Concessioni balneari, caos dietro l’angolo - QdS

Concessioni balneari, caos dietro l’angolo

redazione

Concessioni balneari, caos dietro l’angolo

Vittorio Sangiorgi  |
sabato 24 Giugno 2023

Il 31 dicembre “scadono” le licenze dei lidi: la proroga del Governo fino al 2024 è inefficace per Ue e Consiglio di Stato, secondo cui Regioni e Comuni dovranno disapplicare le norme nazionali

Quella che è appena partita potrebbe essere “l’ultima” stagione estiva per il sistema balneare italiano così come lo abbiamo finora conosciuto? Una domanda che non allude a scenari apocalittici ma che è strettamente legata alla complessa questione Bolkestein e concessioni balneari. Oggetto del contendere l’omonima direttiva europea che imporrebbe, dopo il 31 dicembre 2023, la pubblicazione dei bandi e l’indizione delle gare d’appalto per riassegnare le concessioni stesse.

Un tema che ha sempre suscitato un vivace dibattito e che chiama in causa articolate questioni giuridiche, vista anche la posizione del Governo italiano che – nel cosiddetto Decreto milleproroghe – ha inserito lo slittamento di un anno della scadenza, proroga ritenuta tuttavia illegittima dalle sentenze emesse nei mesi scorsi dalla Corte di giustizia europea e dal Consiglio di Stato. Il ministro del Turismo Daniela Santanché, nell’intervista rilasciata al Quotidiano di Sicilia lo scorso 16 febbraio, aveva ribadito la volontà dell’Esecutivo di difendere “senza se e senza ma gli stabilimenti balneari”, aggiungendo che si era al lavoro per trovare “la soluzione migliore per difenderli e allo stesso tempo per trovare una soluzione che sia strutturale e che dia stabilità all’intero comparto”.

Di fondamentale importanza in questo percorso, sempre secondo le dichiarazioni di Santanchè al QdS, la mappatura delle coste italiane e un passaggio in Parlamento, in quanto organo espressione della sovranità popolare, per la decisione definitiva. Nessuno dei due obiettivi è stato fin qui perseguito, anche se pare che la mappatura sia in fase di completamento e che il momento del voto nelle Aule di Camera e Senato sia programma al termine di una fase di concertazione che vede coinvolte sigle sindacali ed associazioni di categoria e che vede già una data segnata in rosso sul calendario, quella del 4 luglio quando è previsto un tavolo tecnico al ministero. Tuttavia, visto che il 31 dicembre è sempre più vicino urge capire cosa accadrà e quale sarà la decisione definitiva di Palazzo Chigi, anche in virtù di un’eventuale procedura d’infrazione da parte della Ue qualora la proroga fosse effettivamente applicata.

I balneari e le associazioni che li rappresentano difendono la loro posizione, anche ricorrendo ad un possibile appiglio che emerge tra le pieghe della sentenza della Corte di Giustizia europea che, secondo questa lettura, non sarebbe del tutto “ostile” alla categoria. Ne abbiamo parlato con Alessandro Cilano di Fiba Confesercenti, che esordisce con una considerazione sul merito della questione: “Credo però si debba fare passo indietro, perché una cosa è il veto posto da Consiglio di stato e Corte europea, altro ciò che dice la Ue. L’Europa dice che tutte quelle realtà di interesse pubblico, quindi si parla non soltanto di concessioni balneari ma anche lacustri e fluviali, in cui lo Stato è impegnato economicamente devono andare a bando. Noi non siamo pagati dallo Stato, è vero anzi il contrario. Certo, fatturiamo molto ma abbiamo spese importanti oltre alla responsabilità del controllo del territorio. Un concetto espresso dallo stesso Frits Bolkestein, padre dell’omonimadirettiva, nel corso di un convegno promosso nel 2018 alla Camera”.

