Etna, la cenere lavica, da problema a risorsa - QdS

Etna, la cenere lavica, da problema a risorsa

Pietro Crisafulli

Etna, la cenere lavica, da problema a risorsa

lunedì 15 Marzo 2021

Parla la professoressa Loredana Contrafatto, tra le maggiori studiose del settore. Il progetto Reucet dell’Università di Catania e il vantaggio ambientale dall’utilizzo di questi materiali in edilizia

I parossismi dell’Etna che si susseguono dalla metà di febbraio hanno riversato in queste settimane sui centri pedemontani del vulcano una incredibile quantità di cenere e lapilli, provocando considerevoli disagi, in particolare a quelle Amministrazioni comunali costrette a liberare con grande celerità strade e piazze per evitare incidenti.

La Regione Siciliana ha già dichiarato lo Stato di emergenza, chiesto al Governo nazionale quello di calamità e stanziato per fronteggiare la situazione nell’immediato un milione di euro. Che secondo molti non basterà perché i cosiddetti prodotti piroclastici dell’Etna, lanciati a chilometri di altezza dal cratere di Sud est come ben evidenziato nella foto di Orazio Valenti, vanno conferiti in discarica, con un costo molto alto.

La classificazione come rifiuto

E questo perché, come ci spiega Loredana Contrafatto, docente del Dipartimento d’Ingegneria Civile e Architettura dell’Università di Catania, cenere e lapilli rimossi e raccolti con mezzi meccanici sul suolo pubblico, hanno una particolare classificazione in base a una disposizione del 2009 del Commissario Delegato per l’Emergenza Rifiuti.

La professoressa Contrafatto

“I prodotti piroclastici – afferma la professoressa Contrafatto, tra l’altro responsabile del Progetto Ripe (Riciclo di Piroclasti dell’Etna nella produzione di materiali e manufatti edili) – sono classificati con il codice Cer (Catalogo europeo dei rifiuti ndr) numero 200303, che definisce il rifiuto municipale. Ma sono qualitativamente identici a quelli raccolti nelle proprietà private. Per fortuna una misura transitoria del 2014 mai annullata consente di riclassificare la cenere raccolta dai Comuni con Cer 170504, cioè come ‘terre e rocce non contenenti sostanze pericolose’. A patto che superi alcune analisi”.

Differenze tra privato e pubblico

Insomma, se il privato può, come avvenuto a Catania, raccogliere la sabbia vulcanica avviandola al circuito di recupero, lo stesso materiale raccolto dagli enti locali sulla strada deve essere conferito in discarica. A meno di non ricorrere alla misura transitoria appena citata, che però comporta la sistemazione della cenere in un deposito in attesa delle analisi.  E questo, sottolinea la docente, “con oneri economici elevati e occupazione ingente di spazi”

Eppure, come spesso avviene, il problema potrebbe mutarsi in risorsa. Infatti, non solo molti ipotizzano di impiegare la cenere come fertilizzante in Agricoltura, ma il problema del riutilizzo della cenere vulcanica è già da anni oggetto di indagine sperimentale nell’ambito di progetti sviluppati dal Dipartimento di Ingegneria Civile dell’ateneo catanese.

Il progetto Reucet

Un cumulo di cenere lavica
Macchina per la prova di compressione delle malte
Loredana Contrafatto
Materiale piroclastico in un setaccio
Provino di calcestruzzo con sostituzione

In particolar modo attraverso il progetto Reucet
(Recupero e utilizzo delle ceneri vulcaniche etnee), coordinato dal prof. Paolo
Roccaro, e con docente responsabile la prof. Contrafatto nell’ambito del Bando
per il cofinanziamento di progetti finalizzati allo sviluppo di nuove
tecnologie di recupero, riciclaggio e trattamento dei rifiuti del Ministero dell’Ambiente.

