Concessioni balneari, stop proroga anche in Sicilia. La Regione non è al di sopra dell’Ue - QdS

Concessioni balneari, stop proroga anche in Sicilia. La Regione non è al di sopra dell’Ue

redazione

Concessioni balneari, stop proroga anche in Sicilia. La Regione non è al di sopra dell’Ue

venerdì 19 Novembre 2021

A partire dal 1° gennaio 2024 anche nell’Isola si dovrà garantire la concorrenza in conformità alla direttiva Bolkestein

C’è poco da fare. Le concessioni balneari scadranno a partire dal primo gennaio 2024 in tutta Italia, Sicilia compresa. Le due sentenze n.17 e 18 pronunciate lo scorso 9 novembre dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato non lasciano, infatti, spazio alle interpretazioni. Nella prima, peraltro, i giudici amministrativi del massimo grado si sono espressi proprio su un ricorso della siciliana Comet Srl, titolare di una concessione demaniale di cui chiedeva l’estensione fino al 2033 e che già il Tar di Catania aveva rigettato in quanto la legge nazionale è in contrasto con la direttiva 2006/123/CE che stabilisce, all’articolo 12, il principio della “libera circolazione dei servizi tra gli Stati membri”.

“Le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid-19”, ha stabilito il Consiglio di Stato, sono in contrasto con il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e con la direttiva Bolkestein. E “deve escludersi la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo gli attuali concessionari”, i quali potranno partecipare alle gare che dovranno essere bandite.

Quello che emerge dalle due sentenze è che la norma europea è self-executing e dunque l’organo amministrativo non può applicare la norma primaria nazionale o regionale in conflitto con il diritto comunitario. In particolare la legge 145/2018 con cui, in palese contrasto alla legislazione europea, l’Italia ha prorogato di ben quindici anni, cioè fino al 31 dicembre 2033, la validità delle concessioni ai lidi. Un tempo enorme che di fatto continua a negare nel nostro Paese la concorrenza e dunque gli investimenti in un settore strategico come quello del turismo, garantendo rendite di posizione cristallizzate da decenni. Anzi, le pronunce del Consiglio di Stato sono molto più equilibrate di quanto una certa parte politica vorrebbe far credere: i giudici, infatti, sono andati in qualche modo oltre la loro competenza, assumendosi la responsabilità di “concedere” due anni ancora di proroga, fino al 31 dicembre 2023, per consentire “alla pubblica amministrazione di intraprendere sin d’ora le operazioni funzionali all’indizione di procedure di gara”, “a Governo e Parlamento di approvare doverosamente una normativa che possa finalmente […] disciplinare in conformità con l’ordinamento comunitario il rilascio delle concessioni demaniali”, nonché “per evitare l’impatto sociale ed economico della decisione”.

Ma non ci potranno essere più altre “estensioni”, a meno che il nostro Paese voglia andare a scontrarsi a muso duro con l’Ue, rischiando pesanti sanzioni. Dal primo gennaio 2024, si legge in un comunicato, “non ci sarà alcuna possibilità di proroga ulteriore, neanche per via legislativa, e il settore sarà comunque aperto alle regole della concorrenza”. Scaduto tale termine, quindi, “tutte le concessioni demaniali dovranno considerarsi prive di effetto, indipendentemente da se via sia – o meno – un soggetto subentrante nella concessione”.

Questo perché, secondo il Consiglio di Stato, il confronto concorrenziale, oltre ad essere imposto dal diritto Ue, “è estremamente prezioso per garantire ai cittadini una gestione del patrimonio nazionale costiero e una correlata offerta di servizi pubblici più efficiente e di migliore qualità e sicurezza, potendo contribuire in misura significativa alla crescita economica e, soprattutto, alla ripresa degli investimenti di cui il Paese necessita”.

In questo contesto appaiono “temerarie” le dichiarazioni dell’assessore regionale all’Ambiente, Toto Cordaro, secondo il quale la “Regione siciliana ha creato, attraverso una norma proposta dal governo Musumeci e approvata dall’Ars, presupposti giuridici diversi rispetto a quelli di tutte le altre Regioni italiane, essendo l’unica ad avere esteso al 2033 le concessioni demaniali marittime vigenti per legge. Basterebbe già solo questo, oltre al fatto che la Sicilia, Regione a Statuto speciale, ha competenza esclusiva in materia di demanio marittimo, per differenziarsi dal resto d’Italia”.