In quella occasione l’ex commissario disse “Le concessioni balneari sono beni, non servizi”. Una frase che suggerirebbe l’inapplicabilità della direttiva anche se sul punto ci sono pareri discordanti. “Le questioni sollevate – prosegue Cilano – dalle ultime due sentenze della Corte europea, quella cosiddetta Promoimpresa del 2016 e quella degli scorsi mesi arrivata in risposta ai quesiti posti dal Tar di Lecce, riguardano – rispettivamente – il giudice locale e il Governo qualora manchi territorio costiero disponibile. In questo caso, alla scadenza delle concessioni si fanno le gare. Ma in Italia il territorio non manca, ed è più che disponibile. La mappatura non è ancora completa, ma si hanno i dati al 90%”.

Detto altrimenti, secondo questa intepretazione, non si dovrebbe dare luogo alle gare qualora ci fosse disponibilità di arenili non occupati: ma questo potrebbe cozzare con quelle leggi regionali che, invece, stabiliscono un “tetto” alle concessioni, proprio per lasciare una parte di spiaggia alla libera fruizione. E dunque l’inghippo resta: che importa se ci sono spiagge disponibili se comunque non possono essere assegnate?

Una questione “tricolore”

Quello della balneazione è un comparto importante per l’Italia, con un fatturato annuo di oltre 30 miliardi. “La conseguenza di questa situazione – aggiunge ancora il rappresentante della Fiba – è che un’azienda, che ha magari impiegato decenni per essere un marchio, perde dall’oggi al domani questa specificità. Il 95% delle aziende balneari sono micro o piccole-medio imprese a conduzione familiare, che non potrebbero mai ‘controbattere’ ad offerte di grandi gruppi e multinazionali. Si è detto che l’indizione delle gare è imposta dal Pnrr, ma nel documento non c’è una sola voce in cui rientrino gli stabilimenti. Se ne parla nel capitolo turismo, quando si dice che sono disponibili finanziamenti a tasso agevolato per ristrutturare strutture ricettive, tra cui gli stabilimenti balneari. I finanziamenti sono concessi, come confermano gli istituti di credito, in presenza di adeguate garanzie di stabilità. Se, effettivamente, al 31 dicembre ‘salteranno’ tutte le concessioni nessun finanziamento potrà essere erogato. Perché, allora, sono stati inseriti gli stabilimenti balneari nel Pnrr turismo? A queste condizioni noi non potremmo accedervi. Il risultato è che potrebbero farlo solo multinazionali, in grado di investire centinaia di migliaia di euro”.

Concessioni in scadenza. Cosa sta succedendo

Nelle scorse settimane, inoltre, ha suscitato parecchio clamore la nota inviata ai Comuni di Toscana ed Umbria da parte dell’Agenzia del Demanio, in cui si invitavano gli stessi ad avviare le procedure di incameramento dei beni inamovibili siti negli stabilimenti, proprio in vista della “data X”. Il tenore di questo atto, tuttavia, è stato poi mitigato dalla stessa Agenzia che ha chiarito: “La nota inviata ai Comuni dalla Direzione territoriale Toscana e Umbria dell’Agenzia del Demanio non equivale ad avvio delle procedure di incameramento dal momento che non può essere per norma l’Agenzia ad avviare questa procedura bensì una commissione di incameramento presieduta dall’Autorità marittima, alla quale l’Agenzia del Demanio partecipa. La Direzione territoriale ha chiesto ai Comuni di rendere disponibile la documentazione tecnica che consenta di individuare le opere inamovibili”.

Dunque solo un passaggio formale e preliminare, anche vista l’ingarbugliata situazione politica e giuridica. Sul punto Cilano aggiunge: “L’incameramento non può essere immediato, anche perché ad oggi c’è solo la scadenza ufficiosa del 31 dicembre. Ma se, effettivamente ci sarà la decadenza delle concessioni allora si deve procedere all’incameramento. È chiaro, quindi, che Comuni e Demanio di competenza devono premurarsi sin da ora e valutare tutto quello che dovrà eventualmente essere incamerato, per essere pronti al momento giusto. Un bene inamovibile sul demanio, infatti, viene incamerato e diventa proprietà dello Stato come dice il Codice della Navigazione. Altre regioni che lo hanno fatto? Che io sappia le Marche, poi ci sono realtà come Liguria, Puglia e Sardegna attendono le mosse del Governo”.

