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Carceri che scoppiano: così la rieducazione è impossibile

redazione

Carceri che scoppiano: così la rieducazione è impossibile

Gabriele D'Amico  |
sabato 22 Aprile 2023

Oltre 5 mila detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare degli istituti, l’Italia tra i peggiori in Ue. Alessio Scandurra (Antigone): "Entro il 2005 bisognava adattare tutte le strutture"

“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

È l’articolo 27 della Costituzione, un articolo che purtroppo spesso è scollato da una realtà fatta di violenze, sovraffollamento, suicidi, mancanza di servizi e diritti. “Parliamo degli ultimi degli ultimi”, dice Alessio Scandurra, responsabile dell’osservatorio sulle condizioni di detenzione dell’associazione Antigone, che ogni anno visita gli istituti italiani per verificarne le condizioni. “In questo periodo – spiega – riscontriamo l’aumento del numero di persone con forme di disagio psichico. Persone incompatibili con il carcere che non ha risposte terapeutiche adeguate. Inoltre, il regime di telefonate in più che era diventato normale con la pandemia, piano piano si sta restringendo”.

Edilizia penitenziaria

Dall’ultimo rapporto di Antigone, effettuato in seguito alle visite in 96 istituti penitenziari nel 2021, risulta che tanti detenuti sono costretti a stare in celle non regolamentari. Nel 25% delle carceri non sono garantiti nemmeno tre metri quadri a persona, nel 20% non funziona il riscaldamento, nel 56% non è presente la doccia in cella e, addirittura, nel 5% dei casi il gabinetto non è separato rispetto al resto della cella. “Negli anni – spiega Scandurra – lo stato di salute dell’edilizia carceraria sta migliorando, però c’è ancora tanto da fare. Per legge entro il 2005 bisognava adattare tutti gli istituti alla normativa ma siamo ancora a metà del guado. Nel sud Italia ci sono tante carceri nate senza riscaldamento che ancora non sono state adeguate. Nel nord Italia il riscaldamento c’è ma all’ultimo piano non arriva l’acqua calda nei termosifoni. Questa situazione non è ovunque, chiaramente, ma in ogni caso, in carcere tutti indossano il giubbotto. È la normalità, perché anche se c’è, il riscaldamento è per sfigati: i servizi sono tarati su quell’utenza”. I problemi non sono solo in cella, ma anche negli spazi comuni. In più di un terzo degli istituti i detenuti non hanno accesso settimanalmente alla palestra o al campo sportivo. Generalmente perché sono inagibili o non ci sono. Mancano spazi per le lavorazioni nel 32% degli istituti visitati da Antigone, percentuale che sale al 45% negli istituti più vecchi, e nel 17% ci sono sezioni che non hanno spazi per la socialità. “Chi può – si legge nel rapporto – esce dalla sezione per andare a svolgere qualche attività, mentre gli altri passeggiano nel corridoio o passano in cella tutta la giornata”.

Violenza e suicidi

A fine marzo, l’organo anti-tortura del Consiglio d’Europa, il Cpt, ha pubblicato il rapporto di una visita condotta in Italia durante il 2022 in cui sono state supervisionate le carceri di Monza, di San Vittore a Milano, al Lorusso e Cutugno di Torino e al Regina Coeli di Roma. Spulciando il documento saltano fuori violenze e intimidazioni tra i detenuti, maltrattamento da parte degli agenti di polizia, regimi carcerari da abolire e sovraffollamento. Una relazione che fa riaffiorare alla mente le immagini di Santa Maria Capua Vetere, per cui c’è ancora un processo in corso, che sono tuttavia l’estrema ratio di un sistema in cui la violenza e l’uso della forza è all’ordine del giorno. E lo dimostra anche la recente inchiesta condotta dalle autorità giudiziarie sull’istituto penitenziario di Biella: 23 agenti sospesi per il reato di “tortura di Stato” commesso ai danni di tre detenuti. Li picchiavano, sostiene la Procura sulla base delle testimonianze raccolte, e li immobilizzavano col nastro adesivo.