La norma regionale a cui far riferimento Cordaro è la l.r. 24/2019 che si è limitata a recepire, sic et simpliciter, proprio la legge nazionale “cassata” dal Consiglio di Stato, rispetto alla quale, al tempo stesso, l’assessore invoca l’autonomia speciale della Regione. Una specialità che, però, in questo caso non vale nulla come spiega nell’intervista in pagina il professore Agatino Cariola, ordinario di diritto costituzionale all’Università di Catania: “Le direttive dell’Unione – che il Trattato di Lisbona ha denominato leggi – hanno efficacia in tutto il territorio europeo e valgono per cittadini ed amministrazioni pubbliche, comprese quelle regionali – spiega il professore -. Il Consiglio di Stato ha ancora una volta ribadito il primato del diritto europeo”.

Antonio Leo

Spiagge, fino ad oggi nell’Isola bene pubblico di dominio privato

In Sicilia il 22% delle coste “occupato” dagli stabilimenti: +41% negli ultimi tre anni. Alla Regione 8 mln l’anno dalle concessioni a fronte di un giro d’affari da mezzo miliardo

La liberalizzazione delle concessioni demaniali è la grande occasione che il nostro Paese ha davanti per rendere più sostenibile lo sfruttamento delle sue meravigliose spiagge. Che, va subito chiarito (e purtroppo c’è addirittura bisogno di farlo), non sono un bene “privato”, ma pubblico e dunque va garantita a tutti i cittadini la massima fruibilità, abbattendo quelle insopportabili barriere di cemento che, soprattutto in Sicilia, spesso “nascondono” il mare. Basta fare un giro alla Plaia di Catania per rendersi conto di cosa stiamo parlando.

Nell’Isola, ad oggi, il 22,4% delle coste è occupato dagli stabilimenti balneari, un numero che peraltro non la racconta tutta sulle spiagge vietate ai siciliani. Infatti c’è un altro 21,5% inibito alla balneazione a causa dell’inquinamento (spesso e volentieri legato alla mancata depurazione) e un’altra quota considerevole inaccessibile a causa degli abusi edilizi, sanati e non.

Di fronte a uno scenario del genere, resterebbero pochi lembi di litorale da poter assegnare, visto che quelli disponibili fino ad oggi sono stati concessi con un sistema para-feudale, eppure la Sicilia riesce nell’impossibile e la burocrazia del settore si scopre incredibilmente celere. Negli ultimi tre anni le concessioni demaniali per nuovi lidi hanno conosciuto un vero e proprio boom, passando dalle 438 del 2018 alle 620 di un recente censimento. Una crescita del 41,5%. Tutto questo senza considerare la totalità delle concessioni che riguardano anche campeggi, circoli sportivi e complessi turistici e che fanno lievitare il totale delle autorizzazioni a 5.365.

Numeri che, stando alle ultime stime delle associazioni di categoria, si tramutano in un giro d’affari di mezzo miliardo di euro e 100 mila posti di lavoro soltanto in Sicilia. Ma quanto resta di questo business nelle casse della Regione? In base agli ultimi dati disponibili sul portale del demanio gli incassi ammonterebbero a circa 8 milioni di euro, ma recentemente l’assessore regionale all’Ambiente ha dichiarato che quest’anno, grazie al pagamento di canoni pregressi, si è arrivato a incassare 15 milioni di euro in “un’unica soluzione”.

Si tratta pur sempre di spiccioli rispetto agli introiti del comparto. Ma quanto guadagna un lido in Sicilia? Nell’inchiesta pubblicata lo scorso 24 luglio Alessandro Cilano, presidente regionale della Fiba, la Federazione dei balneari italiani, ci aveva spiegato come “mediamente una concessione di tremila metri quadri costa intorno ai 14/15mila euro annui in Sicilia. Mentre in uno stabilimento, lavorando solo da metà giugno a metà settembre ed essendoci spese notevoli per il montaggio, lo smontaggio, il magazzino e la parte fiscale, su circa 200mila euro di incasso il 50% sono gli utili”.

