Competizione e boicottaggio alle Olimpiadi di Tokyo - QdS

Competizione e boicottaggio alle Olimpiadi di Tokyo

Giuseppe Sciacca

Competizione e boicottaggio alle Olimpiadi di Tokyo

mercoledì 01 Settembre 2021

In qualcuno è rimasto il pensiero del boicottaggio a cui è stato esposto il paese più preso di mira, cioè Israele

Le Olimpiadi da poco concluse, hanno lasciato nella memoria di molti il ricordo della gioia di una pioggia di medaglie, in altri è invece più viva l’impronta dei momenti a tutta adrenalina delle competizioni agonistiche, mentre in qualcuno è rimasto il pensiero del boicottaggio a cui è stato esposto il paese più preso di mira, cioè Israele.

Le Olimpiadi di Tokyo sembravano aver avuto il loro inizio all’insegna della massima solidarietà internazionale. Per la prima volta, in una cerimonia di apertura dei giochi, venivano commemorati gli undici atleti israeliani, assassinati nel 1972, a Monaco di Baviera, da un commando di terroristi palestinesi di Settembre Nero. Mentre, per la seconda volta partecipava alle gare una squadra composta da rifugiati politici.

Ma non poteva mancare, tra tanti atleti, chi più della competizione sportiva cercava la visibilità internazionale e quindi l’occasione per esternare i propri sentimenti di avversione ad Israele, non tenendo in alcuna considerazione che la logica del boicottaggio non solo è contraria allo spirito dei giochi, ma la sua pratica, se diffusa, potrebbe porre in difficoltà l’ordinato svolgimento delle Olimpiadi.

Il campione di judo israeliano Tohar Butbul ha dovuto disputare un solo incontro per arrivare ai quarti di finale, giacchè ben due dei suoi avversari in scaletta hanno rinunciato all’incontro per manifestare la loro solidarietà con il popolo palestinese.

La prima diserzione è stata dell’atleta algerino Fethi Nourine, non nuovo a queste iniziative, in quanto, per analoghe motivazioni nel 2019 si era ritirato dai campionati mondiali, seguita da quella di un atleta sudcoreano.

Tohar Butbul, da parte sua aveva già conosciuto atteggiamenti di discriminazione, nel 2017, ad Abu Dhabi, dopo aver vinto su un atleta degli Emirati Arabi Uniti, il suo avversario si è rifiutato di stringergli la mano, ed ancor più, gli ha pure rivolto le spalle in segno di disprezzo. Ancora quello stesso anno, proprio a voler sottolineare la volontà di ostracizzare Israele, quando un altro atleta di questo paese, venne premiato con la medaglia d’oro, gli Emirati impedirono sia che si alzasse la bandiera israeliana, sia che venisse intonato l’inno nazionale del vincitore, che venne sostituito dalla esecuzione di quello del Comitato Olimpico Internazionale.

È chiaro che la critica verso la politica di questo Paese, così come quella rivolta ai governi di ogni altro stato è del tutto legittima, ma quando la censura assume l’atteggiamento del boicottaggio e, quindi, di una ostilità preconcetta finalizzata a delegittimare non solo le iniziative governative ma anche ad isolare un paese per negarne il diritto alla esistenza, si è veramente superato e travalicato ogni limite dei comportamenti tollerabili.

Peraltro in un conflitto che si trascina da tanti decenni ed i cui tentativi di soluzione concordata, concertati e sostenuti a livello internazionale, sono tutti miseramente falliti, la determinazione di attribuire a una parte tutti i torti e all’atra tutte le ragioni, dimenticando che, ad esempio, Israele nel corso dell’ultimo conflitto è stato bombardato da Hamas con quattromila tra semplici razzi e sofisticati missili, spesso destinati ad obiettivi civili, oppure che i cittadini non ebrei di Israele godono degli stessi diritti di tutti gli altri connazionali, in un’area geografica in cui in molti altri stati vengono negati i diritti civili, politici e sociali, si dovrebbe riflettere di più prima di assumere atteggiamenti di preconcetta ostilità e ipotizzare la fine di Israele come la soluzione migliore per una convivenza tra due popoli che vivono da sempre su una stessa terra.

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