Oggi esiste il reato di tortura – dice Scandurra – e quindi si va a processo per cose che negli anni abbiamo raccontato e denunciato e mai visto nero su bianco nelle sentenze. Però non è una norma che cambia la realtà: è un processo che passa dalla formazione degli operatori. L’operatore di polizia deve avere chiaro cosa deve fare e cosa no, non vanno lasciate zone grigie. Purtroppo, Fratelli d’Italia continua a presentare un disegno di legge per l’abolizione del reato di tortura”. L’altra forma di violenza, su cui il Cpt non ha posto l’accento ma che rappresenta un’emergenza nell’emergenza, è quella dei suicidi in carcere. L’anno scorso sono stati 85 in 53 settimane. Quest’anno ne sono stati contati già 18. “Da tanto tempo – continua – il carcere è un luogo anomalo per il numero di suicidi. A mio parere la pandemia ha fatto male a tutti da un punto di vista della salute mentale. Se questa stessa situazione però si proietta su una comunità fragile e pluriproblematica ha sicuramente un effetto esplosivo. Il sospetto è che per i fragili e i deboli sono stati anni orribili e probabilmente non sono ancora finiti”.

Sovraffollamento

Una forma di tortura sui detenuti fa da sfondo all’intero sistema penitenziario: il sovraffollamento. Per legge, ad ogni detenuto devono essere garantiti tre metri quadrati di spazio. Pochi metri quadri che a volte non riescono ad assere garantiti per l’eccesivo numero di presenze nelle carceri. Attualmente, secondo i dati del Ministero di giustizia, a fronte di 51.261 posti disponibili, i detenuti sono 56.605. Oltre 5.300 persone in più. Un numero da vedere certamente al rialzo, come confermano i rapporti di Antigone e il presidente dell’Autorità garante dei detenuti, a causa della momentanea inutilizzabilità di alcune celle o, talvolta, di interi bracci. È da sottolineare, inoltre, che il sovraffollamento è molto disomogeneo tra i 190 istituti penitenziari. Ci sono carceri con oltre 200 posti disponibili e carceri, come quello di Opera in Lombardia, con oltre 400 detenuti in più rispetto ai posti consentiti dalla legge. Il risultato è che il sovraffollamento è concentrato in 119 carceri, dove si contano quasi 9.300 persone oltre la capienza massima. “Quando ci sono troppi detenuti – commenta Scandurra – il vero problema è che le risorse per la sanità, per la formazione, per il personale si devono dividere per un numero più elevato di persone. Questo è il motivo per cui la costruzione di nuove carceri non è la soluzione: si fa solo più spazio per gli scatoloni, ma le persone non sono scatoloni”.

Una sanità diversa

L’altro neo nel sistema penitenziario italiano è quello della malasanità. “In questo momento – spiega Scandurra – seguiamo tanti procedimenti legati alla malasanità purtroppo partiti dalla morte della persona. Casi in cui familiari o periti dicono che la morte non era il decorso di quella malattia ma che è la causa di interventi tardivi o mancati”. Quello alla sanità è uno dei diritti che lo Stato italiano dovrebbe garantire a tutti, eppure, “la sanità in carcere è molto più limitata di quella che c’è fuori”, dice Scandurra. Ovviamente non tutti gli istituti sono uguali, in quanto la sanità, come per qualsiasi altro cittadino, dipende dalle Asl locali. “È una situazione – continua – complessa ma in generale non ci siamo per nulla. Il 70% delle visite programmate in carcere non vengono effettuate perchè il personale di polizia non riesce ad accompagnare i detenuti presso le Asl in quanto in sotto organico”. Le criticità sono state individuate anche dal Cpt, che nella sua relazione pone soprattutto l’accento sulle malattie mentali: “le carceri non offrono un adeguato ambiente terapeutico” per “persone che richiedono un trattamento psichiatrico specialistico”, si legge nella relazione del Cpt.

Assenza di figure sociali

A coronare i disagi delle carceri è “l’inutilità del tempo detentivo”, come spiega Mauro Palma nell’intervista sotto. Un fatto reale e incostituzionale che permea la vita dei detenuti impedendogli di fatto un percorso di reinserimento sociale. “Per ospitare in maniera dignitosa i detenuti – si legge nel rapporto di Antigone – non serve solo spazio, ma anche personale, attività, opportunità trattamentali, il sostegno della comunità locale”. Tra le figure più importanti per i detenuti manca quella dell’educatore: con un organico previsto di 896 unità, al 2021 erano 733 i funzionari effettivamente presenti. In media ne è stato contato uno per 83 detenuti. “Un numero estremamente irrisorio – commenta l’associazione – se si pensa che gli educatori collaborano alla progettazione di tutte le attività dell’istituto (da quelle scolastiche a quelle sportive a quelle formative) partendo dai bisogni del singolo”.

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