Clima, non c’è un atomo da perdere - QdS

Clima, non c’è un atomo da perdere

redazione

Clima, non c’è un atomo da perdere

Roberto Greco  |
venerdì 08 Dicembre 2023

Senza energia nucleare sarà impossibile raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione entro il 2050

Proprio in questi giorni, dal 30 novembre al 12 dicembre è in corso a Dubai, la 28ª conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop 28) che vede riunite le parti della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), tra cui l’Ue e tutti gli Stati membri dell’Ue. Nel suo intervento, il presidente Charles Michel ha chiesto un’azione globale più incisiva e rapida per mantenere l’aumento della temperatura mondiale entro 1,5 gradi e ha dichiarato che “La Terra appartiene ai nostri figli. Non si tratta di uno slogan pubblicitario, ma di una realtà esistenziale” e pertanto “il prossimo decennio è fondamentale e siamo pienamente mobilitati per collaborare con ciascuno di voi al fine di proteggere l’umanità”. Ha inoltre sottolineato il pieno impegno dell’Ue a favore della lotta per la neutralità climatica e ha rilevato come l’Ue abbia già ridotto le emissioni di gas a effetto serra del 30% rispetto ai livelli del 1990 e sia determinata a triplicare le energie rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica. L’Ue ha annunciato un investimento di 2,3 miliardi per la transizione energetica mentre gli Usa, ha annunciato la vicepresidente Kamala Harris, hanno reso disponibili 3 miliardi per il fondo clima.

Al Cop28 si è parlato anche del rilancio del nucleare

Ma, al summit della Cop28, si è parlato anche del rilancio del nucleare, tornato al centro del dibattito nella comunità internazionale alle prese con la lotta ai cambiamenti climatici. Sono ventidue i Paesi, e tra questi Stati Uniti, Francia e Regno Unito, che hanno stretto un accordo con l’obiettivo di triplicare entro il 2050 la produzione di energia atomica. Il nucleare c.d. pulito, ossia quello di ultima generazione, è visto come l’alternativa più potente in grado di garantire uno sviluppo futuro sostenibile. L’annuncio, cui hanno aderito anche gli Emirati Arabi Uniti, è stato dato dal guru del clima della Casa Bianca, John Kerry, e dal presidente francese, Emanuel Macron, che ha promesso la costruzione di 6 nuovi reattori entro il 2037 più altri 8 reattori negli anni seguenti. Contestualmente il premier belga Alexander De Croo, ha reso noto che il Belgio organizzerà a marzo 2024, insieme all’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), il primo vertice mondiale sul nucleare.

L’obiettivo dichiarato è quello di raggiungere, nel 2050, gli obiettivi di zero emissioni nette. Si torna, quindi, a parlare di nucleare, quello basato sulla fusione e, inevitabilmente, di scorie da smaltire. “Non è prevista né ipotizzata la realizzazione di centrali nucleari nel nostro paese – ha dichiarato il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, intervenendo alla Giornata dell’Associazione Italiana Nucleare – ma si ragiona solo sui piccoli reattori modulari che dovrebbero essere sul mercato tra una decina di anni” per i quali “non è previsto alcun impegno diretto dello Stato nella costruzione, ma solo una funzione di regolazione e autorizzazioni”.

Mancata adesione dell’Italia al patto sul nucleare

Rispetto alla mancata adesione dell’Italia al patto sul nucleare, il ministro Picchetto ha dichiarato che “politicamente siamo pienamente convinti della validità di questa proposta politica ma non avendo nessun impianto nucleare attivo né in costruzione non possiamo triplicare ciò che non abbiamo” e non ha escluso che “l’Italia possa partecipare al vertice organizzato dal Belgio da osservatore” e ha sottolineato come gli “impegni manifestati alla Cop28 diano la misura del ruolo che l’energia nucleare si appresta a svolgere nella questione ambientale come risorsa determinante per l’uscita dai combustibili fossili”. A fine settembre, l’Italia ha varato la piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile, voluta dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin. Le proposte per un percorso finalizzato alla possibile ripresa dell’utilizzo dell’energia nucleare in Italia dovrebbero essere elaborate entro 6 mesi e entro 7 mesi, andrà poi redatto il documento completo della roadmap per arrivare all’elaborazione delle linee guida con azioni, risorse, investimenti e tempi entro 9 mesi.

Il ministro delle Infrastrutture e del Made in Italy Adolfo Urso ha detto che le aziende italiane hanno lavorato all’estero investendo molto e lo dimostra il fatto che pochi giorni fa a Naka, in Giappone, è stato inaugurato il reattore sperimentale per la fusione nucleare JT-60SA, frutto della collaborazione tra l’Unione europea e il Giappone nell’ambito dell’accordo Broader Approach. La sua realizzazione è stata resa possibile grazie al contributo italiano da parte del governo, delle imprese, dell’ENEA, del Consorzio RFX e del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr). Enel e Ansaldo Nucleare, in questo senso, sono attori protagonisti, ha ricordato il ministro citando i loro progetti in Spagna e Romania. Così come è da tener presente il lavoro di ricerca di Eni e delle “numerose imprese impegnate sul nucleare di terza avanzata e di quarta generazione”.

