Il dovere di studiare, basta fuoricorso - QdS

Il dovere di studiare, basta fuoricorso

Carlo Alberto Tregua

Il dovere di studiare, basta fuoricorso

mercoledì 16 Novembre 2022

Serve Università meritocratica

Come è noto, in Italia vi è una carenza di laureati rispetto alla media europea. Tale carenza aumenta se si analizzano i dati delle regioni del Sud.
Molti ragazzi non vanno all’Università perché non hanno la possibilità di sostenersi, né le loro famiglie li possono sostenere. Per questo servirebbero borse di studio in quantità sufficiente, in modo che il deprecabile gap indicato non si verifichi.

Però questo non è il solo problema; ve ne è un altro di ordine generale e cioè che non sempre si ritiene utile la laurea per trovare occupazione. Ma non è vero, perché il laureato che ha assorbito sufficienti competenze teoriche può più facilmente introitare quelle pratiche.
Certo, il metodo adottato nelle nostre Università pubbliche non aiuta molto a raccordare quanto si apprende con il mondo del lavoro, contrariamente a quanto avviene nelle Università private italiane e in genere negli Atenei degli altri Paesi europei. Per conseguenza, i nostri giovani partono con un handicap.

In Italia, viene lamentato da sindacati, associazioni private e gruppi vari la carenza di lavoro. Non è così: vi è un grande buco di competenze. Il nostro QdS ha pubblicato fino a oggi, solo in Sicilia, oltre 23.000 offerte di lavoro da parte di imprese che non trovano copertura.

Le associazioni nazionali di autotrasporto comunicano che i loro aderenti cercano oltre ventimila autisti di tir. Si tenga conto che lo Stato finanzia il corso per prendere la relativa patente.
Non parliamo di chimici, informatici, fisici, geologi e altri, richiesti dal mercato che non li trova. Quindi vi è uno scollamento fra domanda e offerta di lavoro che le Università non riescono a colmare.

Vi è poi un altro guaio e cioè che molti giovani si iscrivono alle Università italiane per “parcheggiarsi”, in quanto è loro consentito di non darsi le materie nell’anno di competenza e di posporre gli esami negli anni successivi. A forza di comportarsi in questa maniera, i giovani diventano “fuori corso” e restano nelle facoltà per dieci anni e forse più: uno sconcio tutto italiano.

Nelle Università europee vi è serietà, nel senso che i giovani devono completare il loro corso di studi nell’anno e non possono passare a quello successivo se non lo hanno superato in modo adeguato.
Non solo, ma, per esempio in Svizzera, oltre a fare esami semestrali, non si può ripetere un semestre più di due volte, pena l’espulsione dall’Università scelta.

I fuori corso, mi ricordo, firmavano il cosiddetto “papello”, cioè una sorta di certificato alle matricole pagato con consumazione ai bar durante le feste della matricola. Erano più preziose le firme dei fuori corso di dieci/quindici anni.
Ora, nonostante siano passati sessant’anni da quando mi sono laureato, i fuori corso sono rimasti e anche oggi se ne annoverano migliaia.
Questo lassismo è un’ulteriore testimonianza che non sempre si affrontano le prove con la necessaria volontà di superarle, il che non certifica il buon funzionamento del nostro Paese.

In questo quadro, con una certa frequenza, scoppiano gli scandali dei concorsi nelle diverse Università, ove il familismo è molto diffuso.
I concorsi, così come sono oggi organizzati, in effetti non selezionano i giovani e i professori, ma fanno progredire gli insegnanti in base alla loro appartenenza alle correnti.

Nel mondo anglosassone non ci sono concorsi perché le Università si autosostengono finanziariamente e assumono i professori che ritengono migliori. A loro volta questi chiamano i giovani ricercatori che ritengono eccellenti, trovando il consenso dei consigli di amministrazione universitari.

A prima vista questo meccanismo potrebbe sembrare arbitrario, ma non lo è perché è misurato dal merito. Infatti se non arrivano i risultati, sia dei professori che dei loro discenti-ricercatori, l’Università licenzia gli uni e gli altri. Ovviamente i risultati debbono essere validati da organismi terzi e non da colleghi.
Non sappiamo se il neo ministro dell’Università vorrà riformare la stessa in senso meritocratico. Attendiamo con fiducia.

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