La difesa dei balneari

L’esponente della Fiba Balneari, poi, torna sul ruolo importante che, la cosiddetta economia del mare, ha nell’economia nostrana: “Rappresentiamo una voce importante, il comparto aggregato vale un quarto del Pil nazionale. Noi balneari, inoltre, siamo legati anche all’indotto di somministrazione di cibo e bevande. Per questo motivo siamo molto preoccupati. Se dopo il 31 dicembre andiamo via e smontiamo tutto, nasceranno contenziosi, dovranno essere fatti i bandi e nel frattempo dovrà essere fatta tutta la progettazione e dovranno essere pronti i piani spiagge in tutta Italia con la mappatura completa. Penso che per tre o quattro anni, oltre il 50% del sistema balneare non sarà in grado di funzionare. E quanto si perderà con il mancato afflusso? Il 4 luglio è in programma un incontro con tutte le associazioni categoria nell’ambito del tavolo tecnico del governo. La logica da seguire è molto semplice. Se manca territorio il sistema va rivisto, come dice l’Europa. Però si deve valutare caso per caso, lo sostiene anche la prima sentenza della Corte europea. Si dice che, ad esempio, Mondello sia occupato al 90%, ma si dimentica che Palermo è anche Isola delle Femmine fino al confine di Ficarazzi e il lungomare di romagnolo. Si tratta di 20 km liberi su 32 totali, ivi compresi i porti”.
“Non è vero che manca territorio – prosegue -. Prima di noi in queste zone non vi era alcun servizio, oggi ce n’è uno di qualità che incrementa il turismo. Apriamo i bandi per assegnare le aree ancora libere e incoraggiamo gli investimenti. L’ente pubblico non ce la farà mai a gestire alla perfezione questi servizi, particolarmente dispendiosi. C’è una legge regionale siciliana, emanata con l’allora assessore Toto Cordaro, secondo cui una fascia di almeno 25 metri, tra due stabilimenti confinanti, dev’essere disponibile per la pubblica fruizione. I due confinanti, inoltre, devono occuparsi dei loro servizi minimi essenziali: pulizia, salvataggio, servizi igienici e docce. Così c’è l’apertura a chiunque, nessuno può impedire l’accessibilità a mare per fare un bagno. Io, titolare di uno stabilimento, devo dare l’accessibilità ai minimi servizi”.

Verso un inverno più caldo dell’estate

Ma come intende muoversi il mondo dei balneari nei prossimi mesi se, effettivamente, si procederà con l’incameramento e le gare? Si sta valutando di adire le vie legali? “Quella delle vie legali sarebbe la prima strada da seguire – risponde Cilano -. Ovviamente non ci mettiamo di traverso con le leggi dello Stato però ribadiamo che l’articolo 11 della legge 217/2011 dice che, sulla base della Bolkenstein, non si può creare disparità trattamento. Allora a bando vorremo vedere anche le concessioni di notai, farmacie, taxi, tabacchi, ambulanti, navi di trasporto passeggeri, tram di Palermo o acque minerali. Noi abbiamo la responsabilità totale, gli altri servizi sono remunerati dallo Stato e hanno introiti aziendali. Vi è, quindi, totale disparità di trattamento, noi siamo l’ultima ruota del carro. È passata in sordina l’estensione delle concessioni agli ambulanti per oltre dieci anni. Ecco, ribadisco, che noi vogliamo soltanto che non ci siano disparità di trattamento”.

Vedremo come si evolverà la situazione nei prossimi mesi e cosa decideranno Governo e Parlamento. Di sicuro una procedura d’infrazione da parte di Bruxelles sarebbe deleteria, visto anche la situazione non certo rosea del nostro Paese di cui abbiamo spesso parlato dalle colonne di questo giornale. È evidente che, in seguito a decenni di lassismo, il settore vada riordinato intervenendo in quelle zone dove un bene naturale e alla portata di tutti come dovrebbe essere il mare, pare ormai soffocato o dove, obiettivamente, i canoni per l’affitto del demanio sono fin troppo favorevoli. Buonsenso istituzionale, senso di responsabilità e rispetto delle norme per tutelare e difendere tanto la risorsa quanto il comparto, che ha un ruolo fondamentale nella nostra economia.

