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Cosa significa fare il sindaco

redazione

Cosa significa fare il sindaco

Salvo Fleres  |
mercoledì 17 Aprile 2024

Fare il sindaco non può assolutamente rappresentare un’aspirazione individuale

Fare il sindaco del proprio comune costituisce una delle cose più belle che possa mai accadere a una persona che abbia a cuore le sorti della città in cui vive e dei suoi cittadini, soprattutto se si tratta di persone che, per la loro storia e per il loro carattere, meriterebbero di meglio. Tuttavia, fare il sindaco non può assolutamente rappresentare un’aspirazione individuale, guai se lo fosse, poiché in quel caso non si tratterebbe di servizio verso il prossimo, ma di interesse verso se stessi e le proprie ambizioni, che potrebbero non avere nulla a che fare con le esigenze generali.

Quindi, fare il sindaco deve significare riuscire a divenire il punto di convergenza di un’aspirazione collettiva e soprattutto di un progetto condiviso, che veda insieme cittadini e organizzazioni rappresentative di gruppi e categorie sociali, pronti a costruire, insieme, il bene comune, cioè quello di tutti e di ciascuno.

Quando registro l’affannarsi di questo o di quell’esponente politico che, spesso sgomitando senza motivo, annuncia la propria candidatura provo amarezza e sconforto, così come provo sconforto quando la candidatura è sostenuta da tanti “Io” e da pochi “Noi”, o, peggio, da tanti “conti” strampalati e senza “l’oste”.

Se poi l’ipotesi della candidatura riguarda una città carica di ogni genere di problema, con le casse vuote, con poco personale e con tanti debiti, penso che non si debba puntare a una candidatura di parte o di partito, ma a una candidatura che sia espressione di un’ampia platea di “parti” ragionevoli e convergenti. Una platea tanto ampia da raccogliere un consenso che vada oltre le divisioni e che punti alle soluzioni, senza che questo sfoci nella cieca protesta, nel qualunquismo o nel “tanto peggio, tanto meglio”. Anche perché le soluzioni alle quali si dovrebbe fare riferimento, ma di cui nessuno parla, saranno decisioni, prevalentemente, difficili e dolorose, ma potrebbero essere anche innovative, originali ed entusiasmanti.

Il sindaco di una città del genere deve essere pronto a dire parecchi “No” alle questioni di piccolo cabotaggio, ma non deve aver paura di dire “Sì”, se sono davvero utili, a soluzioni mai esplorate, anche se, sulle prime, possono apparire inarrivabili. Il sindaco di una città del genere deve guardare ai problemi che affliggono quotidianamente i suoi abitanti, in modo particolare quelli che stanno peggio, gli emarginati, gli ultimi, quelli che sono senza casa o senza lavoro, ma deve anche avere la capacità di immaginare il futuro, restando con i piedi per terra, e soprattutto avendo chiari alcuni concetti:

  1. è il comportamento di tutti che determina il comportamento collettivo dei singoli e dell’amministrazione pubblica, ma anche viceversa;
  2. nel governo di un territorio non esistono cose che non costano ma, proprio per questa ragione, non bisogna assolutamente sprecare le risorse di cui si dispone, né bisogna tenere atteggiamenti irrispettosi dei beni comuni;
  3. la qualità delle persone si misura con la loro competenza e con la loro onestà intellettuale, non con l’appartenenza;
  4. le regole servono per far funzionare meglio la vita di ciascuno e quella delle istituzioni, poiché, come diceva Filippo Turati, “i treni non servono per i ferrovieri ma per i passeggeri”.

Si tratta di concetti semplici ma che, forse per questo motivo, talvolta si dimenticano, preferendo ad essi questioni che meglio si attaglierebbero alle conversazioni da Bar dello sport, in cui la politica viene trattata come un incontro di braccio di ferro. Il governo della città non è né un problema di aspirazioni personali, né di attese messianiche, né di irresponsabilità individuale e di responsabilità collettiva, né di “ma forse”, né di “ma se”, né di “non mi riguarda”, bensì è un problema di tanto lavoro fondato sul buonsenso, sul rispetto reciproco, sulla partecipazione di tutti.

Certo, non sempre è conveniente pensare a tutte queste cose, soprattutto se si vive in una città sporca, che non induce alla pulizia, in una città poco efficiente, che induce alla “furbizia”, in una città caotica, in una città disorganizzata, in una città in cui si è perso il senso del diritto e lo si è sostituito con la ricerca del favore e del consenso che vi è collegato. La strada è lunga e difficile, ma non bisogna assolutamente perdere le speranze, né essere pessimisti o cadere nello sconforto, anche perché non ho mai visto un pessimista raggiungere un obiettivo.

Ciò premesso, W Catania e W i catanesi ai quali auguro, con tutto il cuore, di riuscire a “partecipare per cambiare”.

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