicilia emerge che quasi la maggior parte degli omicidi commessi riguardano le donne e che le violenze domestiche hanno come vittima principale le donne. La violenza di genere, ancora oggi, è un fenomeno tristemente attuale sia a livello nazionale sia regionale. Spesso questi reati sono consumati all’interno delle mura domestiche, in quello che dovrebbe essere, per definizione, un luogo sicuro. Proprio in quel luogo nascono violenze fisiche, psicologiche ma anche di tipo economico, perché spesso le vittime non riescono a rompere il circuito del silenzio e a denunciare perché si trovano nella situazione di totale dipendenza economica. Proprio perché questa problematica va affrontata ‘a tutto tondo’ è necessario non solo il coinvolgimento dei vari interlocutori istituzionali e, proprio per questo, abbiamo strutturato una rete che prevede incontri periodici di aggiornamento, di coordinamento sulle misure da adottare e sulle eventuali azioni da porre in essere che vede il coinvolgimento della magistratura, dell’Ordine degli Psicologi e dei centri antiviolenza presenti nel territorio, con l’obiettivo di fornire alle vittime di questi reati non solo la miglior tutela possibile ma per far sì che la vittima non si senta sola ma protetta. Nello specifico l’Arma può contare sulla capillarità di presenza sul territorio delle nostre stazioni e, spesso, proprio il Comandante di Stazione diventa un punto di riferimento iniziale delle vittime, un rapporto che permette loro instaurare un rapporto di fiducia mirato a superare il silenzio, la paura e la vergogna da parte di persone che vivono una situazione di estrema fragilità e vulnerabilità”.

Tra gli strumenti che avete a disposizione, da qualche anno, c’è il progetto “Scudo”. Riesce a essere funzionale ed efficace?
“Assolutamente sì, perché ci consente non solo l’analisi ma anche il monitoraggio degli interventi che sono effettuati e l’adeguamento dei successivi interventi operativi proprio sulla base dei risultati che “Scudo” ci può dare. Posso citarle, ad esempio, la possibilità di verificare lo storico degli interventi eseguiti allo stesso indirizzo, di verificare la c.d. recidiva e può permettere interventi diretti in modo veloce, anche in caso di mancata denuncia intervenendo d’ufficio ma, soprattutto, di poter agire con tempestività per interrompere un’eventuale catena di violenza domestica al fine di evitare di arrivare all’epilogo più tragico, ossia il femminicidio”.

Cosa ha fatto l’Arma, in questi anni, per formare in maniera specifica gli operatori che si occupano della violenza di genere?
“Oggi possiamo dire che tutti gli operatori dell’Arma possiedono competenze specifiche e che sono in grado di gestire il primo intervento. Da qualche anno è stata costituita una rete che prevede un responsabile per ogni Stazione, due o tre referenti per ogni Compagnia. Tutto questo personale partecipa a una sorta di formazione permanente, incontri periodi di aggiornamento in cui si parla di tutela, ossia di prevenzione e repressione, ma in cui si affrontano i temi di prevenzione culturale utili per limitare e, nel tempo vincere, questo fenomeno”.

A chi altro sono indirizzate le vostre attività?
“Organizziamo incontri specifici nelle scuole, perché riteniamo che, se l’intervento deve avere prospettive di crescita culturale e miglioramento nel lungo termine, deve essere indirizzato alle nuove generazioni. Contemporaneamente ci rivolgiamo direttamente a tutte quelle categorie di persone che vivono nei contesti e nei quartieri con dinamiche sociali più complesse, contesti in cui è necessaria una maggiore presenza delle istituzioni e un maggiore sensibilizzazione su fenomeni come quello della violenza di genere perché spesso riscontriamo mancanza informazione e adeguata consapevolezza di questo fenomeno e la consapevolezza è la strada che deve essere imboccata per ricercare il cambiamento. Spesso le vittime vivono una condizione di legame affettivo con il proprio ‘aguzzino’ e questo le porta a perdonare, a mantenere il silenzio su questi episodi. Non possiamo più permetterci che questa strada possa condurre all’abitudine al martirio”.

Spesso, occupandovi di violenza di genere, dovete togliervi la divisa e diventare uomini…
“Si tratta di un’esperienza molto intensa. Nel tempo ho visto marescialli dei Carabinieri e Comandanti di Stazione che sono riusciti a creare dei rapporti di sincera empatia, che sono riusciti a fornire supporto psicologico alle vittime che rasenta quello degli operatori specializzati. Si tratta di un’esperienza importante non solamente dal punto di vista professionale ma, e soprattutto, da quello umano, che è molto profondo e gratificante sul piano personale perché si ha la percezione di aver contribuito realmente ai bisogni di un individuo, di essere stato utile e protagonista del cambiamento di una persona”.

Poco fa siamo passati di fianco a una stanza che ho definito “sacra”, me ne vuole parlare?
“Si tratta di una stanza dedicata all’audizione protetta, una delle tante che abbiamo sul territorio come Arma. L’abbiamo fortemente voluta perché è fisicamente un luogo che riesce a garantire quei requisiti di riservatezza e protezione che sono indispensabili per le vittime di reati che possono turbare nel profondo la loro sensibilità e toccare la loro fragilità, perché in quel luogo si possono sentire a loro agio. Solo riuscendo a empatizzare con chi vive queste drammatiche esperienze, si riesce a essere efficaci con l’intervento e anche un luogo adatto è fondamentale”.

Avete notato, sulla base della vostra esperienza, che il personale femminile sia più adatto alla gestione dei casi riguardanti la violenza di genere?
“Le situazioni sono da affrontare caso per caso perché ognuna ha le sue specificità. Noi abbiamo sempre a disposizione sia personale femminile sia maschile e, in entrambi i casi, abbiamo notato che la capacità e la predisposizione vanno al di là del genere. Come le dicevo prima, conosco Comandanti Stazione che hanno ottenuto risultati sorprendenti pur essendo uomini”.

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