Obiettivo dell’Italia? “Accelerare sulla fusione nucleare per centrare l’obiettivo nel 2050. La terza generazione avanzata, con i piccoli reattori modulari, dovrebbe essere pronta nel 2030, mentre la quarta forse nel 2040”, ha annunciato Urso. Si riapre, quindi, la discussione sui siti destinati a ospitare le scorie radioattive e, in realtà, il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi serve all’Italia perché, comunque, continuiamo a produrre rifiuti a bassa e media attività, soprattutto sanitari e industriali, che oggi vengono stoccati in una serie di siti certo non ottimali, se non inadeguati. Va inoltre ricordato che, nel caso d’impianti a fusione, ossia quelli in sperimentazione oggi, il sottoprodotto del processo, ossia le scorie radioattive, è minimo e la fase di decadimento è rapida. Inoltre, pensando alla sostenibilità, studi recenti hanno evidenziato la possibilità di sviluppo di nuovi combustibili basati sul riciclo delle scorie nucleari mediante reirradiazione nei reattori di prossima generazione.

Il 5 gennaio 2021 il ministero dell’Ambiente rese nota la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) che conteneva l’individuazione di 67 aree potenzialmente idonee tra Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia, Basilicata, Sicilia, Sardegna che, da allora, si sono dichiarate tutte indisponibili. Dopo una consultazione pubblica durata un anno, a metà marzo 2022 la Sogin (Società Gestione Impianti Nucleari) ha trasmesso al ministero dell’Ambiente la proposta di Carta nazionale delle aree idonee (Cnai) a ospitare il deposito nazionale per i rifiuti radioattivi che non è mai stata resa pubblica. Il Ministero ha, quindi, cambiato rotta accettando auto candidature, per promuovere la possibilità di una più celere individuazione dell’area di stoccaggio. L’unica autocandidatura, a oggi, prospettata al Ministero è quella del Comune di Trino Vercellese ma si tratta di una candidatura che è stata stroncata dal Presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio.

Interviene il prof. Piero Martin, ordinario di Fisica sperimentale all’Università di Padova ed esperto di fusione termonucleare

“Necessario pensare a un futuro paniere energetico libero da CO2 su scala globale”

Piero Martin

Interviene al QdS Piero Martin, professore ordinario di Fisica sperimentale all’Università di Padova, esperto di fusione termonucleare, responsabile della fisica nel nuovo esperimento italiano Divertor Tokamak Test (Dtt), che contribuisce alla realizzazione di Iter, il reattore sperimentale a fusione nucleare in costruzione nel sud della Francia.

Professore, inizierei sgombrando il campo dagli equivoci. Oggi non si parla più di fissione nucleare ma di fusione nucleare…
“In occasione della Cop28 si è parlato di entrambi i processi. Si tratta, però, di processi nucleari molto diversi. La fissione si basa sulla rottura di nuclei pesanti, come l’uranio, mentre la fusione si basa sull’unione di nuclei leggeri d’idrogeno o elementi simili. La differenza sostanziale è che la fusione non produce scorie di lungo periodo, aspetto importante, ed è un processo sicuro per natura stessa delle leggi fisiche”.

Cioè?
“È come un accendisigari, ossia rimane acceso finché teniamo premuta l’uscita del gas ma, appena la molliamo, si spegne. Il reattore a fusione alla minima deviazione dalle condizioni ottimali si spegnerà”.

Ci sono in gioco complessità realizzative superiori rispetto alla fissione?
“Sì perché da un lato guardando il sole vediamo il più mirabolante esempio di fusione, quel processo che ha permesso lo sviluppo della vita sulla terra ma realizzarlo sul suolo terrestre ha grandi difficoltà di produzione. Inoltre, è necessario dirlo, mentre ben conosciamo il processo di fissione perché ci stiamo lavorando da decenni, quello della fusione è a tutt’oggi in sperimentazione e le nostre conoscenze sono ancora limitate”.

Qual è la capacità di ricerca e sviluppo dell’Italia nel campo della fusione?
“L’Italia ha una tradizione di altissimo livello e, inoltre, il suo presente lo è altrettanto. Basta pensare alla realizzazione del reattore sperimentale in Giappone, che vede tra i partner Enea e Cnr, oppure al reattore Iter, in via di realizzazione in Francia che vede l’Italia tra gli attori principali e, ultimo solo dal punto di vista cronologico, il progetto Dtt tutto made in Italy in costruzione a Frascati, alle porte di Roma e, ancora una volta, il protagonista principale è Enea e vede tra i collaboratori Cnr e Eni. Pensi che per la costruzione di Iter l’Italia ha ottenuto commesse per oltre 1,5 miliardi di euro”.

Il piano energetico presentato dal Governo ha ipotizzato la realizzazione di piccole centrali diffuse. Il processo di fusione si presta a questo modello o si adatta meglio a grossi impianti?
“Pur non avendo ancora certezza, vista la sperimentazione in atto, ritengo che il processo di fusione si adatti meglio a impianti centralizzati, piuttosto che diffusi. Ma oggi è necessario pensare a un futuro paniere energetico libero da Co2 su scala globale che deve essere, mi consenta il termine, laico. Voglio dire che è necessario sfruttare tutte le sorgenti libere da Co2 che abbiamo a disposizione, senza alcuna concorrenza tra le diverse possibilità al fine di generare un buon mix tra generazione distribuita e concentrata. In alcuni casi può funzionare bene la generazione distribuita ma in altri, pensiamo alle grandi città italiane o ai grossi centri industriali, sarà necessario optare per quella concentrata. L’energia è un problema complesso e ritengo che se ne uscirà con soluzioni semplificate ma abbiamo il vantaggio, come Italia, di possedere la capacità di risolvere i problemi complessi”.

Ma gli impianti a fusione sono in grado di produrre energia?
“Ovviamente no. Abbiamo la prova che la fusione funziona, e basta guardare il sole, ma solo la sua realizzazione pratica ci permetterà di capire se sarà economicamente conveniente, al fine di poter produrre energia a costi contenuti”.

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