Caso Cospito, prima le polemiche ora la paura. 41 bis, le donne giuriste: “Stato non arretri” - QdS

Caso Cospito, prima le polemiche ora la paura. 41 bis, le donne giuriste: “Stato non arretri”

redazione

Caso Cospito, prima le polemiche ora la paura. 41 bis, le donne giuriste: “Stato non arretri”

Patrizia Penna e Gaetano Gorgone  |
venerdì 17 Febbraio 2023

“Contro il 41 bis”, “contro ogni prigione”: gli anarchici si sono dati appuntamento domani al carcere di Parma, per ribadire la contrarietà al carcere duro e chiedere la liberazione di Alfredo Cospito.

“Contro il 41 bis”, “contro ogni prigione”: gli anarchici si sono dati appuntamento domani al carcere di Parma, per ribadire la contrarietà al carcere duro e chiedere la liberazione di Alfredo Cospito.

“Essendo la salute un bene primario e irrinunciabile per tutti Alfredo Cospito è ricoverato in area d’eccellenza dell’ospedale di Milano e monitorato minuto per minuto”, assicura il Guardasigilli Carlo Nordio ma il caso è tornato prepotentemente alla ribalta e stavolta a far notizia non sono le polemiche della politica ma la paura. Paura e preoccupazione perché la sensazione è che attorno al leader anarchico vi sia una rete terroristica “viva” e pronta a colpire: ad avvalorare questa ipotesi le minacce contenute in una lettera firmata Federazione anarchica informale arrivata ieri alla Defence Vehicles, azienda del gruppo Iveco che produce veicoli per il settore difesa con sede a Bolzano. A quanto si apprende da ambienti investigativi destinatario delle minacce e anche di un proiettile ritrovato all’interno di una busta gialla, sarebbe un manager torinese dell’azienda.

“Attezione massima delle forze dell’ordine” è la rassicurazione che arriva dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che parla di “modalità già viste, adesso l’importanza, l’attendibilità, la concretezza, la pericolosità sarà valutata dagli inquirenti. Noi abbiamo un livello di attenzione già alto”.
Roberto Della Rocca, presidente dell’Aiviter, l’associazione italiana vittime del terrorismo, parla di “segnali preoccupanti” e teme che dietro episodi come la lettera di minacce vi sia il tentativo di riportare il nostro Paese negli anni di piombo.

E proprio ieri ricorreva l’anniversario dell’uccisione di Lino Sabbadin, il macellaio freddato a Santa Maria di Sala (Venezia) il 16 febbraio del 1979 da un commando dei Proletari Armati per il comunismo. Il figlio Adriano ammette che le minacce lo fanno tremare: “Tutti in generale e noi in particolare – ha detto – che abbiamo pagato cari gli anni neri di questo Paese, speriamo che non si torni indietro nel tempo, a quel periodo. Quando sento parlare di Cospito, di anarchici e di minacce mi fa brutto. Cosa provo? Angoscia e terrore”.

La posizione del Governo Meloni, intanto, è netta: i presupposti per la revoca del regime di carcere duro, legati all’emergere di fatti nuovi, sono stati esclusi radicalmente dalla Dnaa secondo quanto assicurato dal Guardasigilli ieri rispondendo al questione time al Senato.

Alfredo Antoniozzi, vice presidente del gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia alla Camera ha rivolto a tutte le forze politiche un appello all’unità: “Le gravi minacce dei gruppi anarchici che annunciano un omicidio per rivendicare la situazione di Alfredo Cospito – ha detto – ci confermano che le valutazioni di Nordio sulla permanenza del 41 bis sono corrette e che manca una condanna unanime sulle attività eversive degli anarchici”.
“Si tratta di minacce attendibili, purtroppo – aggiunge Antoniozzi – in un contesto che ha già dovuto vedere il rafforzamento della scorta per ministri e sottosegretari. Serve una risposta non ambigua da parte dei settori della sinistra per isolare culturalmente chi, in sostanza, protesta perché il Governo non cede su una misura essenziale contro la mafia”.
“Bisogna realmente evitare che l’eversione – conclude Antoniozzi – prevarichi i valori democratici e costituzionali che ognuno di noi è chiamato a condividere”.

