Alessandra Locatelli: "Una rivoluzione per cambiare la percezione della disabilità" - QdS

Alessandra Locatelli: “Una rivoluzione per cambiare la percezione della disabilità”

Valerio Barghini

Alessandra Locatelli: “Una rivoluzione per cambiare la percezione della disabilità”

venerdì 03 Marzo 2023

Forum con Alessandra Locatelli, ministro per le Disabilità

Intervistata dal direttore Carlo Alberto Tregua, il ministro per la Disabilità Alessandra Locatelli risponde alle domande del QdS.

Ministro Locatelli, il suo Dicastero è nato di recente, nel 2018…
“Sì, per volontà della Lega Nord e del segretario Matteo Salvini in particolare. Prima le competenze facevano capo ad altri Ministeri. Cinque anni fa si è deciso di creare un’istituzione ad hoc, il ministero per le Disabilità appunto, che fungesse da sintesi e che continuasse sì a collaborare con gli altri Dicasteri, ma rapportandosi con i territori e con il terzo settore. Il tutto con la finalità di portare a un livello apicale la voce delle persone fragili e dei loro familiari, coordinando le politiche di intervento”.

Lei si è insediata per la seconda volta (la precedente risale al Governo Conte I) lo scorso mese di ottobre 2022, con deleghe conferitele dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Quali sono i primi fronti sui quali si è mossa?
“Ho appena presentato le Linee programmatiche sia alla Camera che al Senato. Il primo grande obiettivo è quello di una Legge delega per le disabilità che si articola in cinque decreti attuativi, tre dei quali già in fase avanzata. Uno prevede l’istituzione del Garante nazionale per le persone con disabilità; un secondo, l’istituzione di un tavolo sui Leps, cioè i Livelli essenziali per le prestazioni sociali, contemplati anche dalla Costituzione ma a oggi quasi sempre trascurati. Questo è uno degli ambiti in cui la sinergia Stato-territorio si manifesta più palesemente: noi, a livello centrale, individuiamo i livelli base per una prestazione, poi saranno le Regioni a stabilire il percorso, comunque con il nostro ausilio, per metterli in pratica. Un percorso che, attenzione, non è oggetto di autonomia, perché le Politiche sociali già sono di competenza locale, ma che va a integrarsi. Il terzo decreto è sulla riqualificazione dei servizi pubblici per l’inclusione e l’accessibilità”.

Altri progetti?
“La Legge delega prevede altri due importantissimi decreti: quello sul cambiamento del metodo di accertamento della disabilità e quello sul progetto di vita individuale, che va a incidere sulla valutazione multidimensionale della disabilità. Si tratta di contesti fondamentali perché strettamente collegati con il Pnrr. In queste settimane si insedieranno i due tavoli che procederanno a scrivere gli altrettanti decreti attuativi. Si tratta di una rivoluzione: basti pensare a quella che per anni è stata la modalità di calcolo dell’invalidità, basata su tabelle e percentuali. Adesso si va nella direzione, e a chiedercelo, peraltro, è l’Europa, dell’Icf, la Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute. L’altro aspetto concerne il progetto di vita individuale, che deve riunire risorse sanitarie, sociali e socio-sanitarie e dare, di conseguenza, la possibilità alla persona, considerata nella sua unitarietà, di condividere i percorsi di scelta di ciò di cui ha bisogno. Andare a inquadrare la persona nel suo insieme e non fermarsi al concetto, rigido ed anacronistico e che non risponde più ad un percorso di inserimento sociale e inclusione, secondo cui ‘tu hai questa disabilità, quindi ti riconosco, in base alle tabelle questa percentuale ‘x’ di invalidità’, è una grande sfida”.

Lei ha sottolineato come una riorganizzazione normativa sia imprescindibile. Tuttavia, sovente, oggi le leggi sono scritte in maniera poco chiara e spesso incomprensibile. Una lacuna che, quando parliamo di sociale, può rivelarsi “pericolosa”. Che ne pensa?
“Per ventuno anni ho diretto una struttura per persone con disabilità mentale grave e gravissima. Poi sono entrata in politica, prima come vice sindaco e assessore. Poi, ancora, sono stata eletta in Parlamento e, ora, nominata ministro, con un intermezzo in Regione Lombardia in qualità, anche lì, di assessore con delega alla Famiglia, alla Solidarietà sociale, alle Disabilità e alle Pari opportunità. In tutti questi contesti ho sempre considerato come elemento fondamentale un linguaggio chiaro a tutti, oltre che attualizzato. Per fare un esempio: io non amo l’espressione in voga nelle vecchie norme ‘portatore di handicap’ perché, semplicemente, non siamo più in quell’epoca. Poi mi piace che ci siano espressioni adeguate a ogni situazione e a ogni tema che trattiamo: il mondo del sociale è molto delicato e basta una parola sbagliata per distorcere il senso di un concetto. Altro punto importante, poi, quello della semplificazione: sui territori c’è ancora troppa burocrazia, complessità e disinformazione che impediscono un libero accesso ai servizi da parte del cittadino che ne necessita. Nel sociale e nella disabilità in particolare, c’è solo un sostantivo che dobbiamo abituarci a usare senza paura: Persona”.

