Anziani, il 60% ha almeno una malattia cronica ma gran parte non segue correttamente le terapie - QdS

Anziani, il 60% ha almeno una malattia cronica ma gran parte non segue correttamente le terapie

redazione

Anziani, il 60% ha almeno una malattia cronica ma gran parte non segue correttamente le terapie

mercoledì 22 Aprile 2020

La mancata adesione alle cure aumenta la mortalità, le ricadute e le ospedalizzazioni in una fase critica per la nostra sanità

in collaborazione con ITALPRESS

ROMA – Otto milioni e 437 mila anziani nel nostro Paese, il 60,7% degli over 65, sono colpiti da almeno una malattia cronica. E il 25% da due o più patologie di questo tipo. Le più frequenti sono le cardiopatie (27%), le malattie respiratorie croniche (21%), il diabete (20%) e i tumori (13%).

Vi sono farmaci efficaci per tenerle sotto controllo, ma la scarsa aderenza alle terapie è un problema molto frequente fra gli anziani. Infatti, ben il 70% non segue i trattamenti in modo corretto o li abbandona dopo breve tempo. La mancata adesione alle terapie aumenta i tassi di mortalità, le ricadute e le ospedalizzazioni, proprio in una fase critica per il sistema sanitario, che deve far fronte all’emergenza causata dal Covid-19.

“In un report dell’Organizzazione mondiale della sanità, la stima dell’aderenza alle cure, nei pazienti che soffrono di malattie croniche, risulta solo del 50% – spiega Pierpaolo Sileri, viceministro della Salute -. Il problema riguarda in particolare gli anziani, che sono persone attive, piene di vita e rappresentano la memoria del nostro Paese, oltre ad essere un importante riferimento per il welfare familiare degli italiani. L’emergenza Coronavirus ha evidenziato e spinto ad un’implementazione della sanità digitale, per assicurare la continuità assistenziale e gestire la cronicità. Grazie alla sanità digitale i medici clinici possono essere più vicini agli anziani, come a tutti gli altri pazienti, garantendo prestazioni a domicilio attraverso servizi di televisita, teleassistenza e telemonitoraggio. Strumenti a cui tutti i pazienti devono essere introdotti al meglio e al più presto, perché favoriscono l’aderenza alle terapie e garantiscono una vita più lunga e più sana”.

“Quasi 24 milioni di italiani, il 40% della popolazione, sono colpiti da almeno una malattia cronica (ipertensione, diabete, tumori, osteoporosi, insufficienza renale, malattie reumatologiche, cardiovascolari ecc…) – afferma Antonio Magi, segretario generale del Sindacato unico medicina ambulatoriale italiana e professionalità dell’area sanitaria -. Queste patologie assorbono circa l’80% dei costi sanitari complessivi, con uscite pari a 66,7 miliardi di euro ogni anno. La mancata adesione ai trattamenti può comportare conseguenze molto gravi per il paziente e per il sistema sanitario, ad esempio un elevato tasso di ricadute e di ospedalizzazioni che, oltre a determinare ripercussioni negative sull’evoluzione della malattia, rappresentano un peso non indifferente per la famiglia e per la società. Per molte patologie croniche, la mancata adesione si traduce inoltre in un aumento della morbilità e mortalità. Dati relativi alla gestione delle malattie cardiovascolari, ad esempio, evidenziano un aumento della mortalità nei pazienti non aderenti. E il contagio con il coronavirus potrebbe incidere su una condizione di salute già complessa e compromessa”.

In Italia, si riscontra una bassa aderenza nel 32,9% delle persone che assumono antiipertensivi, nel 41,6% per le terapie ipoglicemizzanti contro il diabete, nel 40,1% per le cure antidepressive, nel 14,1% per le cure contro l’osteoporosi e nel 24,6% per i trattamenti per l’ipertrofia prostatica benigna.

“Molti pazienti temono che i farmaci che assumono per la cura della patologia cronica li espongano a un maggior rischio di contrarre il Covid-19, ma non vi è, a oggi, alcuna evidenza scientifica in questo senso e dobbiamo rassicurarli”, evidenzia Pier Luigi Bartoletti, vice segretario nazionale Fimmg (Federazione italiana medici di famiglia).

“È essenziale sensibilizzare i cittadini sull’importanza di continuare a seguire le terapie, soprattutto in questa fase di emergenza – spiega Guido Grassi, presidente della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa -. L’ipertensione non rappresenta un fattore predisponente all’infezione da coronavirus. In Italia, sono 18 milioni le persone ipertese: non devono modificare o abbandonare la terapia antiipertensiva, che si è dimostrata nel corso del tempo in grado di proteggere le persone dal rischio di gravi complicanze cardiovascolari, quali l’infarto miocardico, lo scompenso cardiaco, la morte improvvisa e l’insufficienza renale. Società scientifiche nazionali, europee e internazionali, oltre all’Aifa, hanno raccomandato di non modificare la terapia in atto con antiipertensivi nei pazienti ipertesi ben controllati, perché esporre persone fragili a potenziali nuovi effetti collaterali o a un aumento di rischio di eventi avversi cardiovascolari non appare giustificato”.

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