Fattura, quando viene emessa si presume già incassata - QdS

Fattura, quando viene emessa si presume già incassata

Salvatore Forastieri

Fattura, quando viene emessa si presume già incassata

venerdì 11 Novembre 2022

Pagamento del corrispettivo al professionista: la Corte di Cassazione interviene con l’ordinanza n. 28253/’22

ROMA – Lo ha detto la Corte di Cassazione con Ordinanza n. 28253 del 28 settembre 2022, affermando che se un professionista emette la fattura si deve ritenere (presumere) che abbia già incassato il relativo corrispettivo.
Giova ricordare, a questo punto, che in base all’articolo 6 (“Effettuazione delle operazioni”) del Dpr 26 ottobre 1972 n.633 (il decreto istitutivo dell’Iva), esistono dei particolari momenti (momento impositivo) ai quali si aggancia l’obbligo della fatturazione.
Per le cessioni di beni, per esempio, la consegna o spedizione dei bene segna il momento impositivo e da quella data scatta l’obbligo della fatturazione di cui al successivo articolo 21.

Per le prestazioni di servizio, invece, il concetto è diverso. Il momento impositivo, salve alcune eccezioni espressamente previste dalla legge, non scatta al momento della conclusione della prestazione, bensì solo al momento del pagamento del corrispettivo (articolo 6 comma 3).
Va detto pure che, sempre in base al citato articolo 6 del Dpr 633/72, al comma 4, “Se anteriormente al verificarsi degli eventi indicati nei precedenti commi o indipendentemente da essi sia emessa fattura, o sia pagato in tutto o in parte il corrispettivo, l’operazione si considera effettuata, limitatamente all’importo fatturato o pagato, alla data della fattura o a quella del pagamento”.

Una disposizione che, se da un lato prevede l’obbligo di fatturare tutte le volte si verifica – comunque – l’incasso del corrispettivo, anche in un momento precedente agli eventi che rendono obbligatorio l’adempimento fatturazione, dall’altro non esclude assolutamente che la fattura possa esser emessa “prima” degli stessi eventi, quindi anche prima del pagamento per una prestazione professionale, senza che ciò faccia scattare automaticamente la presunzione che il corrispettivo sia stato riscosso, con tutte le conseguenze fiscali del caso.

Principalmente ai fini della determinazione del reddito e della relativa tassazione. Ai fini dell’imputazione del compenso ad un’annualità o ad un’altra, in materia di imposte dirette, infatti, le regole Iva non valgono, in quanto, per le prestazioni di lavoro autonomo vale il principio “di cassa”, così come stabilito dall’articolo 54 del Dpr 917 del 22/12/1986.

Secondo tale disposizione (solo per le imposte sui redditi) “Il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’arte o della professione, salvo quanto stabilito nei successivi commi. I compensi sono computati al netto dei contributi previdenziali e assistenziali stabiliti dalla legge a carico del soggetto che li corrisponde”.

Non si dimentichi che la stessa Amministrazione Finanziaria ha affermato addirittura che, a tal fine, si deve considerare la data in cui il beneficiario ha avuto notizia che il corrispettivo è entrato a far parte delle proprie disponibilità finanziarie.
E non si dimentichi nemmeno che non può essere attribuito al contribuente l’onere (impossibile) di dimostrare di non avere ancora riscosso il corrispettivo. Caso mai è l’Ufficio che deve dimostrare il contrario.

Speriamo, comunque, che d’ora in poi, una maggiore giustizia tributaria venga realizzata anche attraverso la norma recentemente introdotta dalla legge 130 del 31/8/2022 (che ha aggiunto il comma 5 bis all’artr.7 del D.Leg/vo 546/92), ossia la famosa riforma del contenzioso tributario, nuova disposizione secondo la quale l’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato.

Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”.

Una norma che dovrebbe dare maggiori garanzie ai fini di una giustizia tributaria vera, concreta e maggiormente legata al principio costituzionale dell’articolo 53 e di quello previsto dal successivo articolo 97 (imparzialità e buon andamento).

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