“La destra europea? Non vuole governare, l’obiettivo è vincere la battaglia culturale” - QdS

“La destra europea? Non vuole governare, l’obiettivo è vincere la battaglia culturale”

redazione

“La destra europea? Non vuole governare, l’obiettivo è vincere la battaglia culturale”

Giuseppe Paternò Raddusa  |
venerdì 15 Marzo 2024

Intervista a Francesco Cancellato, giornalista e autore del libro “Nel Continente nero”

“Incontri” è il titolo di una nuova rubrica del QdS in cui a raccontarsi sono personaggi di spicco della nostra contemporaneità. Francesco Cancellato, direttore di Fanpage.it, è il primo ospite che intervistiamo. Il giornalista è autore di Nel continente nero. La destra alla conquista dell’Europa (Rizzoli, 2024), un saggio in cui ricostruisce, tra luci e ombre, la salita al potere delle Destre in Europa, in vista delle imminenti elezioni. Sullo sfondo, un pensiero, che è anche il fantasma di un antico murales in via Merulana, a Roma: Costruire un ordine è più importante che conquistare il potere.

Alle destre sembra interessare di più il controllo sul senso comune che il trionfo elettorale. Il potere di una volta è passato di moda?
“Non è che il vecchio potere non vada più di moda, no; è che queste destre hanno molto più consenso del potere che hanno”.

Cioè?
“Non governano praticamente da nessuna parte, tranne che in Italia e in Ungheria. Governavano in Polonia, sono junior partner di governo in Olanda, in Finlandia, hanno l’appoggio esterno in Svezia, e poi ci sono realtà come Rassemblement National (ex Front National), il primo partito francese, che non ha mai governato in Francia, AfD (Alternative für Deutschland, partito di estrema destra tedesco) in Germania, secondo partito tedesco che non ha neanche un Lander in tutto il Paese, Vox che in Spagna è junior partner del Partito Popolare…”.

Perché governano così poco?
“La domanda giusta dovrebbe essere: ma loro vogliono davvero governare?”.

Non ho capito, in che senso?
“Mi viene in mente il Pd, in Italia, il partito degli adulti nella stanza che governa anche quando non vince le elezioni. Queste destre invece non governano nemmeno quando vincono. Il Partito dei democratici svedesi (note dell’intervistatore: a dispetto del nome, parliamo di populisti di estrema destra) è il secondo partito del Paese, ma si limita a fare da appoggio esterno a una coalizione di altri partiti di destra”.

Qual è la logica?
“La loro logica è un’altra: costituire un ordine, più che conquistare il potere. Loro stanno costruendo una battaglia culturale, in molti casi la stanno già vincendo, per orientare le politiche dei popolari e governare di fatto per procura”.

Questo fatto del governare per procura torna spesso, nel tuo saggio…
“Tra l’altro non lo dico io. Lo diceva Alan de Benoist quarant’anni fa, lo conferma Steve Bannon parlando di Vox in un’intervista a El País nel 2019, quando sostiene che l’obiettivo del partito non è governare, è spostare l’asse politico a destra”.

Cosa vogliono le destre?
“Vogliono vincere una battaglia culturale e orientare le politiche da fuori. Sono due strategie che non confliggono – ovviamente tengo fuori Ungheria e Polonia, lì è un’altra storia”.

Nel suo saggio c’è spazio ai Le Pen nelle diverse fasi della loro storia di partito. Si passa dalle frasi filo-naziste di Jean-Marie a Marine che cita De Gaulle…
“Con loro vedi tutte e due le strategie. Dal boom del 2002 questi scivolano in una sconfitta eclatante come quella alle presidenziali contro Sarkozy. La destra di Jean-Marie Le Pen aveva tutte le carte in regola per fare incetta di voti: eravamo a cavallo tra attentati di Al Qaeda, rivolte nelle banlieu… eppure non vincono”.

Perché?
“Perché Sarkozy vince prendendo le loro parole d’ordine. Sdogana, in senso comune e più presentabile, le loro idee. Da allora inizia il crollo dei gollisti, che non vincono più: nel momento stesso in cui accettano le parole d’ordine del Front National, vincono ma scompaiono”.

E arriva Marine Le Pen.
“Oggi lei occupa quello spazio politico, riprendendosi parole d’ordine, e lo fa legittimamente; ma nello stesso tempo lascia spazio a destra per una nuova forza, quella estrema di Éric Zemmour. E se la destra di Zemmour è quella più estrema, vuol dire che Marine Le Pen…”.

…è diventata la destra presentabile.
“E ‘rischia’ di vincere le prossime presidenziali, almeno secondo quanto dicono i sondaggi”.

