Francesco Bocciardo, oro a Tokyo 2020 si racconta in esclusiva a Qds - QdS

Francesco Bocciardo, oro a Tokyo 2020 si racconta in esclusiva a Qds

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Francesco Bocciardo, oro a Tokyo 2020 si racconta in esclusiva a Qds

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giovedì 23 Settembre 2021

L’atleta azzurro ha conquistato la medaglia d’oro sia nei 100m sia nei 200m stile libero S5 e la medaglia d’argento nei 4x50m stile libero misto.

Francesco Bocciardo è stato uno dei protagonisti delle Paralimpiadi di Tokyo 2020.

L’atleta azzurro ha conquistato la medaglia d’oro sia nei 100m sia nei 200m stile libero S5 e la medaglia d’argento nei 4x50m stile libero misto.

Per
Bocciardo è stata la terza volta ai Giochi Olimpici, dopo la conquista della
medaglia d’oro a Rio 2016 nei 400m stile libero S6.

Genovese,
classe ’94, Francesco Bocciardo è nato con una diplegia spastica e si è
avvicinato al nuoto per finalità terapeutiche.

La
passione per questo sport e la possibilità di gareggiare sono arrivate dopo. Ad
oggi, Bocciardo vanta la medaglia d’oro ai mondiali di Glasgow del 2015 nella
gara dei 400 m stile libero, una medaglia d’oro ed una di bronzo agli europei
di Funchal del 2016, cinque medaglie agli Europei di Dublino del 2018 e cinque medaglie
ai mondiali del 2019, oltre le medaglie conquistate ai Giochi Olimpici.

Francesco,
Olimpiadi di Tokyo 2020. Medaglia d’oro nei 100m e 200m stile libero S5 e
medaglia d’argento nella staffetta 4x50m stile libero misto. Come la vivi?

Sono
molto contento e soddisfatto. Quando sono partito non speravo di riuscire a
raggiungere questi risultati. È andato tutto nel migliore dei modi.

Sto cercando di metabolizzare tutte le emozioni di Tokyo perché, comunque, non è semplice tornare alla mia vita di tutti i giorni.

A
differenza di Rio2016, ti sei scommesso su lunghezze diverse. Perché questa
scelta?

Il
cambio di distanze è stato obbligatorio perché a seguito della revisione,
facciamo le gare in base alla nostra classe di disabilità. Essendo cambiata la
mia classe, sono cambiate le distanze che potevo fare. Adesso le distanze più
lunghe per me non sono i 400m, ma sono i 200m.

È
stato un cambio decisivo, di sicuro non semplice. Ci abbiamo lavorato
tantissimo, ma siamo arrivati a grandissimi risultati.

Negli
anni sono riuscito a crescere anche dal punto di vista tecnico.

Quanto
ha influito l’anno in più d’attesa a causa della pandemia?

È
stato un anno duro perché oggettivamente a me ha pesato molto. Stare fermo
diversi mesi in parte mi ha condizionato. Alla fine siamo riusciti a fare tutto
al meglio. Magari avrei voluto fare meglio sui 100m rana e in stile libero.
Abbiamo dovuto concentrarsi su altro a seguito dello stop per la pandemia. Mi
ritengo molto più che soddisfatto.

Leggevo
che all’inizio della tua carriera, la vittoria non arrivava. Oggi, col senno di
poi, sai perché non eri competitivo?

Ho dovuto aspettare degli anni prima di vedere i frutti del mio duro lavoro. Non è stato semplice. Ho anche cambiato allenatore e allenamenti. Ho migliorato la tecnica. Sono anche maturato. C’è voluto del tempo. Si sono affiancate più persone che hanno preso parte del mio team e che mi hanno supportato e guidato. Non è stato semplice e non nego che ci sono stati momenti in cui ho pensato di smettere, ma sono contento di non avere mollato.

Menomale
che non hai mollato…guarda cosa hai raggiunto

Sì,
sono contento di non aver mollato, ma adesso cercherò di promuovere sempre di
più il movimento nella mia Regione e a livello italiano. Queste Paralimpiadi
hanno dimostrato quanto fatto in questi anni e non bisogna mai fermarsi. Se
vogliamo rimanere nella top ten, dobbiamo sforzarci di migliorare costantemente
anche noi, anche se siamo già ad un livello altissimo.

Secondo
te cosa è necessario fare per portare avanti quanto fatto alle Paralimpiadi?

Bisogna
dare attenzione dal punto di vista mediatico e sta succedendo. Promuovere il
movimento e far sì che cresca sempre di più, bisogna lavorare molto
sull’avviamento, soprattutto nelle scuole con i giovani e i giovanissimi per
fare in modo che scoprano il movimento paralimpico. Purtroppo ancora oggi ci sono
molti giovani che non sanno cosa sia lo sport paralimpico o che possono trovare
uno sport vicino casa loro.