Caregiver e “Dopo di noi” è necessario fare chiarezza

Altri temi importanti collegati al mondo della disabilità sono quelli dei caregiver e del “Dopo di noi”…
“Due materie per le quali a breve si insedieranno altrettanti tavoli di lavoro. Quello dei caregiver è un argomento che a me sta molto a cuore, in particolar modo per quello che concerne i familiari conviventi, persone che non chiedono di essere sostituite, ma accompagnate dignitosamente in un percorso che come Stato e Governo abbiamo il dovere di riconoscere in quanto supporto fondamentale di cura e assistenza. I caregiver, insomma, svolgono un lavoro preziosissimo. L’altro punto è il ‘Dopo di noi’, strettamente collegato al progetto di vita individuale e che solo da pochi anni, con la legge 112 del 2016, ha trovato concretezza normativa. Un testo che nel 2018 ha subito un piccolo ritocco ma che oggi ha bisogno di essere ulteriormente rivisto, affinché possa trovare applicazione effettiva sui territori e aderiscano più persone. Una legge molto importante e strategica, su cui la Corte dei Conti di recente ha mosso alcuni rilievi sul ritardo delle Regioni circa l’attuazione dei provvedimenti. Tuttavia, pur rispettando quanto sollevato dalla magistratura contabile, non stiamo parlando di una semplice misura che mette a disposizione risorse, bensì di un vero e proprio percorso di vita. Un quadro normativo che, dunque, a mio avviso, va implementato e potenziato, modificando prima di tutto le maglie dei requisiti di accesso. Subito dopo avere dato attuazione alla Legge delega, quindi fine 2024-inizio 2025, vorrei iniziare a lavorare a un Testo unico sulla disabilità, al fine di mettere ordine e ricomporre le norme e, di conseguenza, anche i fondi. Che vanno riorganizzati e che messi assieme creano valore aggiunto”.

Il ruolo di terzo settore e associazioni e la sinergia con le realtà istituzionali

Il terzo settore e le associazioni assistenziali costituiscono una ricchezza per il nostro Paese. Quali sono i rapporti con queste realtà che, spesso, si sostituiscono allo Stato e agli Enti territoriali?
“Io non penso che suppliscano. Associazioni ed enti del terzo settore lavorano molto bene sul territorio e arrivano a dare risposte in modo capillare alle necessità dei cittadini. Il terzo settore è molto ben normato dalla legge 328/2000 e dal successivo Decreto legislativo 117 del 2017, entrambi inequivocabilmente improntati a due parole chiave: coprogrammazione e coprogettazione. Per fare un esempio, le Regioni hanno come strumento i cosiddetti Piani di zona per i servizi sociali, utili per fornire le linee guida per una collaborazione con le associazioni. Io, durante il mio mandato, mi sono posta l’obiettivo di dare l’esempio, quale massimo livello istituzionale, attraverso un’interlocuzione continua con i referenti delle due principali realtà, Fish (Federazione italiana per il superamento dell’handicap) e Fand (Federazione tra le associazioni nazionali dei disabili), ma non solo. Considero costruttivo confrontarmi con chi opera nel terzo settore, anche visitando di persona i territori, innanzitutto per conoscere meglio queste realtà, ma anche per capire come interagire insieme in modo più proficuo. Un atteggiamento che, per esempio, ha fatto sì che nella scorsa Legge di bilancio sia riuscita a istituire un fondo grazie al quale è favorita, nei Comuni sopra i trecentomila abitanti, la collaborazione in rete tra istituzioni, in questo caso appunto comunali, enti del terzo settore e associazioni, per sviluppare dei percorsi virtuosi in quei contesti difficili, soprattutto periferici, nei quali si trovano ad operare. Un lavoro in rete e in sinergia che permetterà di raggiungere un risultato finale positivo moltiplicato”.

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