Anno giudiziario Catania, Pennisi fa il punto

Anno giudiziario a Catania, Pennisi fa il punto tra risultati, criticità e prospettive future

Anno giudiziario a Catania, Pennisi fa il punto tra risultati, criticità e prospettive future

Simone Olivelli  |
sabato 27 Gennaio 2024

La valutazione del presidente della Corte d'appello etnea: "Risultati importanti senza dimenticare che sono stati ottenuti con risorse umane e materiali ridotte"

Se è vero che tocca fare il pane con la farina che si ha, la gestione della giustizia nel distretto della Corte d’appello di Catania negli ultimi dodici mesi si è senz’altro distinta in positivo. È questa in stretta sintesi, e con una metafora lontana dai canoni dell’ufficialità che ha caratterizzato il cerimoniale, la valutazione fatta dal presidente Filippo Pennisi in occasione dell’inaugurazione del nuovo anno giudiziario.

A presenziare all’evento sono state come da tradizione le principali autorità del territorio, con una prima fila occupata, tra gli altri, dal sindaco del capoluogo Enzo Trantino, dal vicepresidente della Regione Luca Sammartino, che attualmente è interessato dalle attività del palazzo di giustizia anche nelle vesti di imputato per corruzione elettorale, dalla prefetta Maria Carmela Librizzi, dal rettore dell’Università Francesco Priolo e dall’arcivescovo Luigi Renna.

Careneze di organico e poche strutture

Nella propria relazione, lunga 176 pagine, Pennisi ripercorre quanto fatto da luglio 2022 a giugno 2023 nelle province di Catania, Siracusa e Ragusa. Una panoramica in cui inevitabilmente si intrecciano i risultati raggiunti, il contesto nazionale in cui si muove la giustizia – negli ultimi tempi oggetto di profondi interventi normativi con altri restano all’orizzonte – e i punti deboli che ci si trascina da anni. “I buoni risultati (addirittura ottimi, in alcuni settori) conseguiti nell’anno giudiziario da tutti gli uffici del distretto – si legge nelle conclusioni della relazione – non possono fare dimenticare (o, peggio, indurre a sottacere) che essi sono stati ottenuti con risorse umane e materiali ridotte, in contesti logistici e tecnologiciche spesso precari”.

Un problema ignorato

I riferimenti non sono sottintesi: da un lato un organico carente del 12 per cento di magistrati e del 20 per cento di figure amministrative, dall’altro la mancanza di adeguati spazi che in buona parte dovrebbe essere colmata dalla nuova cittadella giudiziaria di viale Africa, la cui ultimazione però è slittata a non prima del 2025. “Di fronte alle ripetute denunzie di inadeguatezza delle risorse ordinarie e delle infrastrutture disponibili si continua semplicemente a ignorare il problema – ha scritto Pennisi – ovvero a liquidarlo sbrigativamente rifugiandosi nell’invocazione di comodo per una riforma della giustizia dai contorni indefiniti, e perciò buona per ogni stagione”.

Dati positivi dai tribunali meno sul fronte penale

Per il resto i numeri rilasciano una fotografia che, quantomeno dal punto di vista quantitativo, non è male: nel settore civile in Corte d’appello la durata media dei processi contenziosi, già al di sotto della soglia dei due anni chiesta dall’Ue, è ulteriormente diminuita passando da 658 a 539 giorni; mentre sul fronte dei tribunali si è registrata una diminuzione delle pendenze con una durata media dei contenziosi che si aggira tra i tre e i quattro anni.

Meno positivi invece i dati sul fronte penale: “Una serie di fattori, non recenti e non esclusivamente riconducibili al recente fenomeno pandemico – si legge nel documento – ha purtroppo inciso, presso la Corte d’appello, sul relativo andamento che, nell’ultimo decennio, ha fatto registrare un progressivo aumento delle pendenze. Tale tendenza negativa sembrava essere arrestata nel precedente anno giudiziario, ma un recente anomalo aumento della sopravvenienza di affari, verosimilmente dovuta all’accresciuta attività degli uffici di primo grado ha nuovamente riportato in negativo il dato della pendenza finale”.