Lucia Tuccitto, presidente della sezione etnea dell’Adgi (Associazione Donne Giuriste Italiane)

41 bis, Lucia Tuccitto (Associazione donne giuriste italiane): “Emergenza mafia e terrorismo non è passata”

La “solidarietà” al leader anarchico ha superato persino i confini nazionali: proprio ieri mattina al consolato italiano di Madrid, alcuni manifestanti hanno scandito slogan contro lo Stato italiano e contro l’applicazione del regime carcerario previsto dal 41 bis.
Il Quotidiano di Sicilia ha intervistato Lucia Tuccitto, presidente della sezione etnea dell’Adgi (Associazione Donne Giuriste Italiane).
Presidente Tuccitto, il 41 bis torna prepotentemente alla ribalta. Tema, tra l’altro, spesso confuso col carcere ostativo.
“Ecco un altro caso di dibattito sui temi della giustizia poco sereno e fortemente ideologizzato. Con l’espressione ‘ergastolo ostativo’ si intende il particolare tipo di regime penitenziario previsto dall’art. 4 bis Ord. Penit. che esclude dall’applicabilità dei benefici penitenziari, (liberazione condizionale, lavoro all’esterno, permessi premio, semilibertà), gli autori di reati particolarmente riprovevoli quali i delitti di criminalità organizzata, terrorismo, eversione, ove il soggetto condannato non collabori con la giustizia o tale collaborazione sia impossibile o irrilevante. Trasformando l’ergastolo in un vero e proprio ‘fine pena mai’. La Corte costituzionale, con il comunicato 15 aprile 2021, si è espressa annunciando di ritenere l’istituto incompatibile con la Costituzione ed ha concesso al Parlamento un anno di tempo per approntare una nuova disciplina in materia. Ricordiamo che la pena per l’ordinamento italiano ha carattere di rieducazione. La confusione nasce dal fatto che a seguito della strage di Capaci del 1992, con l’intento di frenare la diffusione del fenomeno della criminalità mafiosa, il Dl 306/1992, convertito in L. 356/1992, ha inasprito il regime di cui all’art. 4 bis ord. pen. Infatti, in tale occasione è stata introdotto quel particolare trattamento penitenziario definito nel gergo giuridico ‘ergastolo ostativo’ previsto per i soggetti condannati per aver commesso uno o più delitti rientranti tra quelli di prima fascia. Cosa diversa è il c.d. 41bis, che è il regime detentivo speciale. Essa è infatti una forma di detenzione particolarmente rigorosa, cui sono destinati gli autori di reati in materia di criminalità organizzata nei confronti dei quali sia stata accertata la permanenza dei collegamenti con le associazioni di appartenenza. Anche questa misura è stata introdotta nell’ordinamento all’indomani delle stragi di Capaci e di via D’Amelio con lo stesso provvedimento legislativo, il d.l. 8.6.1992, n. 306, conv. in l. 7.8.1992, n. 356. Ebbene, in molti oggi ritengono che questa legislazione sia frutto di una situazione eccezionale ed emergenziale – essendo stata prodotta a seguito della strage di Capaci del 1992-. In verità bisognerebbe riflettere sui risultati che ha dato questa normativa in materia di lotta alla criminalità organizzata e soprattutto tenendo a mente che l’emergenza mafia, camorra, criminalità organizzata in generale, non è affatto superata, e che alcuni dibattiti, a cui stiamo assistendo, sicuramente non fanno bene alla lotta alla mafia. Lo Stato non deve valutare sulla base della pancia ma sulla base dei risultati che una normativa ha dato per contrastare il fenomeno a nulla valendo che sia nata in una fase emergenziale. Ed in ogni caso non credo che l’emergenza sia cessata. Questo non vuol dire non interessarsi dei problemi penitenziari e di tutte le assenze dello Stato”.

La magistratura, però, continua ad essere al centro di polemiche.