Dall’altro
lato bisogna investire risorse per la formazione di tecnici competenti. Secondo
me, peggio di non far fare ai ragazzi con disabilità sport c’è fargli fare
sport in modo sbagliato, rischiando di farsi male.

Un
altro aspetto è la concessione di contributi, oltre a livello nazionale, anche
a livello regionale per poter acquistare protesi, carrozzine e tutto il
materiale necessario per fare sport. Ultimo, ma non meno importante: dare dei
sostegni concreti a quelle società che magari non hanno un settore paralimpico.
In questo modo, il movimento potrebbe crescere ancora di più e prepararsi a
fare il salto di qualità.

Come
hai vissuto l’attenzione da parte dei media?

È
sempre piacevole e molto bello! Ho partecipato alla mia prima Paralimpiade che
si è svolta a Londra, la prima volta che la Rai ha trasmesso i Giochi. È stato
lì il punto di inizio per me. Gli italiani hanno scoperto gli sport paralimpici
e da lì si è andati a migliorarsi anno dopo anno. Oggi siamo sempre più cercati
e più conosciuti. Capita sempre più spesso la gente per strada che mi
riconosce. È una cosa bella perché fa capire che gli italiani hanno guardato le
Paralimpiadi e iniziano a conoscermi e ad apprezzarle. Non è un punto di
arrivo, però ci fa capire che stiamo lavorando bene.

Lo
sforzo e l’impegno degli atleti è fondamentale per far conoscere il nostro
movimento. Poco per volta ce la possiamo fare.

Parlavi
dei giovani e lo sport che può essere un modo per scoprirsi. Nel tuo caso, il
nuoto è entrato nella tua vita con una funzione terapeutica, ma lo hai
abbracciato per la vita. Cosa ti piace del nuoto?

Più
che altro mi sono scoperto molto competitivo. Inizialmente praticavo il nuoto a
scopo riabilitativo, in seguito competere contro i miei avversari mi piaceva.
Da lì ho sempre cercato di migliorarmi e ho lavorato su me stesso e a fare le
gare. Inoltre, fino al 2010 io non sapevo cosa fosse il movimento paralimpico.
Fondamentalmente, il primo avversario siamo noi stessi. L’importante è
ricordarselo sempre quindi cerco di combattere contro il tempo che avanza.

Che
rapporto hai con la sconfitta, allora?

Penso
che a nessun atleta piaccia perdere. È una parte importante della vita di ogni
atleta. Le sconfitte avute mi sono servite tantissimo perché ho riflettuto e
imparato così raggiungendo nuovi stimoli.

Chi
è Francesco Bocciardo nella vita di tutti i giorni?

Oltre
un nuotatore, sono anche un fidanzato, un amico. Lavoro presso Regione Liguria,
nel settore sport occupandomi della promozione dello sport a 360 gradi. Mi
piacciono molto i film storici, i fantasy. Mi piacciono molto gli anime e i
manga. Infatti, se non ci fosse stata la pandemia, mi sarebbe tanto piaciuto
andare in giro per Tokyo, ma non è stato possibile anche perché la cultura
giapponese è bellissima e ricchissima. Spero di tornare in Giappone anche da
solo per conoscere meglio questo fantastico paese. Mi ritengo una persona molto
curiosa. Mi piace studiare e imparare cose nuove.

È
presto parlare di progetti futuri, ma cosa si prospetta?

Di
sicuro adesso cercherò di prepararmi per i Mondiali del prossimo anno che
saranno a giugno. È complicato riuscire a riconfermarsi, ma ci proveremo.

Sento
un’insicurezza: fa parte del tuo carattere o è superstizione?

Un
po’ tutti e due. Fino a oggi mi sono concentrato tanto sul nuoto, ma certi
aspetti saranno più importanti come la mia famiglia o costruire una famiglia.
Il nuoto, poco per volta, potrebbe anche venire dopo.

Se
dovesse succedere qualcosa più importante del nuoto come la mia famiglia o la
mia ragazza, sono anche disposto a mettere in secondo piano il nuoto. È ovvio
che cercherò di fare tutto insieme.

L’idea
di Parigi 2024 c’è?

Sì,
però bisogna vedere se sarò competitivo. Ci sono tantissime altre incognite.

Hanno
definito gli atleti paralimpici supereroi: ti ci senti?

No,
secondo me bisogna andare oltre il concetto di supereroi o del superdisabile. Noi
atleti paralimpici vinciamo delle medaglie, ma non siamo supereroi né persone
eccezionali. Ciò che siamo riusciti a fare noi, lo può fare chiunque. Ci vuole
però impegno e dedizione, altrimenti si corre il rischio di pensare che ce
l’abbiamo fatta perché siamo eccezionali. Bisogna far capire che tutti possono
fare sport. Non tutti diventeranno dei campioni, ma perché precludersi la
possibilità di fare sport o di fare nuove esperienze e di conoscere qualcosa di
bellissimo?

Sandy Sciuto

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