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Covid, l’esperto, “Non somministrare vaccini diversi”

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Covid, l’esperto, “Non somministrare vaccini diversi”

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giovedì 21 Gennaio 2021

Il professore Vincenzo Restivo, ricercatore in Igiene e Medicina Preventiva dell’Università di Palermo e dirigente medico dell’ambulatorio vaccinale anti Sars Cov-2 del Policlinico di Palermo, ci aiuta a sciogliere qualche dubbio.

Prosegue il percorso di approfondimento del QdS.it sui
vaccini anti Covid; in questo articolo parliamo dei fatti più recenti che hanno
riguardato la Pfizer, la casa
farmaceutica che ha messo per prima in commercio il vaccino contro il Covid-19, ma non solo. Il professore Vincenzo Restivo, ricercatore in Igiene
e Medicina Preventiva dell’Università di Palermo e dirigente medico
dell’ambulatorio vaccinale anti Sars Cov-2 del Policlinico di Palermo, ci aiuta
a sciogliere qualche dubbio.

Vincenzo Restivo

Cominciamo col cercare
di capire cosa succede a chi ha fatto la prima dose e non riesce a coprire il
percorso vaccinale con Pfizer.

“Siamo ancora in tempo per potere evitare questa evenienza. L’obiettivo
principale è quello di ridurre al minimo questa possibilità. Ma se dovesse
accadere che qualcuno rimanga scoperto secondo le indicazioni attuali, non si
possono somministrare vaccini diversi e quindi chi ha iniziato con un ciclo
deve terminare con lo stesso tipo di vaccino. Per tale ragione o si attende la
seconda fase di produzione o in alternativa si inizia con un’altra tipologia,
opzione possibilmente da evitare”.

Quali le prossime
categorie che verranno vaccinate?

“Secondo il Piano della campagna vaccinale promossa dal
Ministero della Salute, ultimate le vaccinazioni dei sanitari e delle RSA, le
prossime categorie saranno i pazienti “fragili”, ovvero coloro che svolgono i
servizi di pubblica utilità, le forze dell’ordine, gli operatori scolastici nonché
gli ultraottantenni e i soggetti con comorbidità”.

I cittadini che di
volta in volta verranno coinvolti nei diversi passaggi della campagna vaccinale
come verranno informati e cosa dovranno fare?

“È necessaria un’azione di coordinamento centrale; mi
riferisco alle Regioni che hanno gli strumenti per entrare in possesso di
informazioni che consentono di raggiungere il target interessato. Ad esempio si
potrebbe arrivare ad una lista dei fragili attraverso i dati sanitari dei
soggetti con esenzioni per patologia; quest’azione eviterebbe confusione,
incomprensioni o accesso improprio alla vaccinazione”.

Può succedere che si
verifichino casi di persone allergiche che si scoprono tali, inaspettatamente,
solo dopo avere fatto il vaccino.

“I soggetti che presentano allergie o altre problematiche
verranno indirizzati verso quei centri in grado di gestire eventuali
problematiche di questo tipo. Bisogna precisare che i soggetti poliallergici
vengono prontamente riconosciuti grazie all’anamnesi preventiva ante vaccino. Se
somministrare la prima o la seconda dose di vaccino a questi soggetti è una
decisione da valutare caso per caso; è necessario infatti analizzare la
reazione avversa anche successivamente cercando di approfondire la/le causa/e
se dovuta a sostanze presenti nel vaccino o ad altre circostanze anche di
natura non biologica. Sì perché anche i fattori psicologici possono contribuire
ad avere degli effetti inaspettati, soprattutto per chi non è abituato a
vaccinarsi.

In ogni caso bisogna sempre tenere presente la valutazione rischi/benefici.
Il rischio di non fare una seconda dose di vaccino cambia in base al soggetto,
ad esempio, se si tratta di un operatore sanitario che lavora in un reparto
Covid non fare una seconda dose di vaccino può essere una soluzione solo nel
caso in cui si ha una reazione gravissima ad uno dei componenti del vaccino
stesso. Solo in questo caso si può pensare di somministrare un differente
vaccino e avviare quindi un nuovo ciclo vaccinale”.

Entreranno in gioco i
medici di famiglia?

“Il medico di famiglia per ovvie ragioni conosce meglio di
chiunque altro il paziente o soggetto da vaccinare. Alcuni di essi inoltre, già
collaborano alla campagna vaccinale antinfluenzale e pertanto la loro
esperienza, a rigor di logica, consentirebbe una iniziale attività di screening
individuando i soggetti che per qualsiasi motivo hanno un rischio maggiore di
reazione avversa, così da indirizzarli nei centri qualificati in grado di trattare
con maggiore sicurezza questi soggetti”.

Per i giovani al di
sotto dei 16 anni che vanno a scuola e dunque potenzialmente esposti
all’infezione è previsto prossimamente un vaccino?

“La popolazione più giovane attualmente viene esclusa dalla
vaccinazione in quanto a minor rischio di contrarre una forma grave della
patologia; tuttavia se l’obiettivo però è quello di eradicare la patologia, scopo
di tutte le campagne vaccinali, in futuro presumibilmente si penserà di
vaccinare anche questa fascia di popolazione.  Studi recenti confermano questa tendenza”.

Perplessità e
resistenze da parte delle donne che allattano o in gravidanza.

“I vari report dell’ISS si focalizzano sulle donne in
allattamento e ne incoraggiano la vaccinazione parimenti ad altre vaccinazioni
che vengono eseguite in questa fascia di popolazione. Anche se c’è una carenza
di dati scientifici, la valutazione va fatta caso per caso utilizzando sempre
il criterio rischio/ beneficio; qual è il rischio a cui espongo il soggetto se
non la vaccino? Contrapposto il beneficio che potrebbe avere se fosse
vaccinata. Un operatore sanitario esposto al virus e che allatta va vaccinato,
perché il beneficio è maggiore rispetto al rischio. Più delicata la situazione
per le donne in gravidanza; si tratta di raccogliere in maggior misura dati
scientifici; questo consentirebbe di estendere anche a loro il vaccino, con gli
stessi standard di sicurezza ed efficacia, così come avviene con altre
vaccinazioni, vedi quella antinfluenzale”.

Infodemia e fakenews:
secondo lei hanno condizionato quella parte di cittadini che oggi hanno paura e
forti perplessità verso il vaccino anti Covid?

“Informarsi e discriminare le notizie corrette da quelle no, ormai è diventato un compito arduo data la grande quantità di informazioni disponibili e la facilità dei mezzi per poterle raggiungere. Compito precipuo di chi informa la popolazione è quello di istruirla in modo corretto; il metodo potrebbe essere quello di selezionare le fonti mantenendo un approccio neutrale e privo di pregiudizi. La mancata corretta informazione porterebbe a chi è lontano dal mondo vaccinale, dubbioso e che ha paura a non vaccinarsi e questo bisogna evitarlo; ultimo ma non ultimo, finalmente abbiamo un’arma a disposizione che potrebbe ridurre drasticamente la diffusione del virus e sarebbe un crimine non utilizzarla per paura o peggio per la diffusione di informazioni fuorvianti”.

Veronica Gioè

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