I tempi della giustizia

La relazione di Pennisi si sofferma anche sui riflessi che le nuove norme penali possono avere sulla giustizia in un territorio come quello siciliano. A partire dall’ampliamento del ventaglio di reati perseguibili soltanto su querela da parte della persona offesa. Si pensi al furto aggravato dall’esposizione alla pubblica fede che dalle nostre parti è spesso l’anticamera dei cavalli di ritorno. “Le conclamate finalità di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo vengono talora perseguite a scapito delle esigenze di sicurezza pubblica”, scrive Pennisi, aggiungendo come le vittime spesso possano essere esposte al “rischio di possibili pressioni intimidatorie provenienti dai contesti malavitosi”.

La capacità rigenerativa dei clan

Sul fronte del contrasto alle mafie, nella relazione si sottolinea la preoccupazione nei confronti dell’interesse che la criminalità organizzata mostra “per le risorse stanziate per il rilancio del Paese, come pure per le specifiche garanzie pubbliche accordate in favore degli istituti di credito per i finanziamento concessi alle imprese da destinarsi a investimenti o costi per il personale”. Il dato che si conferma è quello riguardante la capacità di rigenerazione che sia le famiglie legale a Cosa nostra – Santapaola-Ercolano e Mazzei – che gli altri clan, a partire dall’attivismo di Cappello, Cursoti Milanesi e dalla riorganizzazione dei Laudani, dimostrano. “Seppur decimati da recenti e reiterati provvedimenti restrittivi, i sodalizi mafiosi mantengono, nel medio periodo, una composizione numerica pressoché inalterata in seguito al continuo ingresso di nuova manovalanza criminale, proveniente dalle sacche di emarginazione e sottosviluppo”.

Minori nel mirino

Un problema, questo, che richiama anche il fenomeno della devianza minorile: “Il distretto della Corte d’appello di Catania si segnala come uno dei territori più esposti – rimarca Pennisi – Gli altissimi tassi di devianza minorile vanno letti anche in correlazione agli allarmanti dati dell’abbandono scolastico. Nella città metropolitana di Catania, si attesta intorno a una percentuale del 25,2 per cento. Tale dato, unitamente ai correlati numeri della devianza giovanile, pone la città a livelli di primato nazionale, addirittura prima tra le quattordici città metropolitane”.

Protocollo “Liberi di scegliere”

Ricordato, tra i rimedi utili a emarginare questa emorragia di futuro per le nuove generazioni, il protocollo Liberi di scegliere, già al centro di un disegno di legge regionale e sperimentato con risultati apprezzabili. Prevede forme di tutela per i minori destinatari di provvedimenti giudiziari e delle loro madri che decidono di lasciare la Sicilia per sfuggire ai contesti malavitosi in cui i ragazzi crescono. “Nel periodo in esame – si legge nel documento – quattro donne appartenenti a organizzazioni criminali di vertice hanno scelto di essere aiutate ad andare via dalla Sicilia con i figli minorenni, allo scopo di sottrarli ad un destino ineluttabile”.

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Corruzione e piani alti

Infine il capitolo dei reati contro la pubblica amministrazione, la fattispecie in cui spesso si incrociano mondi diversi: la criminalità, sempre più interessati al settore degli appalti, la politica, l’imprenditoria e gli apparati burocratici. Dedicate, nella relazione al tema, un paio di pagine, con riferimenti alle inchieste che maggiormente hanno scosso il territorio: dai condizionamenti nelle fasi concorsuali per l’assunzione di personali nel settore sanitario agli ultimi scandali che hanno interessato l’ateneo, fino al presunto giro di corruzione nella società Interporti Siciliani. “Di particolare efficacia si sono rivelate quale principale strumento di ricerca della prova, le intercettazioni tra presenti effettuate mediante captatore informatico”, sottolinea Pennisi. Intercettazioni su cui parte della politica vorrebbe mettere un freno, specialmente proprio per quanto riguarda il loro utilizzo nelle indagini sui reati contro la pubblica amministrazione.

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