“Non vi sono dubbi che vi sia un consistente malumore dei cittadini nei confronti della Giustizia. In realtà è frutto anche di un’informazione non inclusiva e spesso roboante. Perché non possiamo sottacere che accanto a casi eclatanti di ‘malagiustizia’ vi sono tantissimi casi, forse in maggioranza, di buona giustizia che non vengono adeguatamente motivati. Grazie al supporto del Piano nazionale di ripresa e resilienza, l’Italia è stata ‘costretta’ dall’Europa a mettere in campo una poderosa riforma della giustizia, con la c.d. riforma Cartabia, che per carità, sarà sicuramente migliorabile, ma ha certamente il pregio di avere messo mano ad un tema difficile e che spesso è motivo di scontro tra le forze parlamentari. Il percorso di riforma e della digitalizzazione è la strada giusta; una giustizia efficiente è l’unico rimedio per riavvicinare i cittadini allo Stato”.

Restiamo in tema di giustizia, le intercettazioni sono utili?

“Le intercettazioni sono uno strumento importantissimo per la lotta contro la criminalità organizzata, tuttavia, spesso la loro diffusione indiscriminata lede i diritti dei cittadini che si vedono spiattellare in prima pagina fatti privati che nulla hanno a che fare con il diritto di cronaca. In Italia si tende a strumentalizzare per bagarre ideologica ogni dibattito, anche su fatti e questioni importanti, ecco io penso che questo sia un male. Riflettere in serenità su alcuni strumenti di indagine non è grave, ferma la loro validità, perché attenzione, la fuoriuscita di stralci delle intercettazioni, non lede solo il diritto dei singoli cittadini, ma può minacciare anche la buona riuscita delle attività investigative correlate”.

G.G.

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio: “Socialità non azzerabile neanche al 41 bis, ce lo impone la Costituzione”

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio

Socialità non azzerabile neanche al 41 bis, ce lo impone l’articolo 27 della nostra Costituzione. È questo in sintesi quanto ha riferito il ministro della Giustizia Carlo Nordio rispondendo al question time al Senato: “I gruppi di socialità – ha detto – sono formati in base a quanto previsto dalle disposizioni dipartimentali vigenti a cura del Direttore dell’istituto penitenziario. Ogni detenuto deve, poi, potere accedere all’attività trattamentale, fondamentale per il necessario tentativo di risocializzazione richiesto dall’articolo 27 Costituzione: il potere passare del tempo in socialità, altro non è che attività trattamentale, comprimibile negli stretti ed indispensabili limiti di cui ho riferito, ma non certamente azzerabile”.

Insomma “ogni detenuto deve (…) potere accedere all’attività trattamentale, che è fondamentale per il necessario tentativo di risocializzazione richiesto dall’articolo 27 della Costituzione: il potere passare del tempo in socialità, altro non è che attività trattamentale, comprimibile negli stretti ed indispensabili limiti di cui ho riferito, ma non certamente azzerabile. Nel caso di ristretti per reati di mafia, terrorismo ed eversione e sottoposti al regime del cd. ‘carcere duro’, i detenuti inseriti nei relativi ‘gruppi di socialità’ sono per definizione appartenenti a tale tipologia di criminali, con l’indispensabile accorgimento – questo è importante – di evitare gruppi composti da appartenenti alla stessa consorteria criminale”.

La risposta del ministro sul cambio del gruppo di socialità al detenuto Alfredo Cospito (nel carcere di Sassari sono state “rispettate tutte le indicazioni contenute nella circolare che regola la formazione di questi gruppi”) non ha soddisfatto Alleanza Verdi e Sinistra che ha parlato attraverso Peppe De Cristofaro, presidente del gruppo Misto del Senato: “Dal ministro Nordio una risposta burocratica che sostanzialmente non risponde alla nostra domanda sul perché a Cospito è stato cambiato il gruppo di socialità. Nordio non chiarisce in nessun modo le ragioni di questo cambio. È poi quantomeno singolare il fatto che Cospito, già in sciopero della fame da due mesi per contestare il regime del 41 bis a cui è sottoposto, sia stato messo in un gruppo con tre boss della criminalità organizzata considerati attivi e attualmente pericolosi. Considero poi sospetta la coincidenza, vista anche l’assenza di comunicazioni nei mesi precedenti, tra il cambio del gruppo di socialità, l’inizio degli ascolti e delle trascrizioni delle conversazioni. Conversazioni poi usate da Donzelli per attaccare le opposizioni nell’Aula di Montecitorio. Quanto avvenuto è quantomeno una grave sottovalutazione dell`intera questione, se non un vero e proprio errore”.

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