Il prof. Iacobello: "Covid, due anni dopo ancora strascichi e criticità" - QdS

Il prof. Iacobello: “Covid, due anni dopo ancora strascichi e criticità”

redazione

Il prof. Iacobello: “Covid, due anni dopo ancora strascichi e criticità”

Giuseppe Bonaccorsi  |
giovedì 23 Febbraio 2023

Intervista al direttore delle Malattie infettive del Cannizzaro nel terzo anniversario dell’inizio della pandemia: "In corsia pazienti positivi ma con patologia superata, occupano posti preziosi"

CATANIA – “Ormai non si parla più di Covid, ma secondo me ancora se ne dovrebbe parlare soprattutto per lo scenario che si sta prefigurando adesso nei presidi sanitari”. Così esordisce il direttore delle Malattie infettive dell’ospedale Cannizzaro di Catania, Carmelo Iacobello, rispondendo a una domanda sull’anniversario del ricovero del primo paziente in Italia all’ospedale di Codogno.

A cosa allude dottore?
“Allo scenario attuale, in cui finalmente abbiamo ottenuto l’endemizzazione del virus Covid che ci mette relativamente al sicuro, visto che il virus circola tra la popolazione, ma fa poco danno grazie alle varianti che non sono pericolose. Ma proprio perché perdura questa circolazione noi dovremmo modificare i nostri comportamenti sanitari. E arrivo al nodo. Gli accessi negli ospedali non possono più essere subordinati al tampone. Perché se continueremo a far dipendere i ricoveri e gli accessi nei pronto soccorso e il percorso diagnostico terapeutico dal tampone rischieremo di avere presto più di un problema organizzativo”.

Dottore può spiegarsi meglio perché ci sono alcuni passaggi che non sono chiari… Lei dice che siamo ormai relativamente al sicuro, ma raffigura scenari di grande difficoltà…
“Allora, facciamo l’esempio dei numerosi anziani portatori di virus, ma asintomatici che vengono trasportati in pronto soccorso per altre patologie, correlate anche all’età. Siccome nel loro organismo il più delle volte il virus può perdurare anche per mesi il rischio che corriamo è quello di avere in corsia moltissimi pazienti ancora positivi che non possono essere dimessi quando la loro patologia è superata e quindi vanno a occupare posti letto preziosi per pazienti, magari non positivi, che ne avrebbero urgente bisogno”.

Una situazione veramente preoccupante. E allora che si fa?
“Si dovrebbe adottare una diversa organizzazione ospedaliera di queste procedure di tamponamento che dovrebbe limitarsi al momento dell’accesso soltanto a quei pazienti sintomatici al rischio di patologia Covid e ad esempio ai malati oncologici. Non a tutti, quindi. Se non procederemo a queste modifiche presto potremmo avere nuovamente gli ospedali in forte sofferenza e non sapremo dove curare realmente chi ha bisogno di assistenza soprattutto per traumi e patologie neurochirurgiche”.

Chi può e dovrebbe intervenire?
“Lo dovrebbe fare la Regione, come sta avvenendo in altre regioni. Palermo dovrebbe disporre una modifica organizzativa delle procedure Covid e consentire agli ospedali di trattare con tampone soltanto quei pazienti sospetti e gli onco ematologici, come ormai avviene in tutta Europa. Se non apporteremo dei cambiamenti sostanziali presto potremmo trovarci in difficoltà non per il rischio Covid, ma per la mancanza di un nuovo indirizzo preciso collegato alla nuova endemizzazione del virus”.

Il 20 febbraio ricorda un anniversario molto doloroso per la nazione. La pandemia che insegnamento ci ha dato?
“Innanzitutto ci ha fatto vivere una esperienza drammatica, dalla quale siamo usciti pian piano imparando anche a dosare e utilizzare alcuni farmaci che poi si sono rivelati fondamentali. In tre anni abbiamo fatto passi avanti da gigante, ma dobbiamo adesso essere più intelligenti del virus, perché ogni volta che cambia lo scenario non siamo ancora preparati”.

In che senso?
“Nel senso che potrebbero presentarsi altri scenari in futuro e non tutti positivi. O l’arrivo di un altro virus pericoloso, o magari una modifica del Covid 19 che produca una variante più pericolosa facendoci ripiombare nell’inverno del 2021. Per questo dico che dobbiamo studiare un nuovo approccio organizzativo che deve passare assolutamente e in primis dagli ospedali. Se non si fa questo l’assistenza sanitaria rischia di implodere”.

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