Due pesi e due misure, caso Sicilia e operazione Pandora

Due pesi e due misure

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Due pesi e due misure

Giovanni Pizzo  |
sabato 20 Aprile 2024

La poca attenzione alle maxi operazioni antimafia che hanno coinvolto esponenti della politica siciliana è la dimostrazione che "La Sicilia non fa notizia". Il commento.

La Sicilia forse non fa più notizia, evidentemente, perché mentre per Bari si è mosso il mondo per sciogliere il Comune, a causa della consigliera comunale indagata, a Palermo per un caso più eclatante, di vice presidente di Regione, Piantadosi non muove nemmeno un sopracciglio. Anche per capire come mai un’indagine duri 9 anni, e non nove mesi. Come fosse una pratica di accatastamento. È la vecchia regola dei due pesi e due misure o c’è dell’altro?

Certamente il Governo regionale non è ostile a quello nazionale, ma perché questa disparità? Intanto cominciamo a dire che le regole per sciogliere i Comuni infiltrati da fenomeni mafiosi sono codificate e utilizzate da tempo, mentre per le Regioni, enti di secondo livello, non ci sono norme specifiche e precedenti in materia. Ci fu il caso della Val d’Aosta, infiltrata dall’Ndrangheta, ma nemmeno lì si arrivò, nonostante le indagini abbiano appurato che ben tre presidenti di regione erano stati eletti con il voto della ‘ndrina locale, allo scioglimento per decreto ministeriale dell’ente regionale.

Ma quello che si evince è più una rassegnazione mediatica, la Sicilia non fa più notizia, per metterla in prima pagina ci vorrebbe qualcosa di mostruoso ormai, e non ce lo auguriamo minimamente. Siamo considerati ormai, dal resto del Paese, come una comunità irredimibile e pertanto lasciati in balìa di noi stessi, alla nostra sensibilità. Che onestamente è ormai rarefatta, abbiamo perso pure il gusto dello sdegno, dell’incredulità, dello stupore.

Sembra che diamo per scontato che la politica sia appannaggio ormai esclusivo di metodi non ortodossi, e sotto scopa permanente della magistratura inquirente, che ci tiene a bagnomaria per anni, mentre enti vengono amministrati, voti raccolti, carriere costruite, maggioranze cambiate. Tutti intercettati, spiati, interdetti, a volte arrestati, sospesi, nel pieno rispetto e nella fiducia, chiaramente fasulla, dell’operato della magistratura. La parola più abusata è serenità, sono sereno che la mia estraneità sarà riconosciuta, ogni volta che viene usata aumenta il conto in banca di qualche penalista. Ed evidentemente sereni sono anche i cittadini, i quali vanno a votare sempre meno, e sempre meno credono che la politica cambi le loro speranze. Ma può la politica cambiare la vita ad altri quando non cambia i propri comportamenti?

Non c’è in Sicilia una questione morale, ma ontologica, deontologica nemmeno a parlarne, e forse pure antropologica. Siamo malati di cristianità, non quella della catechesi, ma quel sentimento che ci fa accordare con chi conta, con chi ha un potere intimidente o sopraffacente, l’homo cristianus, inteso come mafioso. Questo si evince dalle dinamiche di Paternò e Tremestieri, l’aderenza, la contiguità, l’approccio non rifiutato. Salvo poi votare all’unanimità magari i fondi ad associazioni antiracket. Un’ipocrisia consapevole. Sentire Claudio Fava, ex presidente della Commissione Antimafia, descrivere la realtà attuale ti dà un senso di tristezza infinita. C’è stato un momento, dopo il 1992, in cui il gabbiano di una Sicilia che si liberava da logiche ataviche sembrava che prendesse il volo. Poi quel sogno di volare, come disse Gaber, si è rattrappito, e siamo rimasti terra terra, intrisi del fango di un’esistenza senza redenzione. La musica di riscatto è finita, e gli amici, i nostri figli, i ragazzi, se ne vanno da questa isola. E continueremo a vedere solo crozze supra nu cannuni, con qualcuno che si ostina a cantare trallallero trallallà.

Foto della recente operazione Athena

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