La destra moderata si sacrifica inconsapevolmente.
“In Francia; in Italia Silvio Berlusconi le ha sdoganate. Nel ‘94 mette insieme il Partito Popolare e la Lega, che oggi sta con Identità e Democrazia (un gruppo politico sovranista di destra ed estrema destra del Parlamento europeo, nda)”.

Il talento di alcune destre di intercettare diverse crisi sistemiche non solo a livello nazionale, ma anche a livello internazionale, come se ci fosse un filo invisibile che collega Paesi diversi… è un talento che secondo lei durerà a lungo?
“Non è un talento, è un disegno. Succedono due cose, a livello internazionale: la prima, nel 2014, è l’invasione della Crimea e l’isolamento di Putin da parte dei partiti dell’establishment. Putin cerca altri interlocutori, fregandosene che siano di destra o sinistra: Michael Carpenter, ex consigliere di Biden quand’era vice-presidente, ci dice che provano a finanziare Tsipras, il M5S, la Lega … e trovano corrispondenza soprattutto con la destra, perché a destra attecchisce molto di più l’ideologia euro-asiatica, profondamente reazionaria”.

E la seconda cosa?
“C’è il take-over del Partito Repubblicano con Donald Trump, che nei fatti ha tra i suoi obiettivi quella di costruire una sorta di Internazionale dei conservatori, che ha in Steve Bannon il principale ideologo. L’obiettivo di questa Internazionale non è comandare il mondo; è de-strutturare l’Ue e la visione progressista che porta avanti in tema di diritti civili, di cambiamento climatico, di integrazione…” .

Perché?
“L’Unione Europea è il contesto più progressista esistente al mondo. De-strutturarla significa distruggere il ‘nemico ideologico’”.

L’oligarchia è un tema – il controllo da parte degli orbaniani di gran parte dei media, attraverso per esempio. In generale lo è il tema dei media, pensiamo in Francia al rapporto tra Vincent Bolloré e Zemmour. In Italia cosa possiamo aspettarci?
“Ricordo che in Italia abbiamo avuto un presidente del Consiglio che è stato un tycoon dei media. Che ci aspettiamo? Il tema è che c’è un’erosione dei media indipendenti. Ci sono dei miliardari, che di mestiere non fanno gli editori e usano i media per promuovere i loro interessi. Quando questi interessi collimano con quelli delle destre, in un Paese come l’Ungheria c’è una saldatura totale tra media e governo. Il governo invita alle conferenze stampa solo i media amici, gli oligarchi comprano pubblicità solo sui media governativi… Viktor Orbán per esempio li utilizza anche per espandere le sue idee anche al di fuori dall’Ungheria. Gioca una partita continentale”.

Stanno succedendo cose un po’ strane, negli ultimi giorni. Parlo di Jorit, e di Putin…
“Man mano che Trump torna all’orizzonte, Putin smette di essere l’amico tossico e torna a essere qualcuno da stimare. Ma se la vittoria di Trump vorrà dire meno soldi e non più armi all’Ucraina, i nostri Paesi saranno chiamati a fare una scelta. Mettiamo noi quelle armi? Se lo faremo, le nostre opinioni pubbliche saranno contente di vedere che i nostri soldi li togliamo a scuola e sanità per armare l’Ucraina? Quanto la pressione dell’opinione pubblica e di alcune forze politiche che si faranno portavoce del dissenso a un certo punto non diventeranno maggioritarie? Kiev non avrebbe alleati, né armi. E sarebbe costretta a sedersi al tavolo con la Russia, che avanzerebbe pretese territoriali ancora più estese. Putin vrebbe vinto la guerra, e qualcuno potrebbe dire: forse abbiamo sbagliato a combatterlo. Forse non era così male”.

In che modo gli elettori di centro-destra possono avvicinarsi a Nel Continente Nero senza sentirsi in colpa, o sotto pressione?
“Un elettore di centro-destra italiano è un elettore che ha già fatto conoscenza con un certo mondo. Ha votato coalizioni in cui c’era una fiamma tricolore, o partiti vicini a Putin. È un elettore che si chiede: perché la chiamate estrema destra, se da noi guida città e regioni, se è stata al governo e non siamo diventati una dittatura? Io non sono andato a cercare le radici di queste destre, ho alzato lo sguardo e ho allargato la visuale. Tutto quello che racconto in questo libro lo racconto attraverso fatti, attraverso le voci di studiosi e giornalisti indipendenti. Questo non vuol dire che il mio sia un libro per dire: non votate a destra. È un libro che fa capire che quella macchina politica che sta crescendo tantissimo, negli ultimi venticinque anni, non l’abbiamo vista arrivare, perché non governava nulla. Ora che si presenta in maniera così compatta, qualcosa cambia”.

Qualcuno dirà: perché non fa anche un libro sulla sinistra?
“Magari il prossimo. In questo momento, anche alla luce delle prossime europee, il fenomeno politico emergente è un altro”.

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