Tutti i mali dell’ambiente siciliano, ecco i virus silenziosi che stanno distruggendo la nostra Isola - QdS

Tutti i mali dell’ambiente siciliano, ecco i virus silenziosi che stanno distruggendo la nostra Isola

redazione

Tutti i mali dell’ambiente siciliano, ecco i virus silenziosi che stanno distruggendo la nostra Isola

mercoledì 30 Dicembre 2020

Cemento selvaggio, discariche sature, depuratori guasti, acqua sprecata e aria avvelenata: le emergenze che non fanno notizia, ma che provocano danni enormi e contribuiscono al peggioramento climatico

di Antonio Leo e Rosario Battiato

Mentre il mondo guarda con speranza al vaccino che dovrebbe debellare l’epidemia da Covid-19, sembra interessare a pochi l’altra enorme pandemia che rischia di cambiare irreversibilmente il Pianeta per come lo conosciamo. Il cambiamento climatico ci guarda da vicino e non risparmia nemmeno la Sicilia, tra le regioni con l’ambiente più “calpestato” d’Italia.

Non è un modo di dire: anche nell’anno che volge al termine si è continuato a devastare il territorio isolano in diverse forme: conferendo rifiuti nelle discariche (ormai a un passo dalla saturazione), inquinando l’aria (tornata irrespirabile dopo la parentesi del lockdown di marzo-aprile), consumando il suolo, bruciando migliaia di ettari di boschi, disperdendo la metà dell’acqua immessa in rete e sversando liquami in mare, visto che i depuratori, anche quando funzionano, inquinano. Il nostro bilancio di fine anno, frutto di decine e decine di inchieste, fotografa la devastazione del territorio che ha come principale conseguenza l’aumento degli eventi estremi: vortici di sabbia, grandine di notevoli dimensioni, piogge intense, tornado, forti raffiche di vento, gelate, valanghe.

I numeri della “European Severe weather database” parlano chiarissimo: tra 2016 e 2020 nell’Isola si sono verificati oltre 250 fenomeni calamitosi, il 70% di quelli registrati nell’ultimo decennio. Sul banco degli imputati, al primo posto, vi è la cosiddetta perdita di servizi “ecosistemici”, tra cui rientrano “produzione agricola e di legname, stoccaggio di carbonio, controllo dell’erosione, impollinazione, regolazione del microclima, rimozione di particolato e ozono, disponibilità e purificazione dell’acqua, nonché regolazione del ciclo idrologico”.
Gli incendi, la cementificazione, l’abbancamento della spazzatura nel sottosuolo – giusto per fare qualche esempio – sono fatti e azioni che ormai quasi non fanno più notizia, eppure arrecano un grave danno all’ecosistema, con costi altissimi anche in termini economici. Parte di questi danni li ha elencati l’Ispra nel suo ultimo rapporto sul consumo di suolo: “Le aree perse degli ultimi sette anni garantivano in precedenza la fornitura di 3 milioni e 700mila quintali di prodotti agricoli e 25mila quintali di prodotti legnosi, lo stoccaggio di due milioni di tonnellate di carbonio, l’infiltrazione di oltre 300 milioni di metri cubi di acqua di pioggia che ora, scorrendo in superficie, non sono più disponibili per la ricarica delle falde e aggravano la pericolosità idraulica dei nostri territori. Questo consumo di suolo recente produce anche un danno economico potenziale che supera i 3 miliardi di euro ogni anno, a causa della perdita dei servizi ecosistemici del suolo”.

Nell’Isola dove negli anni si è costruito persino in zone a forte rischio sismico o idrogeologico, con abusi edilizi spesso e volentieri sanati, il timore è che si sia già superato il punto di non ritorno. Oggi la desertificazione incombe sul 70% della nostra Isola, con oltre la metà già classificato come area “critica”.

E la devastazione del territorio ha notevoli conseguenze soprattutto sul cambiamento climatico, in quanto contribuisce “a far diventare sempre più calde le nostre città, con il fenomeno delle isole di calore e la differenza di temperatura estiva tra aree a copertura artificiale densa o diffusa che, rispetto a quelle rurali, raggiunge spesso valori superiori a 2°C nei centri più grandi”. Tutto si tiene, ma continuiamo a fare finta di niente.

