Asili nido, in Sicilia servizi all’anno zero - QdS

Asili nido, in Sicilia servizi all’anno zero

Michele Giuliano

Asili nido, in Sicilia servizi all’anno zero

venerdì 11 Novembre 2022

Il report dell’Istat, in collaborazione con Ragioneria generale dello Stato, Mef e Regioni. Nell’Isola appena l’11,6% dei bambini sotto i tre anni riesce a trovare un posto

PALERMO – In Sicilia gli asili nido sono pochi, pochissimi. Un aiuto alle famiglie ormai fondamentale, necessario per uomini e donne che lavorano e devono occuparsi della propria famiglia, che sul territorio isolano è praticamente inesistente. Un vuoto che in qualche modo, comunque insufficiente, viene colmato dal settore privato, a forte discapito delle tasche di tanti che non riescono ad avere accesso alle strutture pubbliche.

In Sicilia situazione asili nido desolante

Il report dell’Istat, realizzato in collaborazione con la ragioneria generale dello Stato, il ministero dell’Economia e delle finanze e la partecipazione della maggior parte delle Regioni, mostra come la condizione siciliana sia veramente desolante: il servizio è garantito per appena l’11,6% dei bambini sotto i tre anni, contro una media, per i capoluoghi di provincia, del 34,3%, con punte, in Umbria, che arrivano al 44%.
Della disponibilità, sul territorio regionale poco più del 50% è offerto da strutture pubbliche mentre il resto è delegato al privato. Tali numeri pongono la Sicilia all’ottavo posto tra le regioni, in una classifica che vede come fanalino di coda la Calabria, il Veneto e la Sardegna.

La mancanza di posti disponibili si allinea alla quota di spesa comunale pro capite, che in Sicilia si rileva essere molto bassa, rispetto a regioni in cui la copertura è molto più ampia. L’Isola si trova in fondo alla classifica, con una spesa pro capite di circa 500 euro; peggio soltanto il Molise, la Campania, la Basilicata e la Calabria. Una netta differenza rispetto alla provincia autonoma di Trento che segna, invece, una spesa pro capite di oltre 2.500 euro.

Non investire sugli asili nido ha risvolti sociali non indifferenti

La scelta di non investire negli asili nido non è semplicemente economica ma ha grandissimi risvolti sociali: favorire la frequenza del nido da parte di bambini provenienti da famiglie a basso reddito può spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale e incidere positivamente sulla partecipazione al mondo del lavoro, riducendo anche il divario di genere. In Italia resta ancora molta strada da fare per garantire un’equa accessibilità dei servizi dal punto di vista socio-economico: i tassi di frequenza del nido crescono all’aumentare della fascia di reddito delle famiglie e sono decisamente più alti se la madre lavora e se i genitori hanno un titolo di studio elevato.

In una prospettiva nazionale, dal punto di vista della disponibilità dei servizi sul territorio, permangono ampissimi divari a sfavore delle famiglie residenti nel Mezzogiorno e nei comuni più piccoli: il nord-est e il centro Italia, alla fine del 2020, consolidano la copertura dei posti disponibili rispetto ai bambini sotto i tre anni sopra il target europeo del 33% (rispettivamente 35% e 36,1%); il Nord-Ovest è sotto l’obiettivo ma non è distante (30,8%), mentre le isole (15,9%) e il sud (15,2%), che pur registrano un lieve miglioramento, sono ancora lontani dal target.

Guardando i dati regionali, i livelli di copertura più alti si registrano in Umbria (44%), seguita da Emilia Romagna (40,7%) e Valle d’Aosta (40,6%), Toscana (37,6%) e Provincia Autonoma di Trento (37,9%). Anche il Lazio e il Friuli-Venezia Giulia dal 2019 hanno superato la soglia del 33% (rispettivamente 35,3% e 34,8%), in coda Campania e Calabria, ancora sotto il 12%. I capoluoghi di provincia hanno in media il 34,3% di copertura, ma con ampie distanze: quelli umbri al 47% e quelli siciliani all’11,6%.

Sono ben 65 le città capoluogo con valori maggiori o uguali al 33%, mentre le rimanenti 44 restano sotto il target. I Comuni non capoluogo si attestano in media a 24,2 posti per 100 residenti sotto i tre anni (23,9% nel 2019).

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