Intervista all’avvocato Roberto Manzi, tra i massimi esperti in materia di concessioni demaniali

“Dal primo gennaio 2024, in mancanza di un titolo, l’occupazione del demanio diventerebbe abusiva”

Per approfondire le questioni tecniche legate all’applicazione della Bolkenstein al settore balneare e il “significato” intrinseco delle più recenti sentenze sul tema, abbiamo intervistato l’avvocato Roberto Manzi, tra i massimi esperti in materia.

Avvocato, la sentenza della Corte di Giustizia europea, pur ribadendo l’applicabilità della direttiva Bolkenstein agli stabilimenti balneari, pare abbia aperto uno spiraglio per gli attuali detentori di concessioni. Corrisponde al vero la tesi secondo cui, laddove vi è una sufficiente superficie di spiagge libere, non è necessario indire le gare e si può quindi applicare la proroga delle concessioni?
“La Corte di Giustizia Europea, con la recente sentenza dell’aprile scorso, ha ribadito che alle concessioni demaniali marittime si applichi la Direttiva Bolkestein, che prevede che quando vi sia scarsità della risorsa naturale, e cioè, quando, come nel caso delle coste italiane, vi sia un numero limitato di concessioni da assegnare, l’autorità amministrativa deve indire le procedure di selezione. Ciò che la sentenza ha portato con sé di nuovo è di avere chiarito che gli Stati membri e, quindi, l’Italia, abbiano un certo margine di discrezionalità nella scelta dei criteri applicabili alla valutazione della scarsità delle risorse naturali. La Corte ha precisato che questa discrezionalità nella valutazione della scarsità delle risorse disponibili può portare gli Stati membri a preferire un approccio generale e astratto a livello nazionale o caso per caso basato sull’analisi della situazione del territorio costiero di un comune o dell’autorità amministrativa competente, o anche combinare entrambi gli approcci. Sono questi principi importanti che potrebbero portare il legislatore italiano a definire i casi in cui non si debba ricorrere alle procedure di selezione. Recentemente è stato, infatti, istituito presso la Presidenza del Consiglio un tavolo tecnico, al quale sono state ammesse anche le associazioni di categoria, per discutere della mappatura delle coste italiane, allo scopo precipuo di definire i criteri predetti al fine di poter individuare se e dove vi siano aree di demanio marittimo in cui sia possibile non applicare le procedure di selezione”.

Lo stesso tema dell’applicabilità della direttiva, al di là dei recenti pronunciamenti, è oggetto di dibattito. Le associazioni di categoria sostengono, anche sulla base di quanto dichiarato dallo stesso Frits Bolkenstein in occasione del convegno alla Camera dell’aprile 2018, che gli stabilimenti non sono soggetti alla stessa direttiva in quanto identificabili come beni e non come servizi. Qual è il suo giudizio in merito?
“La tesi secondo cui gli stabilimenti non sono soggetti alla Direttiva Bolkestein, in quanto identificabili come beni e non come servizi, è stata sostenuta da molti nel corso di questi anni. Tuttavia, essa è stata respinta dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che, con le famose sentenze del 2021, ha sostenuto che la distinzione tra concessione di beni e autorizzazione di servizi, tipica del diritto italiano, sia solo formale e non sostanziale e che deve perciò essere rivista alla luce del diritto dell’Unione. Secondo questo orientamento, alla luce del diritto europeo, il provvedimento concessorio, nella misura in cui attribuisce il diritto di sfruttare in via esclusiva una risorsa naturale contingentata al fine di svolgere un’attività economica, procura al titolare vantaggi economicamente rilevanti in grado di incidere sensibilmente sull’assetto concorrenziale del mercato e sulla libera circolazione dei servizi. In conseguenza di ciò, il titolo concessorio, che riserva in via esclusiva un’area demaniale marittima ad un operatore economico, consentendo a quest’ultimo di utilizzarlo come asset aziendale e di svolgere, grazie ad esso, un’attività d’impresa erogando servizi turistico-ricreativi va considerato, nell’ottica della Direttiva Bolkestein, un’autorizzazione di servizi contingentata e, come tale, da sottoporre alla procedura di gara. Alla luce di questo orientamento ormai consolidato è estremamente difficile, se non impossibile, pensare di riuscire a persuadere ora l’Europa e i giudici italiani a ritenere che le concessioni demaniali non rientrino nell’ambito di applicazione della direttiva Bolkestein, in quanto concessione di beni”.