“Il progetto – spiega Loredana Contrafatto – ha visto la collaborazione, con altri Dipartimenti dell’Ateneo, dell’area di Chimica e Geologia. Sono state investigate diverse possibilità di riciclo della cenere e dei lapilli dell’Etna: dall’impiego nel calcestruzzo, nelle malte, negli intonaci isolanti, alla realizzazione di prodotti laterizi tradizionali, a sottofondi stradali, fino a soluzioni in cui viene utilizzato come adsorbente con finalità di riduzione dell’inquinamento”.

Risultati incoraggianti

“In ognuno di questi ambiti – afferma la studiosa –
sono stati ottenuti risultati soddisfacenti e incoraggianti”. 

Secondo Loredana Contrafatto – autrice di un
corposo capitolo su questo argomento in un volume a più mani che sta per uscire
per Elsevier, una delle più prestigiose case editrici di ambito scientifico
internazionale – “un trenta per cento delle ceneri di molti vulcani del mondo,
ridotto a granulometrie finissime, può sostituire, nel calcestruzzo e nelle
malte cementizie, il cemento Portland”.

“E, in questi casi, il vantaggio ambientale della riduzione di produzione di cemento Portland – sottolinea – è elevatissimo, in termini di riduzione di emissioni di CO2, ovvero di gas serra, di cui i cementifici sono responsabili in larga misura”. 

La cenere etnea e la reattività pozzolanica

La professoressa Contrafatto tiene però a precisare che non tutte le ceneri vulcaniche “godono di elevata reattività pozzolanica, cioè della capacità di sviluppare i legami chimici indispensabili per ottenere prodotti resistenti”. E purtroppo la cenere etnea “presenta scarsa reattività pozzolanica, per la sua costituzione mineralogica con elevata quantità di fase amorfa, cioè vetrosa, e per le sue caratteristiche superficiali”.

“I prodotti piroclastici di rifiuto – aggiunge –
essenzialmente vetrosi e porosi, sono molto diversi dai materiali tradizionali
comunemente utilizzati in edilizia come il cosiddetto azolo, materiale da cava
con un’elevata compattezza e quindi resistenza meccanica alla compressione”.

Questa caratteristica della cenere vulcanica ne limita dunque l’utilizzo alle grosse granulometrie. Mentre le frazioni fini sono utilizzabili in sostituzione dell’inerte tradizionale di cava.

Considerevoli vantaggi ambientali

“Il loro impiego – sottolinea Loredana Contrafatto
– consentirà comunque un considerevole vantaggio ambientale conseguenza della
riduzione dello sfruttamento del materiale naturale da cava. E questo perché il
calcestruzzo è il materiale più utilizzato nelle nuove costruzioni, prodotto in
Italia annualmente in volumi elevatissimi, dell’ordine di decine di milioni di
metri cubi”.

Il “piroclasto dell’Etna”, inoltre, proprio per le sue caratteristiche di porosità, si presta anche ad altre applicazioni.

Le malte alleggerite

“Parliamo di quelle –  spiega la studiosa –  in cui può essere utilizzato in granulometrie maggiori, anche fino al centimetro di diametro, come per esempio nel confezionamento di malte alleggerite e di intonaci o pannelli isolanti. La presenza dei pori, prevalentemente chiusi e interconnessi, garantisce infatti ottime prestazioni in termini di conducibilità termica, al pari di altri materiali isolanti comunemente in commercio a base di trucioli di legno o di cartongesso”.

Cenere lavica e geopolimeri

Ma non è finita. Esistono infatti proposte per
utilizzare la cenere dell’Etna in nuovi materiali, denominati geopolimeri.

“Sono costituiti in genere – spiega Loredana Contrafato – dall’associazione di metacaolino e altri materiali pozzolanici. La ricerca in questo campo è ancora abbastanza acerba e ha preso l’avvio una decina d’anni fa, specie per quel che riguarda l’attivazione delle ceneri vulcaniche. Nonostante i risultati siano promettenti, rimane ancora aperta la questione della convenienza ambientale, per via della pericolosità del procedimento di preparazione”.

“Tuttavia – conclude – la strada è aperta verso soluzioni più sostenibili e di semplice attuazione del processo produttivo”.

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