Sei sfumature di devastazione

L’Isola pattumiera
Oltre metà dei rifiuti nelle inquinanti discariche

Nonostante quasi ovunque ormai sia una risorsa, ancora nel 2020 la spazzatura per l’Isola rappresenta più di un problema: è un’emergenza. Le cronache degli ultimi mesi continuano a consegnarci, da Palermo a Catania, strade stracolme di rifiuti che non si sa più dove mettere. Le discariche sono sature, come nel caso di Bellolampo, o prossime ad esaurirsi (all’impianto tra Motta Sant’Anastasia e Misterbianco, nel catanese, resta un anno e mezzo di autonomia secondo la Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti). Intanto da poco l’Ispra ha diffuso gli ultimi dati certificati sulla raccolta differenziata che fanno riferimento al 2019: nonostante una crescita sostenuta (+9%), la Sicilia resta l’unica regione d’Italia sotto il 40% (per l’esattezza 38,5%), a dodici punti di distanza dall’obiettivo del 2009 (50%) e a quasi trenta da quello del 2012 (65%). Ancora un abisso ci separa dalle otto regioni che hanno raggiunto o superato l’ultimo step, il Veneto sfiora addirittura il 75%. Nel complesso la produzione di rifiuti urbani in Sicilia è rimasta invariata, intorno a 2,2 milioni di tonnellate, di questi circa 860 mila sono stati differenziati, ma ne restano ancora 1,3 milioni, quindi pari a circa il 60%, che continuano a essere trasportati in discariche che consumano e appestano il suolo.

L’Isola di cemento
Edifici vuoti, ma si continua a costruire

Lo scorso 4 dicembre, nel corso del webinar “Un green deal per il suolo europeo”, Legambiente ha lanciato l’allarme “rosso” per il consumo di suolo, soprattutto nell’Isola. Secondo il rapporto Ispra 2020, lo scorso anno, l’impermeabilizzazione del territorio ha raggiunto altri 600 ettari siciliani, arrivando così a coprire in totale 167.123 ettari. È un dato in “positivo” che risulta essere superiore alla media nazionale in termini di crescita del consumo pro capite (1,22 contro 0,9) e che colloca la Sicilia tra le regioni più a rischio, come Veneto (+785), Lombardia (+642) e Puglia (+625). Un consumo di suolo che continua a crescere, mentre la Sicilia detiene lo stesso numero di edifici abitativi della Lombardia, circa 1,4 milioni, e la metà della sua popolazione (5 milioni contro 10). Non ci vuole molto a capire che lo spreco abitativo isolano – circa il 17% del totale delle abitazioni vuote o inutilizzate d’Italia si concentra nell’Isola (qualcosa come 130 mila unità) – non giustificherebbe nemmeno un ettaro di suolo consumato all’anno, dal momento che ci sarebbe un patrimonio da mettere in sicurezza e rendere sostenibile grazie anche agli incentivi del governo come il sisma e l’ecobonus.

L’Isola bruciata
Un’altra estate da record per gli incendi

L’estate 2020 sarà ricordata come una delle più incandescenti dell’Isola. Indicativi sono i dati diffusi lo scorso 30 settembre dalla Protezione civile nazionale, a conclusione della campagna anti-incendio boschivo, che ha visto la flotta aerea dello Stato rispondere a quasi mille richieste di aiuto, di cui oltre un quarto provenivano proprio dalla Sicilia. Secondo la Regione, soltanto tra il 29 e il 31 agosto, si sono sviluppati 602 roghi, da Altofonte a San Vito Lo Capo, che hanno distrutto oltre 2 mila ettari di aree boschive e altrettanti di aree vegetazionali, per un danno economico stimato intorno a 40 milioni di euro. Un disastro che non può essere derubricato soltanto a calamità naturale, ma richiama precise responsabilità umane. In primis la scarsa attenzione alle aree agricole e pastorali abbandonate, ma anche all’aumento delle temperature causato dalle emissioni di CO2. Non ci sono ancora dati “ufficiali” per il 2020, ma l’Ispra ha certificato come nel 2019 l’Isola abbia raggiunto le vette più alte del termometro nazionale, con il picco di 44° registrato ad Augusta, in provincia di Siracusa. Sul banco degli imputati il consumo di suolo e la conseguente diminuzione di alberi, che influenzano “la composizione del paesaggio urbano, modificando anche il microclima”.