Si rischia un caos giudiziario nel caso in cui, dopo il 31 dicembre 2023, i Comuni non dovessero procedere ad indire le gare e il Governo decidesse di “tirare” dritto sulla proroga delle concessioni? Il Consiglio di Stato ha detto che gli amministratori locali possono disapplicare la proroga. C’è il rischio di una paralisi amministrativa?
“Il tema della durata e dell’efficacia delle concessioni attualmente in essere è molto complesso. E’ necessario districarsi tra la normativa italiana, quella europea e la giurisprudenza italiana ed europea. Infatti, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha stabilito che tutte le concessioni demaniali in essere abbiano durata fino al 31 dicembre 2023 e che, scaduto tale termine, esse debbano considerarsi prive di effetto, indipendentemente dal fatto che, nella concessione, subentri o meno un altro soggetto. In conseguenza di ciò dal primo gennaio 2024, in mancanza di un titolo concessorio valido, l’occupazione del demanio diventerebbe abusiva con tutte le conseguenze che da ciò possono derivare. Nel contempo la Legge n. 118/2022 ha previsto che i Comuni, in presenza di ragioni oggettive che impediscono la conclusione delle procedure selettive entro il 31 dicembre 2023, possano differire il termine di scadenza delle concessioni in essere fino e non oltre il 31 dicembre 2024. La Legge n. 14/2023 ha poi ulteriormente differito di un altro anno i termini di efficacia sia delle concessioni in essere sia quelli di conclusione delle procedure di evidenza pubblica. Tuttavia, il Consiglio di Stato ha già ritenuto che questo differimento dei termini indicato nella Legge 14/2023 costituisca una proroga e, come tale, vada disapplicato in quanto contrario al diritto europeo. A completamento del quadro, la Corte di Giustizia, con la recente sentenza dell’aprile scorso, ha ribadito che sia i giudici nazionali che le autorità amministrative, comprese quelle comunali, abbiano l’obbligo di disapplicare le disposizioni nazionali contrarie alle norme del diritto europeo. Alla luce di questo contesto, la situazione potrebbe diventare caotica, con il Governo, da un lato, che vuole far rispettare i termini di durata delle concessioni previsti dalle Leggi nazionali e con le Regioni ed i Comuni, dall’altro, che si troveranno a dover disapplicare le norme nazionali perché in contrasto con il diritto europeo. Questa situazione di incertezza arrecherà certamente danni considerevoli sia agli attuali concessionari, i quali si trovano ancora una volta privi di sicurezze riguardo al loro futuro, sia all’intero settore turistico italiano in generale. Questo potrebbe comportare una mancanza dei servizi richiesti dalla domanda turistica, mettendo così a rischio la sostenibilità e la prosperità del comparto nel suo complesso”.

