Il “Giudizio universale”? Può attendere… Giudicata inammissibile la prima climate litigation della storia - QdS

Il “Giudizio universale”? Può attendere… Giudicata inammissibile la prima climate litigation della storia

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Il “Giudizio universale”? Può attendere… Giudicata inammissibile la prima climate litigation della storia

Giulia Biazzo  |
sabato 16 Marzo 2024

Il Tribunale di Roma ha respinto le richieste dei 203 ricorrenti che chiedevano la condanna dell’Italia per inazione climatica. Nella sentenza si parla di un “difetto assoluto di giurisdizione”. L’avvocato Saltalamacchia: “Delusi da tale interpretazione”

ROMA – La causa climatica contro lo Stato italiano è inammissibile. Lo ha deciso il Tribunale di Roma, pochi giorni fa, nella sentenza di primo grado relativa al contenzioso climatico nei confronti dello Stato italiano – il primo nella storia italiana – avanzato da “Giudizio Universale”, la campagna di climate litigation dei 203 ricorrenti (di cui 24 associazioni).

Le responsabilità di politiche inefficaci non vengono riconosciute

La pericolosità della situazione climatica viene riconosciuta, ma le responsabilità di politiche inefficaci no. La pronuncia della giudice della sezione Civile, Assunta Canonaco, ha fatto riferimento a un “difetto assoluto di giurisdizione del Tribunale” per il quale risulta impossibile giudicare il merito della causa: cioè non si può accertare la responsabilità dello Stato nell’essere complice dell’emergenza climatica che minaccia i diritti fondamentali dell’uomo. Abbiamo intervistato uno degli avvocati dei ricorrenti, Luca Saltalamacchia, per analizzare l’esito del processo.

Avvocato, perché la causa è stata giudicata inammissibile dal Tribunale di Roma?
“Il giudice nella sua sentenza ha fatto riferimento a un “difetto assoluto di giurisdizione”: in parole semplici, in Italia non esiste alcun tribunale che può giudicare questo tipo di richiesta. Secondo il giudice questo difetto assoluto proibisce a qualunque tipologia di giudice di poter esprimersi sulla richiesta”.

I cittadini rimangono di fronte l’emergenza e l’inazione politica continua. Cosa si può pensare di questa “non decisione”?
“In realtà il tribunale ha deciso, ma non è entrato nel merito. Ha deciso che questa problematica non può essere trattata di fronte ai tribunali. Quindi non ha fatto una valutazione di legittimità sulle richieste da parte dei ricorrenti – indagando sulla fondatezza o meno – però ha deciso che non si può affrontare questa problematica. Lo ha deciso però facendoci celebrare l’intero processo: avrebbe potuto decidere subito senza impiegare due anni di tempo. Pazienza: decidere alla fine, si può, però ci lascia un po’ delusi”.

Ci sono già state cause contro lo Stato in Europa: quali sono le differenze?
“Nel mondo ci sono circa tremila cause che riguardano i cambiamenti climatici, moltissime nei confronti degli Stati e moltissime si sono celebrate in Europa. Quasi tutte sono state vinte. Olanda, Germania, Belgio, Francia, Irlanda e anche la Repubblica Ceca sono solo i più famosi esempi in cui le cause promosse dai cittadini davanti al tribunale sono state accolte e più o meno in quasi tutte si discuteva sull’efficacia o meno delle politiche climatiche dei rispettivi Stati. Non si chiede al giudice – e qui sta l’ambiguità – di valutare l’azione politica dello Stato. Noi abbiamo chiesto di verificare se i diritti dei cittadini sono minacciati dall’emergenza climatica, che poi questa sia creata dall’inefficacia dello Stato non è una valutazione politica ma oggettiva e giuridica sul rispetto dei diritti fondamentali. Negli altri paesi infatti la questione è stata formulata in modo simile alla nostra: lì i giudici hanno accolto la domanda perché indubbiamente l’emergenza climatica travolge i diritti fondamentali. D’altronde questo giudice, in più parti della sentenza, lo riconosce pure. Opera come presupposto una valutazione sulla gravità della situazione climatica: quindi abbiamo una situazione paradossale perché il nostro presupposto – alla base della causa – è stato confermato. Ma per un problema formale non si può procedere: è un modo di valutare il rapporto tra cittadini e Stato un po “datato” come se lo Stato fosse un’entità intoccabile, quando invece il controllo sugli organi statali è un prerogativa della magistratura. Siamo rimasti delusi da questa interpretazione: non tiene conto delle peculiarità nuove di questa emergenza”.

Il “Giudizio Universale”, quindi, pende ancora sull’Italia

Il “Giudizio Universale”, quindi, pende ancora sull’Italia e la strada è di certo lunga e in salita per riconoscere le responsabilità della politica, altrettanto in salita è il percorso per ottenere un certosino impegno da parte dello Stato nel rispettare gli accordi di Parigi. Ma se la Terra va in fiamme e la politica fatica a innovarsi, i cittadini e le cittadine continuano ad organizzarsi per chiedere giustizia sociale.

Marica Di Pierri (ASud): “Impugneremo”

Il risultato di questa prima public climate litigation ha lasciato l’amaro in bocca, ma la forza di questa causa è il lavoro collettivo e la rete dei ricorrenti – ben 203 tra cui 24 sono associazioni -. La capofila della campagna “Giudizio Universale” è l’associazione ASud, la cui portavoce Marica di Pierri dichiara al QdS commentando la sentenza: “Di certo si è aperta una fase di riflessione per tutti i numerosi ricorrenti, cittadini e associazioni. Stiamo ragionando delle prospettive giudiziarie: di certo intendiamo impugnare la sentenza e quindi ricorrere contro la decisione della giudice contestando la sua pronuncia di inammissibilità”.

Per Marica Di Pierri ciò che si muove fuori Italia, però, è un’ispirazione: “Già nel primo grado di giudizio e anche nella fase preparatoria siamo stati a stretto contatto e in rete con gli altri protagonisti delle cause legali a livello europeo e abbiamo discusso a lungo con “Urgenda” – Di Pierri si riferisce alla realtà olandese che nel 2020 ottenne dalla Corte suprema la storica sentenza sull’obbligo di ridurre di almeno il 25% le emissioni di CO2 entro la fine dell’anno – che ha fondato, dopo la vittoria, un network che è il climate litigation network che aiuta e dà consulenza a chi vuole intraprendere la causa; siamo in contatto anche con Notre Affaire à tous in Francia – il riferimento è ad un’altra realtà che ha vinto il processo davanti al tribunale nel 2021 – con i soggetti della causa tedesca e di quella belga. Per questo sappiamo che il percorso verso la vittoria non è così immediato e bisogna attraversare diversi gradi di giudizio e spesso per avere ragione in tribunale i passaggi sono ben più lunghi di quello che possiamo immaginare. Gli altri Paesi europei però ci confermano che di fatto la via giudiziaria è una via percorribile e che invece è un’anomalia quella italiana. Quindi abbiamo speranza nel percorso che verrà”- conclude la portavoce di ASud.

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