Insomma, a fronte di un incasso di 200 mila euro, la concessione è solamente di 14 mila euro. Una differenza enorme che sta facendo arricchire pochi e sempre gli stessi imprenditori (che occupano, va detto, legalmente luoghi pubblici).

Ad alimentare questa situazione, che genera naturalmente un aumento spropositato di nuove concessioni e quindi di nuove spiagge occupate, c’è anche il fatto che la Regione siciliana non prevede limiti per le spiagge in concessione. Come invece accade in molte altre regioni italiane che hanno stabilito una quota minima di costa sabbiosa che deve rimanere libera o libera attrezzata. In Puglia, ad esempio, le norme regionali dicono espressamente che il 60% della spiaggia deve essere garantito alla libera fruizione. Cosa impensabile in Sicilia, dove questa percentuale è pari a zero. Per risolvere una situazione così spinosa e delicata, oltre all’applicazione immediata della direttiva Bolkestein sarebbe necessario anche abbandonare i vecchi modi di costruire stabilimenti balneari (riempiendo di cemento le spiagge) per puntare su modelli di gestioni sostenibili del territorio. Modelli che quando applicati, in Sicilia, hanno sempre premiato con riconoscimenti come quelli delle bandiere blu che nell’ultimo anno sono state vinte solo da dieci spiagge (a fronte di una costa sabbiosa di 425 chilometri).

Un esempio da replicare in tutta l’Isola potrebbe essere quello messo in atto a San Vito Lo Capo, nel trapanese. Qui, oltre alle splendide spiagge inserite in un contesto naturalistico di particolare pregio, viene data la massima attenzione alla gestione sostenibile del territorio promuovendo buone pratiche di mitigazione delle pressioni ambientali che possono derivare da un maggiore carico antropico. Inoltre, l’attivazione del Piano di utilizzo del demanio marittimo (ad oggi è l’unico comune siciliano ad avere uno strumento del genere), riconferma la libera fruizione della gran parte delle coste sanvitesi, mentre la rivisitazione del Piano Urbano del traffico ha ampliato le zone pedonalizzate, il potenziamento del servizio gratuito per il collegamento delle spiagge e la realizzazione di nuovi parcheggi scambiatori.

Antonio Leo e Gabriele D’Amico

agatino cariola

Il costituzionalista fa chiarezza

“Non può avvenire in alcun modo che le leggi regionali superino o ignorino quelle europee”

Intervista ad Agatino Cariola, professore di Diritto costituzionale all’Università di Catania: “Si rischia di rendere l’Italia colpevole di fronte all’Ue e la Sicilia poi dovrà risponderne”

Sulla vexata questio delle concessioni balneari in Sicilia e sul palese contrasto tra le norme nazionali e regionali e le disposizioni europee, il Quotidiano di Sicilia ha sentito in esclusiva il parere del professore Agatino Cariola, avvocato e docente ordinario di Diritto costituzionale all’Università degli studi di Catania.
Professore Cariola, è dunque vero che in Sicilia non si applica una direttiva europea in forza di una norma regionale che richiama peraltro una legge nazionale “cassata” dal Consiglio di Stato?
“Come spesso accade, purtroppo, si tende a dimenticare che la Sicilia fa parte dell’Italia e dell’Unione europea. Le direttive dell’Unione – che il Trattato di Lisbona ha denominato leggi – hanno efficacia in tutto il territorio europeo e valgono per cittadini ed amministrazioni pubbliche, comprese quelle regionali. Il Consiglio di Stato ha ancora una volta ribadito il primato del diritto europeo. Nelle vicende decise con le sentenze n.17 e n.18 dello scorso 9 novembre, il punto all’attenzione del Consiglio erano le leggi italiane e regionali che hanno disposte proroghe delle attuali concessioni sino al 2033. Non si può fare differenza tra leggi statali e regionali. Che senso ha dire che una legge nazionale è sbagliata, perché contraria al diritto europeo, mentre possiamo tenerci una legge regionale di eguale contenuto? Debbo ricordare che il contrasto delle leggi con il diritto europeo ha un trattamento diverso rispetto alle altre ragioni di incostituzionalità. Mentre se una norma di legge fosse in violazione di un principio della Costituzione italiana, è obbligo del giudice sollevare il problema davanti la Corte costituzionale, ma la legge trova applicazione sinché non viene dichiarata invalida; nel caso di conflitto tra diritto interno (statale o regionale poco importa) e diritto europeo, quest’ultimo prevale. Ogni giudice – ma anche ogni funzionario amministrativo ed ogni cittadino – applica direttamente e con immediatezza il diritto europeo e disapplica quello interno. Ciò è stato affermato sin dagli anni ’80 dello scorso secolo. Ma allora non vi è spazio per una applicare ancora una disciplina regionale difforme dal diritto europeo”.