L’Isola irrespirabile
Finito il lockdown, sono tornati i veleni

Ci è voluto il lockdown per fare capire agli italiani quanti e quali veleni ogni giorno respiriamo nelle nostre città. Tra marzo e aprile 2020, stando a quanto registrato da Arpa Sicilia, le concentrazioni di ossidi di azoto (NOx) e benzene si sono ridotte addirittura di oltre il 60% a Palermo e Catania. Questo perché si tratta di sostanze nocive prodotte dai gas di scarico di auto e moto, veicoli che in Sicilia sono tanti (solo quelli a quattro ruote 3,3 milioni secondo Autopromotec-Aci) e peraltro “vecchi”, con la fascia più inquinante (tra Euro zero ed Euro 3) che rappresenta il 50% del totale. Il miglioramento della qualità dell’aria ha riguardato anche le aree industriali, dove si è avuta una riduzione tra il 44% e il 57% delle concentrazioni di NO2. Ovviamente con la fine delle chiusure e il ritorno alla “normalità”, la Sicilia – dove la mobilità sostenibile è ancora molto lontana e solo un cittadino su dieci usa i mezzi pubblici per motivi di lavoro o studio – ha visto nuovamente salire i livelli degli inquinanti presenti nell’atmosfera. Non va dimenticato che l’Isola rientra tra le regioni sottoposte a procedure di infrazione da parte di Bruxelles: la n. 2015/2043 per gli ossidi di azoto (NOx) e la n. 2014/2147 per il PM10 e per la mancata attuazione di interventi di risanamento della qualità dell’aria.

L’Isola non balneabile
Depuratori assenti e mare contaminato

Il mare siciliano potrebbe avere pochi rivali nel mondo quanto a bellezza e biodiversità, eppure non è tutto “oro” quello che è blu, perché in diversi tratti della costa le acque risultano fortemente contaminate. La scorsa estate “Goletta verde”, la celebre campagna di Legambiente, ha controllato ben 26 punti lungo la costa, da Messina ad Agrigento: la stragrande maggioranza, ben 15 tratti di mare, ha presentato concentrazioni di batteri e sostanze inquinanti ben oltre i limiti di legge. Perché? La spiegazione è nota: in Sicilia i sistemi di depurazione sono inesistenti oppure talmente vetusti che inquinano, anziché risanare i reflui. L’ultimo censimento dell’Istat ha confermato come in Italia il servizio pubblico di fognatura sia completamente assente in 40 comuni, di cui ben 25 in Sicilia (quasi tutti nella provincia di Catania). Per quanto riguarda il servizio di depurazione “è assente in 339 comuni per circa 1,6 milioni di residenti”: il 66,4% è localizzato nel Sud. L’atavico ritardo costa all’Isola il coinvolgimento in ben 4 procedure di infrazione, con due di queste che sono già allo stato di condanna. E già si paga: una stima degli uffici della Regione ha calcolato che le sanzioni per la mancata depurazione costano alle casse regionali 97 mila euro al giorno dal 2012. Facendo un rapido calcolo, sulla Sicilia peserebbero dunque sanzioni per oltre 300 milioni di euro.

L’Isola colabrodo
Si perde metà dell’acqua immessa in rete

Le piogge di fine novembre e dicembre non salveranno la Sicilia e il Mezzogiorno dalla siccità. Lo scorso ottobre, infatti, le riserve idriche degli invasi isolani risultavano dimezzate, con gravi ripercussioni sulle colture autunnali. Il problema è sempre lo stesso: nell’Isola le infrastrutture, in particolare condotte e dighe, sono vetuste e – è proprio il caso di dirlo – fanno acqua da tutte le parti. Detto in altri termini, la disperdono e, in tempi di cambiamento climatico, è un vero delitto.
Al di qua dello Stretto, stando a quanto risulta dall’ultimo censimento dell’Istat sull’acqua, più della metà del prezioso liquido immesso in rete non arriva a destinazione, perdendosi tra i mille rivoli della nostra rete colabrodo. Un dato che supera di 8 punti percentuali la media italiana (42%, lievemente in crescita rispetto al 41,4% registrato tre anni prima). Un “water gap” che è prima di tutto infrastrutturale, ma che le Regioni meridionali, a partire dall’Isola, ignorano. E infatti, nel rapporto “Sud” del Sole 24 ore pubblicato nelle scorse settimane, si legge come solo il 27,8% dei progetti di infrastrutture idriche, che sarebbero potute confluire nel Recovery plan italiano, proviene dalle regioni meridionali.

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