Guerre e migrazioni, a Catania esperti da tutto il mondo a confronto - QdS

Guerre e migrazioni, a Catania esperti da tutto il mondo a confronto

redazione

Guerre e migrazioni, a Catania esperti da tutto il mondo a confronto

Simone Olivelli  |
martedì 28 Novembre 2023

Ieri ha preso il via la conferenza internazionale organizzata dal Consorzio “Il Nodo”. Faten Adly sulla situazione del Medioriente: “Ciascun fronte coltiva relazioni di subordinazione”

CATANIA – Guerra, migrazione, povertà, ambiente e intelligenza, nella consapevolezza che per muoversi lungo il pericoloso crinale in cui il mondo si sta muovendo non si può prescindere dall’educazione e della formazione. Sono le tematiche che da ieri a venerdì prossimo faranno di Catania un luogo di incontro tra culture diverse, ma anche uno spazio privilegiato per discutere di democrazia globale. La possibilità è offerta dalla conferenza internazionale organizzata dal Sai, il sistema accoglienza integrazione che ha nel consorzio Il Nodo una delle principali realtà attive nella provincia etnea.

Ad aprire il dibattito, nella sala Concetto Marchese del Palazzo della Cultura di Catania, è stato un panel su un tema che da due anni occupa le prime pagine dei giornali europei, dopo che per tanto tempo era stato confinato alle pagine degli esteri: la guerra. Nel 2022 il conflitto russo-ucraino, da qualche mese la violentissima invasione di Gaza da parte di Israele, in seguito all’azione terroristica di Hamas, la guerra, con il suo carico di distruzione e morte, continuano a mostrare quanto sia difficile percorrere la via del dialogo nel campo geopolitico nonostante la stessa sembri essere l’unica per sperare di non vedere pregiudicato definitivamente il futuro stesso del pianeta.

Di questo e non solo hanno parlato gli esperti giunti a Catania da più Continenti: i primi a parlare Babacar Diop, docente dell’organizzazione mondiale islamica per l’educazione, la scienza e la cultura e presidente dell’Associazione panafricana per la letteratura e l’istruzione degli adulti; Vicent Garces, professore dell’università di Valencia ed ex membro del Parlamento europeo; Enriche Del Percio, rettore dell’università San Isidro di Buonos Aires; la ricercatrice russa coordinatrice del forum mondiale Human education in the 3rd millennium Margarita Kozhevnikova; e poi ancora Daniel Gakunga, dell’università di Nairobi; l’ex ministro dell’Educazione in Marocco Abdallah Saaf; il professore Guido Veronese dell’università Bicocca di Milano e Faten Adly, presidente del Centro nazionale per l’educazione a Il Cairo, che è intervenuta con un contributo video.

Diversi gli spunti interessanti emersi durante il dibattito, tra cui quello dell’influenza delle potenze occidentali nel mantenimento delle tensioni nell’area mediorientale e nel continente africano. Influenze che dalla Guerra Fredda si sono propagate fino ai giorni nostri: “Ciascuno dei due fronti si è impegnato a coltivare relazioni di subordinazione con gli stati più deboli”, ha ricordato Faten Adly, sottolineando come la debolezza economica contribuisca ad alimentare una dipendenza che chi detiene il potere può far fruttare per il proprio tornaconto. È il caso della strumentalizzazione dei movimenti che nel 2011 interessarono più paesi – dal Sudan alla Libia, dallo Yemen alla Siria – venendo ribattezzati con l’espressione primavera araba. “All’epoca si parlò di caos creativo, un’espressione usata già dopo gli attentati dell’11 settembre – ha commentato l’esperta – In realtà gli Usa continuano ad avanzare in tutto il Medio Oriente e nel mondo arabo motivando la propria strategia con il rischio di minacce alla loro sicurezza nazionale. Così facendo hanno lasciato che il caos fiorisca in queste nazioni, fomentando le tensioni. Possiamo dire – ha proseguito Faten Adly – che a essere messo in campo è un mix di classiche e nuove strategie coloniali. Ciò garantisce agli Stati potenti l’accesso indisturbato alle risorse dei paesi deboli. La domanda che dobbiamo porci è: può il dialogo contribuire a interrompere questo bagno di sangue? A esser sinceri non lo so ma spero – ha concluso l’esperta – che una risposta la trovino le prossime generazioni”.

La conferenza internazionale prevede il coinvolgimento di diverse scolaresche, con l’intento di avvicinare i più giovani a problemi che interessano tutti ma offrendo loro una possibilità di lettura che spesso non trova spazio nelle narrazioni belliche offerte dai media.

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