Ci conferma che la nostra Regione ha competenza esclusiva in maniera di demanio marittimo?
“L’articolo 32 del nostro Statuto (titolo V, Patrimonio e Finanza) stabilisce che ‘I beni di demanio dello Stato, comprese le acque pubbliche esistenti nella Regione, sono assegnati alla Regione, eccetto quelli che interessano la difesa dello Stato o servizi di carattere nazionale’. È dunque corretto affermare che si tratta di una materia di competenza regionale, ma è altrettanto vero che non si può pensare di applicare l’autonomia di cui godiamo quale regione a statuto speciale semplicemente tardando a recepire le norme statali, come spesso accade. Probabilmente tutti ammettono che i tempi della politica siciliana sono molto più lunghi di quelli utilizzati a livello nazionale. Molte leggi regionali si limitano a distribuire contributo, e quindi hanno un carattere sostanzialmente amministrativo, oppure a recepire leggi statali con pochi adattamenti dovuti a favorire questo o l’altro interesse. In Sicilia presso tanti vi è la convinzione che le leggi statali – per parafrasare un po’ – si applichino solo fino a Villa San Giovanni e che, poiché il Ponte sullo stretto non è ancora stato costruito, esse non possano estendersi nella nostra Isola. Lo Statuto speciale garantisce certamente autonomia alla Regione, ma autonomia significa introdurre discipline innovative nei campi dell’agricoltura e dell’ambiente, della produzione industriale e del commercio, dei beni culturali, degli enti locali, ecc., non ritardare l’applicazione delle leggi statali nella convinzione che queste non si applichino in Sicilia. Anni addietro ho litigato con un assessore regionale il quale riteneva che la definizione della rete sanitaria in Italia non dovesse riguardare la Sicilia, sempre per la solita solfa che siamo regione a statuto speciale. È stato inutile spiegargli che se lo Stato definisce la rete e i cosiddetti standard per il resto dell’Italia, e i siciliani non siamo presenti al tavolo delle trattative, poi troviamo l’assetto già definito e dobbiamo accontentarci di misere briciole. Ma la retorica dell’autonomia speciale è dura a morire. Che non si possano adottare leggi regionali in contrasto con le prescrizioni costituzionali ed europee dovrebbe essere ovvio e scontato”.