Amenta (Anci Sicilia): “Ancora nessuna certezza su mappatura”

La situazione di caos che emerge dal quadro nazionale si riflette con maggior forza in Sicilia, soprattutto sulle questione mappatura e dei Piani di utilizzo del demanio marittimo (Pudm), tanto a livello regionale quanto in ambito locale. A dirlo al QdS è Paolo Amenta, sindaco di Canicattini Bagni e presidente di Anci Sicilia: “Non esiste certezza sulla mappatura, ho dei dubbi che esista effettivamente. Attualmente pare che la percentuale di spiagge occupate sia tra il 20 e il 25%, ma appunto non ci sono certezze. Poi c’è la questione dei Pudm, nella nostra regione sono davvero pochi. Risultato di una gestione superficiale su questo tema. Per cui, adesso, è complicato collegarci ad una normativa europea che presuppone regole uguali per tutti. Non si può passare di punto in bianco da un modello di gestione ad un altro. Siamo in uno stato confusionale. È fondamentale capire chi ha la responsabilità di pianificazione in ogni area, altrimenti non si sa sulla base di quali criteri si faranno le gare, che potranno quindi anche essere oggetto di ricorso”.

Il rischio che l’Isola rimanga davvero impantanata su un tema tanto importante è reso più concreto dal fatto che, in seno al dipartimento dell’Ambiente, non sia ancora stato nominato il dirigente del Demanio marittimo. “Anci Sicilia – aggiunge Amenta – guarda con attenzione al comparto ed ai lavoratori. Capiamo la necessità di adeguamento alla normativa europea, ma anche che gli imprenditori del settore – fino a poco tempo fa – credevano di poter contare su una proroga fino al 2033, quindi hanno fatto una serie di investimenti importanti, costruendo anche infrastrutture complementari come i camping”.

La soluzione per intervenire in maniera concreta ed efficace su questa complessa questione, secondo Amenta, è sostanzialmente una. “Bisogna lavorare su due livelli – spiega il presidente di Anci Sicilia – per accelerare la mappatura delle coste siciliane e la redazione dei Piani di utilizzo del demanio marittimo. Allo stesso tempo è necessario verificare qual è il prezzo delle concessioni, quindi quando si paga per l’affitto del demanio e stabilire come far ‘uscire’ le imprese dal vecchio modello gestionale. Inoltre, nei bandi che saranno stilati, si dovrà considerare l’opportunità di tutelare gli investimenti che sono stati fatti, accompagnando alla ‘chiusura’ quelle concessioni a cui mancano uno o due anni”. I temi sollevati dal presidente di Anci Sicilia, d’altra parte, avranno un ruolo importante. A cominciare dalla mappatura, vero e proprio oggetto del mistero, ma che è indispensabile per programmare qualsiasi mossa e per procedere all’applicazione della stessa direttiva Bolkenstein.

Sulla questione è intervenuta anche Federconsumatori Sicilia, tramite il suo presidente Alfio La Rosa

Alfio La Rosa Presidente Federconsumatori Sicilia

L’associazione, oltre a monitorare i prezzi per la fruizione dei servizi sulle spiagge siciliane, tiene d’occhio anche l’azione del Governo regionale, impegnato nella mappatura delle coste siciliane al fine di stabilire il numero e l’estensione delle concessioni da mettere a gara l’anno prossimo, così come previsto dalla direttiva europea. “Questo è un tema delicatissimo e che va affrontato in modo serissimo – afferma Alfio La Rosa – perché in ballo non c’è solo lo sviluppo del turismo, ma anche la tutela dell’ambiente e dei fragili ecosistemi costieri. Chiediamo ufficialmente che la Regione affronti questa fase così importante senza chiudersi nelle stanze del palazzo: i contributi delle associazioni dei balneari, di quelle ambientaliste e di quelle di tutela dei consumatori, come Federconsumatori Sicilia, sarebbero utilissimi per raggiungere velocemente la quadra evitando tanto le speculazioni, quanto le sterili polemiche. Il turismo ci vuole – conclude La Rosa – ma non può essere selvaggio”.

Non meno importante, infine, il tema dei canoni d’affitto. Spulciando i dati disponibili, infatti, emerergono situazioni davvero al limite. Alcuni stabilimenti siciliani corrispondono canoni irrisori: si va da circa due-tre euro al metro quadro, a casi in cui la cifra scenda addirittura sotto un euro. Anche questo, insomma, è un ambito in cui chi le istituzioni competenti dovranno intervenire, modernizzando così il sistema e rendendolo più appetabili ai turisti stranieri.

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