Questa competenza supera la legislazione europea?
“Assolutamente no. Non può avvenire in alcun modo che le leggi regionali superino o ignorino quelle di principio nazionali o quelle europee. In merito alle concessioni balneari va detto che già l’Italia è da tempo in difetto, in quanto la pratica italiana della proroga automatica viola le direttive europee in tema di libera concorrenza. Nonostante il Consiglio di Stato abbia scardinato la proroga delle concessioni, anticipandone la scadenza al 2023, ha comunque sancito un termine che va oltre da quelli richiesti dall’Ue, assumendosi così una grande responsabilità. L’Europa, infatti, è nelle piene condizioni di pretendere da noi che le ‘sue’ regole vengano applicate nell’immediato e non da qui a due anni. Va ricordato che il demanio marittimo è un bene pubblico ed è quindi assolutamente ‘naturale’ che si richieda che l’assegnazione di spazi pubblici a fini commerciali debba essere affidata attenendosi a un principio concorrenziale sulla base di bandi di gara. A ritenere che la nostra amministrazione regionale sia svincolata dall’applicazione del diritto europeo si trascura un aspetto di vitale importanza. A ritenere che solo in Sicilia le concessioni siano efficaci sino al 2033, si rischia di rendere l’Italia colpevole di fronte all’Ue per un’ulteriore violazione al diritto europeo. Il che potrebbe implicare a ragione un’eventuale sanzione inflitta al nostro Paese da parte degli organi europei. A sua volta sarà poi la Sicilia a dover rispondere allo Stato. Uno degli aspetti da non trascurare in questa vicenda è il fatto che la sentenza n.17 del Consiglio di Stato trae origine dalla vicenda di uno stabilimento nel territorio messinese sulla quale si era espresso il Tar Catania. C’è da chiedersi, dunque, come si possa dichiarare che un assetto quale quello risultante dalle pronunce del Consiglio di Stato, che trae le sue origini da un caso avvenuto proprio in Sicilia, non debba essere applicato nella Sicilia stessa e che questa possa anzi disporre autonomamente in totale controtendenza rispetto a quanto previsto dal diritto italiano ed europeo”.

Elettra Vitale

Parla Ignazio Ragusa, presidente regionale del sindacato italiano balneari

“Una scelta glacialmente giuridica che non tiene conto delle differenze”

Un incontro con il sindacato nazionale per valutare come muoversi di fronte alla sentenza della Consiglio di Stato. Ignazio Ragusa, presidente regionale del Sindacato italiano balneari è volato a Roma ieri per fare il punto coi colleghi sulle mosse da intraprendere per fare comprendere le ragioni della categoria a Roma.

Le sentenze del Consiglio di Stato numero 17 e 18 del 9 novembre 2021 che fissano a dicembre 2023 le scadenze delle concessioni balneari hanno infatti scatenato le reazioni di chi i lidi li gestisce, spesso da generazioni. “C’è troppo caos – tuona Ragusa -. Quella del Consiglio di Stato sembra una scelta glacialmente giuridica che non tiene conto delle differenze. Non solo tra le imprese ma anche tra i territori”.

Secondo il rappresentante dei balneari, infatti, ci sarebbero alcune questioni non affrontate dalla normativa. Che si spera venga superata dallo statuto regionale. “Non abbiamo avuto la possibilità di confronto con l’assessore regionale per capire quale sia l’orientamento giuridico perché la sentenza venga applicata o meno in Sicilia – continua Ragusa. Certo è che – continua – se la sentenza fosse applicata anche qui in Sicilia, sarebbe devastante per il nostro settore. Non si comprende quale sia il parametro per cui è stato stabilito in due anni il termine di scadenza delle concessioni, quando si parlava di 15 anni. Occorre infatti tempo per accompagnare verso il cambiamento le aziende e le amministrazioni affinché possano creare una procedura corretta” – dice ancora -. Il settore sarebbe stritolato dalla burocrazia, secondo Ragusa, che avrebbe voluto uno snellimento di questa. “E invece – prosegue – se le cose resteranno così, saranno poche le aziende che riusciranno ad adeguarsi alla nuova normativa. E fioccheranno i ricorsi”.

Uno degli aspetti che fa infuriare maggiormente i sindacati è la questione legata ai canoni, che sarebbero troppo bassi. “In realtà cambiano da zona a zona – sottolinea ancora il gestore – e sono comunque scelte dell’imprenditore. Per questo vogliamo conoscere la ratio di questa norma sui canoni, dove si vuole arrivare – dice ancora. Bisogna diversificare le zone e tenere presente la situazione economica e territoriale differente da regione a regione”.

Insomma, secondo il sindacato catanese, non è questo il modo per garantire la concorrenza “che non può essere valutata solo sul fattore economico ma anche sui progetti, sui servizi e soprattutto sull’affidabilità dei gestori stessi – conclude -. La nostra paura è che le aziende non riescano a mettersi in regola oppure, cosa ancora peggiore, che l’imprenditore riversi gli aumenti sull’utenza”.

Melania Tanteri

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